Milano – Il valore pratico di una norma, cioè la sua capacità di incidere sul comportamento delle persone, dipende in gran parte dalla fiducia di queste nella sua stabilità. Se pensano che la norma resterà in vigore abbastanza a lungo, è più probabile che conformino i propri programmi a quanto essa dispone. Viceversa, se temono che essa possa cambiare facilmente al primo mutar del vento, la sua efficacia sui loro programmi sarà pressoché nulla. Il premier Conte, che pure è un brillante avvocato, non sembra esserne consapevole.
Nel 2015, per consentire la prosecuzione dell’attività dello stabilimento Ilva di Taranto affidato al Commissario governativo, viene emanato il cosiddetto “scudo”: una norma che esclude l’applicazione della sanzione penale per eventuali illeciti ambientali, in considerazione dei complicatissimi problemi tecnici della gestione, che renderebbero molto incerti i confini dell’ipotetico reato. Nel 2017 Arcelor Mittal, facendo affidamento su questo “scudo”, assume la gestione dello stabilimento. Poi arriva il Governo Conte I, che con il decreto-legge n. 34 dell’aprile scorso abolisce lo “scudo”, ripristinando, con effetto dai primi di novembre, la sanzione penale. Arcelor Mittal, dunque, annuncia il proprio recesso dal contratto di affitto dello stabilimento.
Qui non interessa discutere se le clausole del contratto consentano o no questo recesso, né quale sia il suo vero motivo, ma solo sottolineare quanto sia ingenuo e vacuo il tentativo del Governo Conte II di convincere la multinazionale a restare offrendole il ripristino di uno “scudo penale”. Come può l’impresa fare affidamento su un quadro legislativo così volatile? Al pari dell’onorabilità delle persone, anche l’affidabilità di un ordinamento legislativo richiede molto tempo per essere costruita, ma basta un giorno per distruggerla. Ed è proprio quello che il legislatore italiano ha fatto. Col risultato che, nella trattativa tra il Governo e Arcelor Mittal, qualsiasi promessa di nuove norme, stabili come foglie al vento, perde ogni valore.