Il Verde urbano frontiera contro i cambiamenti climatici e culturali

Intervista a Mario Bencivenni, uno dei maggiori esperti di giardini

Verde urbano, forestazione urbana. Sono parole che sempre più riecheggiano nella nostra vita quotidiana. Un aspetto del decoro urbano che manifesta altri importanti profili come assorbimento e contrasto dell’inquinamento, ma anche come buona pratica per cercare di contenere gli effetti del cambiamento climatico. Sulla questione abbiamo interpellato il professor Mario Bencivenni, uno dei maggiori esperti di giardini pubblici e privati a livello nazionale e europeo.  

1.Cosa significa verde urbano?

“La parola e la res sono moderne, cioè appartengono all’età contemporanea e in particolare alla nascita della città che si modifica a seguito dell’affermazione della rivoluzione industriale e della rivoluzione Francese. Col nuovo modo di produzione industriale e capitalistica e con l’affermazione del modello politico liberal-democratico, la città che dall’antichità all’età moderna aveva mantenuto caratteristiche omogenee, subisce trasformazioni senza precedenti sia in termini dimensionali che di forma. Gli equilibri secolari che collegavano il nucleo compatto del corpo edificato agli ampi spazi aperti naturali agricoli o boschivi posti subito fuori il limes delle mura urbiche con l’avvento della città metropoli che si espande a macchia d’olio genera un nuovo fenomeno che presto viene appunto denominato col termine “verde urbano”. Nella città compatta medievale o rinascimentale il verde urbano era inesistente o limitato alla forma dell’”hortus conclusus” di pochi palazzi signorili o dei Conventi, mentre con la nuova metropoli dell’era industriale la sistemazione a verde di ampi spazi pubblici diventa la condizione primaria per garantire la qualità della vita degli abitanti”.

2. Un concetto che mette in pratica anche il diritto, emerso dalla Rivoluzione Francese, che anche il cittadino abbia la possibilità di godere della bellezza e della salubrità del verde. Insomma, il verde urbano segnala anche il passaggio a una sorta di diritto alla bellezza di stampo democratico?

“E’ così, tant’è vero che nel corso dell’Ottocento, con l’affermarsi della tecnologia industriale e della democrazia, le nuove grandi realizzazioni non sono più solo opera di principi o aristocratici, ma delle Comunità e delle amministrazioni pubbliche. Le nuove grandi imprese giardiniere prendono infatti la forma di passeggi, giardini e parchi pubblici realizzati dalle Amministrazioni comunali “per i piaceri del popolo”. Ed è infatti con i grandi piani regolatori che governano i grandi ampliamenti delle capitali o grandi città di tutta Europa fin dalla prima metà dell’800 che il verde urbano diventa elemento fondamentale della città contemporanea”.

3. Cosa lo lega alla tradizione precedente?  

“Il verde urbano recepisce la secolare tradizione dell’arte dei giardini, o meglio “orticola” per finalità ora pubbliche, garantendo a scala urbana i due elementi fondamentali per cui nasce fin dall’antichità “l’Hortus”: l’utilità (l’alimentazione e i medicamenti) e la delizia ( la bellezza). Nella nuova metropoli industriale il verde e in particolare le alberature di alto fusto (il bosco urbano) diventano fattore indispensabile della qualità della vita dei suoi abitanti per il decoro (l’estetica/bellezza) e salubrità (la salute). Pur nelle profonde trasformazioni apportate dalla tecnologia dell’età industriale (nuovi materiali e strumenti, ampliamento dei collegamenti fra i continenti) nella coltivazione dei giardini ( cultus hortorum) della grande tradizione giardiniera consolidatasi nei secoli passati permangono tuttavia due fattori indispensabili: “la cura” e “il giardiniere””.

4. Come viene applicato in concreto questo passaggio dell’”orto-giardino” pubblico?

“Il caso di Firenze è emblematico. Il Poggi mette in concreto questi principi nel piano di Firenze Capitale, con i viali di circonvallazione che diventano giardini lineari e il Parco delle Cascine finalmente aperto a tutti, oltre ai vari square dentro la città. J. C. Loudon,  un  orticultore, scrittore e progettista che diventa tecnico-giardiniere e progetta giardini pubblici e privati nella Londra di inizio ‘800, disegna quel bellissimo schema della città (in parte seguito dai suoi successori), impiantato su fasce concentriche: dal nucleo originario di Londra, l’espansione viene prevista a fasce concentriche intervallate a fasce di giardini e verde. Il sistema di verde a viali che circondano la città di Poggi a Firenze ripresenta questo tipo di schema. Tirando le fila, il verde urbano è un elemento della città introdotto nell’età dell’industria e della svolta altrettanto fondamentale della Rivoluzione Francese che introduce l’elemento della democrazia nella vita di tutti i cittadini”

5. Tornando all’oggi?

“Oggi, questo valore di utilità si è ancora più accentuato, dal momento che lo sviluppo delle nostre città ha comportato la saturazione dell’aria ad esempio con le polveri fini, di cui una volta non c’era traccia, del terreno, dello spazio, facendo emergere ancora di più quei valori di salubrità del verde che già gli si riconosceva. Di converso, stiamo distruggendo gli habitat naturali limitrofi alla città con la cementificazione. Un fenomeno che non risale a secoli fa, ma al secondo dopoguerra e che ha comportato modificazioni importanti del territorio, che prima delle grandi edificazioni degli anni ’60 continuava a mantenere lo storico aspetto, ad esempio facendo riferimento all’area fiorentina, risalente all’età medicea”.

6. Il problema dunque, per il verde urbano, in nome del quale ad esempio si fanno grandi abbattimenti di alberi cui seguono altrettanti reinsediamenti di piantine giovani, il problema è davvero il cambiamento climatico o c’è qualche altra variante che forse interessa di più le modalità con cui vengono stilati i progetti della cosiddetta forestazione urbana?

“In realtà ritengo che il vero giro di boa per quanto riguarda l’intera tematica del verde urbano, non siano i cambiamenti climatici, ma i cambiamenti culturali e di tipo progettuale-concettuale nei confronti di questo bene. Ormai, il verde è sempre più considerato arredo urbano e non opera di giardinaggio. E’ questo il punto. L’altra faccia della medaglia è che, dal momento che si tratta d’opera d’arte in quanto giardinaggio, tutte le città d’Europa, straniere e italiane, si erano dotate di un servizio giardini che doveva accudire a questo bene. Con le esternalizzazioni, questo sistema viene smantellato, al pari dei servizi della luce pubblica, delle fognature, degli arredi come le panchine, ecc. come tra l’altro è evidentissimo a Firenze”.

7. Ma qual è l’impatto dei cambiamenti climatici in questo cambiamento di approccio?

“Ovviamente i cambiamenti climatici esistono eccome, e sono in buona parte opera dell’uomo. Ma sul verde urbano, l’impatto più gravoso è il cambiamento culturale. Ricapitolando, il problema del verde urbano è complesso da un lato, ma molto semplice dall’altro; si sta trasformando in un problema complesso perché lo si è svilito a un problema di arredo urbano, che non si cura né della bellezza, né dell’utilità. In questo, ha una sua responsabilità anche l’urbanistica tradizionale. Una volta esistevano i piani regolatori, che con chiare  cartografie fissavano determinati punti fermi. In questo momento invece il verde urbano diventa solo un elemento standardizzato, che può essere affrontato in termini puramente statistici. Ciò significa che, tornando a un esempio recente fiorentino, se vengono abbattuti tutti i pini di viale Redi e ne viene ripiantato lo stesso numero a Novoli, nel viale X Agosto, non si compensa viale Redi, dal momento che viale Redi non solo non ha più le piante (e i benefici) di prima, ma dovrà aspettare trent’anni (tanto serve ai nuovi ginko biloba dei reimpianti per raggiungere l’età adulta) per tornare alla situazione originaria. Questa contingenza è figlia dell’attenersi al metro statistico. Il ragionamento del tirare il bilancio di fine anno, con ad esempio 7mila piante abbattute e 10mila reimpiantate, non funziona. I metri quadri di verde per cittadino sono la risultante della divisione di metri quadri generali per abitante. Ma dove e come sono ubicati? Questo non si dice. Se si distrugge, per tornare a Firenze, il verde all’Isolotto e lo si ricostruisce a Rifredi, in termini statistici i cittadini hanno ugualmente un certo numero di metri quadri di verde a testa, ma nella realtà chi gode è Rifredi, chi piange è l’Isolotto. Insomma è la stessa questione del pollo: fra due commensali, chi ne mangia due e chi zero, la statistica dirà che c’è un pollo a testa”.

8. Ma a livello legislativo non c’è nessuna tutela?

“C’è ad esempio l’importante legge 10/2013, che stabilisce che il bilancio arboreo del verde urbano non si deve fare più in termini statistici, bensì in termini catastali. Invece i bilanci arborei continuano a essere fatti in termini statistici. Perché possono farlo? Perché la legge 10/2013 ancora non ha un regolamento attuativo. Il presidente Massimiliano Atelli del Comitato per lo Sviluppo del Verde Pubblico, Ministero dell’Ambiente (si è dimesso in periodo pandemico) fa presente in tutte le relazioni che monitoraggi e relazioni fanno emergere le inadempienze rispetto alla legge, ma non ci sono poi strumenti sanzionatori nei confronti dei Comuni. Questo è il vero problema: ci sono leggi bellissime e importantissime, che tuttavia non hanno regolamenti attuativi. Ciò significa che possono venire eluse tranquillamente”.

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