Solo Berlusconi ha la capacità di accelerare processi apparentemente destinati al loro naturale evolversi inerziale; la probabile decisione giudiziale di interdirlo dai pubblici uffici potrebbe portare, nonostante le rassicurazioni di rito, ad un precoce squagliamento del governo Letta-Letta. Con la necessità di anticipare le grandi-piccole manovre di riassestamento-riallineamento da parte dei leader politici. La pax giudiziaria è ben lungi dall’essere calata sulla cosiddetta “guerra dei 20 anni”.
In questa direzione lavora la mai sopita cordata D’Alema-Renzi (leggi il nostro D’Alema-Renzi, l’asse che non ti aspetti del 13 aprile) per portare il rottamatore alla guida del Pd e, magari, alla Presidenza del Consiglio visti i tempi magri di PdL e 5 stelle e quelli non pervenuti delle scelte civiche di montiana memoria (è il caso di dirlo). Il sindaco di Firenze lavora alacremente per fissare le regole del congresso e non tornare a fare la figura del pollo. Bersani e Letta (Enrico) permettendo. Ma non lui direttamente; in realtà il grande pontiere tra Renzi e i vertici del partito è quel fino a ieri sindaco di Reggio, oggi ministro Graziano Delrio, figura sempre più emergente dello scacchiere nazionale del centrosinistra e molto ascoltato dalle cordate in campo.
Paiono lontani anni-luce frasi tipo “tutte balle” a proposito della criminalità, sussurrate da un timido sindaco Delrio alle feste dell’Unità. Quando ancora un primo cittadino neofita di cose amministrative recitava a memoria il protocollo da sindaco post-ulivista. Scrollatosi di dosso le pastoie delle risposte di rito, vagamente ad affetto (più che altro boomerang), retaggio di mode veltroniane, il nostro ne ha fatta di strada. E ne farà fare ancora tanta. Diciamo la verità, partito per Roma con la sua troupe, dalle nostre parti reggiane sembra tutto terribilmente scontato.
Sembra; in realtà anche da noi, dove il dibattito è latitante assai, gli equilibri correntizi dovranno essere ritrovati. Ma all’insegna di quella pacificazione armata e sorridente che solo un Pd vincente può pretendere. Il bersaniano Luca Vecchi sarà il candidato sindaco alle amministrative di primavera. Non ci piove. L’anima popolar-renzian-castagnettiana ha già avuto un Delrio per (quasi) due mandati ed ora tocca a un rampollo dei Ds che furono. E gli scout-civatiani che guardano più a sinistra che al centro? Gli eterni under 40? Per ora si dovranno accontentare di piazzare Mirko Tutino in un assessorato comunale importante poi si vedrà se i tempi saranno maturi (prima di marcire). A breve a Reggio calerà lo stesso Pippo Civati a ratificare gli accordi d’autunno. Le primarie per il candidato sindaco son lontane nonostante le rimostranze di Matteo Sassi e di Sel che alla fine si placheranno con qualche poltrona.
Ci sarebbero anche i contendenti; a livello locale vittime di sviluppi disgregativi ancor più incontrollabili. Il PdL terrà a settembre gli Stati generali in attesa di un nome “forte” su cui far convergere le attese di un gruppo dirigente oggi più compatto e di un elettorato decrescente. Il futuro grillino invece è del tutto indecifrabile. Scomparsi dalla scena civica locale, alle prese con epurazioni e diktat, e fortemente in crisi d’identità, sembrano oggi assenti dall’agone. Nel senso che non c’è nessuno che stia programmando qualcosa. Il buon Matteo Olivieri non nasconde la propria delusione. Il nome del giovane Davide Valeriani quale candidato 5 stelle per ora resta solo un nome. Nemmeno lui ha sciolto le riserve. Insomma il Pd ha già vinto; o meglio non può che decretare lui stesso la propria sconfitta. E’ vero che ci ha abituato a tutto ma questa volta le forze e le congiunture sono talmente a suo favore che nemmeno un suicidio collettivo di stampo apocalittico potrebbe dare esiti diversi.