In nomine patris

Certo non immaginava di infilarsi in un guaio di tali proporzioni la professoressa di religione messa all’indice per aver redarguito una studentessa di terza media per essersi fatta il segno della croce al passaggio di un’ambulanza. Il rimprovero si è infatti trasformato addirittura in un caso politico (il consigliere regionale di Forza Italia Fabio Filippi ha presentato un’interrogazione in Regione) ed è stato oggetto di un intervento di monsignor Camisasca in persona.

Le parole del vescovo sono di aiuto a comprendere cosa è accaduto in realtà in classe. L’insegnante in questione, infatti, “ha svolto per 24 anni (a settembre andrà in pensione) un intenso lavoro di trasmissione della fede. Ha voluto lei stessa la presenza dei crocifissi nelle aule, là dove mancavano. Non ha mai sollecitato gesti scaramantici. Ha invitato invece i ragazzi a non ridurre il segno della croce a un gesto di quel tipo”. Difficile dunque credere che la professoressa sia intervenuta per evitare che proprio quel gesto potesse urtare la sensibilità di studenti atei o professanti fedi diverse da quella cattolica, anche se le solite cornacchie hanno già iniziato a straparlare di relativismo culturale.

E’ probabile, invece, che abbia ragione il vescovo: l’insegnante ha invitato la ragazza a non ridurre il segno della croce a scongiuro. Qui però si apre una questione molto complessa di cui una professoressa di religione dovrebbe essere a conoscenza, se non per esigenze didattiche almeno per evitare di finire sul giornale. Fin dalle sue origini il segno della croce ha un valore apotropaico che difficilmente si può scindere dal significato simbolico, ovvero l’affermazione della fede nel Dio trino e le virtù del sacrificio di Cristo in croce. Sant’Atanasio, dottore della Chiesa e vescovo di Alessandria d’Egitto, ad esempio lo raccomandava in sostituzione degli amuleti pagani. Solo nel Medioevo però si apre un dibattito dottrinale vero e proprio sull’utilizzo di pratiche apotropaiche.  Tommaso d’Aquino distingueva tra segni leciti e illeciti e permetteva l’uso del testo evangelico come amuleto, analogamente a quello delle reliquie dei santi che venivano appese al collo. Si tratta di usanze e credenze che sono sopravvissute fino a noi, anzi che oggi godono di enorme popolarità: dalla medaglietta miracolosa di santa Caterina Labouré, alle bottigliette piene di acqua di Lourdes, passando per i rametti di ulivo distribuiti la Domenica delle Palme. Sono le moderne versioni degli antichi filatteri.

Tornando al segno della croce, molte chiese protestanti proprio in virtù di una decisa rottura con la cristianizzazione di pratiche pagane, hanno abolito il segno della croce e mettono in discussione i vari tentativi di giustificarlo biblicamente. E’ così che il “segnarsi” o “segnare” diventa per il protestante un gesto superfluo, se non proprio rischioso viste le sue degenerazioni superstiziose.

Camisasca, che a differenza dell’insegnante conosce bene la materia, infatti aggiunge: “Desidero nel contempo onorare la fede di quella ragazza. Con un gesto tanto semplice ed essenziale, quanto profondo – il segno della croce al passaggio di un malato – ha voluto esprimere che la fede cristiana è carità. Il segno della croce ci riporta a Dio che manda suo Figlio a farsi uomo e morire per noi, anzi per ogni essere umano. Una preghiera per chi soffre: cosa c’è di più umano, di più cristiano, di più caritatevole? Desidero, poi, ringraziarla perché, con quel gesto semplice, ci ha ricordato il valore pubblico della fede. Non si accende una lampada per nasconderla (cfr. Mt 5,15), ha detto Gesù. La proclamazione pubblica della fede, sempre nel rispetto di ogni altra credenza e opinione, è un bene per tutti. Come posso incontrare l’altro se non gli rivelo chi sono, ciò in cui credo, ciò che sostiene e anima la mia vita? Nessuno deve aver paura dell’espressione pubblica della fede. Questo vale per tutti, in una società che sarà arricchita e non impoverita dall’incontro tra diverse identità culturali, nel solco della storia cristiana che ci costituisce come popolo e nazione”.

Per evitare guai e spiacevoli incomprensioni, l’insegnante la prossima volta potrebbe limitarsi a leggere in classe le vite dei santi. Nessuno se la prenderà, nemmeno atei e diversamente religiosi.

 

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