In che modo istituzioni e imprese possono collaborare efficacemente per lo sviluppo e la crescita del nostro paese?
Queste e altre questioni sono state discusse in un incontro svoltosi lunedì 26 settembre 2011 presso il Polo Universitario di Scienze Sociali di Firenze. La giornata ha visto la partecipazione del Rettore dell’ateneo fiorentino Alberto Tesi, del Presidente della Provincia Andrea Barducci, del Vicepresidente di Confindustria Leonardo Bassilichi, del Senatore Achille Passoni, tra i promotori di un disegno di legge che mira a ridurre il fenomeno della precarietà del lavoro, dei docenti dell’Università di Firenze Paolo Cappellini, Preside di Giurisprudenza, Riccardo del Punta, Ordinario di Diritto del Lavoro, Franca Alacevich, Preside di Scienze Politiche.
Hanno aperto i lavori le testimonianze di due giovani laureati dell’ateneo fiorentino, attualmente ricercatori a tempo determinato presso le università di Stanford e di Bologna.
Tutti i relatori hanno concordato nel ritenere la flessibilità come un elemento ormai strutturale di tutte le economie avanzate. Il fenomeno della precarietà, invece, subentra quando si assiste a una cronicizzazione della flessibilità che diventa patologica e che mina la crescita di un intero sistema economico. Non sembra che esistano ricette infallibili per contrastare un fenomeno così ampiamente diffuso come il precariato e che certa politica ha contribuito a tollerare. Ingegneria normativa, comportamenti virtuosi da parte delle imprese e delle istituzioni, potenziamento degli ammortizzatori sociali, interventi di politica industriale, internazionalizzazione dei percorsi formativi, riequilibrio del costo del lavoro sono tutti fattori che possono contribuire a contrastare un fenomeno largamente diffuso anche a causa della grave crisi economica attuale.
Se la politica può e deve fare la sua parte, occorre che tutti abbiano consapevolezza dell’importanza della ricerca e della formazione come uniche vere carte vincenti per la competitività, in un mercato globale, di un paese avanzato come il nostro. La fuga di ricercatori di ottimo livello dall’Italia costituisce un danno economico che il nostro paese non può più permettersi, considerata l’ingente spesa da parte di un’intera collettività per la formazione dei propri giovani.
Investire sul futuro di una generazione significa allora ascoltare anche chi, con grande difficoltà e magari dall’estero, contribuisce a mantenere eccellente il contributo qualitativo della ricerca italiana.
Politica, imprese, istituzioni, sono tutti chiamati a fare la propria parte avendo ben chiari gli obbiettivi, e, soprattutto, i mezzi con cui raggiungerli.