Per poter fare una ricostruzione della vicenda Cristica abbastanza completa, ed avere così una conoscenza dei fatti e dei tanti personaggi che la popolano, da sempre, si è dovuto ricorrere ai Vangeli apocrifi. Con tutte le dovute cautele naturalmente. Non voglio annoiare nessuno con delle pretenziose ricostruzioni storiche, ne sono state fatte così tante, e sono stati scritti così tanti libri su Gesù e i Vangeli e dintorni che la famosa biblioteca di Alessandria non riuscirebbe a contenerli tutti. Personalmente raccomando al lettore di osservare ciò che propongo senza pregiudizi, con occhio attento, spirito critico, ma con una benevole comprensione che chi scrive ha fatto la sua fatica, e qui esprime le sue opinioni senza secondi fini. Il libro da me scritto: Diatessaron (armonia di vangeli, altri traducono vangeli mescolati) e sottotitolato “Il romanzo del Cristianesimo”. Il sottotitolo completa il quadro. I Vangeli canonici fusi assieme e riordinati, integrati in talune parti con l’apporto di alcuni Vangeli Apocrifi, attentamente selezionati e sintetizzati. La fusione dei quattro Vangeli canonici è integrale e unica nel suo genere.
Ma non sono qui per parlare di questo, è una piccola prefazione necessaria per offrire un quadro abbastanza comprensibile di ciò che propongo a chi mi legge. In questo libro ho cercato di ricostruire tutta la vicenda Cristica partendo dalla nascita di Maria e terminando con Paolo. Oggi, voglio parlare di Maria. Ma di mio dirò poco per il grande rispetto che provo per Lei. Lascio che siano gli scritti originali a farlo. Maria è una predestinata, non succube ma partecipe. Nasce annunciata da un Angelo, allevata ed educata nella tradizione ebraica e istruita dai sacerdoti del Tempio. Data in “sposa” (in nessun testo risulta che lei e Giuseppe si siano sposati, ma non significa nulla) a Giuseppe e madre di cotanto Figlio. Israele era governata da una teocrazia partecipata ma non democratica. Colonia Romana. Le leggi di Roma non riuscirono a fare braccia nel tessuto della società. Le fonti che propongo non sono diverse da quelle usate dalla Chiesa per parlare di Maria o quello usate nel Corano. Hanno solo delle sfumature diverse.
Per onestà intellettuale aggiungo che la mia è storiografia romanzata, ma non inventata. Tutto viene dai testi citati “mescolati” fra di loro. C’è un filo logico, e abbastanza verosimile, che lega la narrazione con la vita reale. Maria non è solo una donna mite, forse timida, obbediente, ma sa anche far valere le sue ragioni e le sostiene con forza. E’ coscientemente partecipe alla sua vita e al suo destino. Lo accetta ma non ne è supina. Dove ritiene giusto vuole sapere, si informa, discute, dice la sua con chiunque: Angelo o Sommo sacerdote che sia. Giustamente viene ricordata e commemorata. Ingiustamente viene esaltata la sua verginità, cosa che non ha nessun valore morale e spirituale. Troppo spesso ci si dimentica di cosa disse Cristo: “Così come tu giudicherai verrai giudicato”, e troppo spesso viene confusa la morale spirituale con il (becero) moralismo.
DIATESSARON
Il Romanzo del Cristianesimo
Sintesi del Protovangelo di Giacomo (il minore) – del Vangelo dello Pseudo Matteo – del libro sulla natività di Maria
1° parte.
Nei racconti delle dodici tribù d’Israele, si narrava di Gioacchino e Anna, sua moglie, entrambi della tribù di Giuda. Lui era un ricco allevatore, semplice e buono di animo. La loro storia inizia nei giorni prossimi alla festa della Dedicazione.
Gioacchino saliva a Gerusalemme, portando ricche offerte, per onorare la festa, come era solito fare tutti gli anni, assieme ad alcuni della sua tribù e a tanti figli d’Israele. Era un uomo di grande fede e molto generoso. I doni al tempio di Gerusalemme li faceva in misura abbondante dicendo:
“Quello che offro in più di quanto stabilito dalla tradizione, sia devoluto a tutto il popolo, e quello che do per la mia espiazione, secondo la misura che mi compete, sia per il Signore, al fine di renderlo attento alla mia vita”.
Ma Ruben, uno scriba del tempio, intransigente sulla tradizione, si piantò davanti a Gioacchino e guardando con disprezzo i suoi doni gli disse queste parole:
“Non è lecito che tu presenti le tue offerte e chieda i favori dell’Altissimo assieme a noi, perché non hai generato discendenza in Israele, come hanno fatto i nostri padri, e i padri dei nostri padri.
Non puoi pensare che essi siano accettati da Dio? Tu non hai figli, e hai la presunzione di stare fra noi fecondi, nonostante che Dio stesso non ti abbia ritenuto degno di generare!”.
Gioacchino aveva come moglie Anna, figlia di Isachar della stirpe di Davide, sposata secondo i riti nel giusto tempo, ma non ebbe da lei, in vent’anni di matrimonio, ne figli ne figlie. Si rattristò profondamente per le parole pronunciate dallo scriba e con il cuore in tumulto pensò di cercare nei registri delle dodici tribù del popolo per accertarsi se le parole dette da Ruben corrispondessero al vero.
“Voglio vedere se è scritto nei libri delle dodici tribù che solo io non ho generato prole in Israele”. Disse tra sè e sè.
Cercò nell’archivio e trovò, con immenso dispiacere, che tutti i giusti avevano avuto discendenti in Israele. Si ricordò del patriarca Abramo, al quale, solo nella sua vecchiaia, Dio aveva concesso un figlio: Isacco.
Con il cuore gonfio di dolore, e colmo di vergogna, non si presentò a sua moglie Anna, ma si ritirò fra i monti del deserto. Piantò la sua tenda in quell’immensa landa desolata e digiunò per quaranta giorni e quaranta notti mormorando fra sè:
“Rimarrò qui senza mangiare e bere, finchè il Signore, mio Dio, non mi avrà fatto la grazia di generare figli, e la preghiera sarà per me cibo, e bevanda saranno le mie lacrime”.
Anna, informata da alcuni messi sulla decisione presa da suo marito, si abbandonò ad uno straziante lamento:
“Piangerò per tutti i quaranta giorni della mia vedovanza”.
E diceva ancora,
“Piangerò per tutta la vita della mia sterilità”.
In lei, in quel momento di grande afflizione, vi era il pensiero che non avrebbe mai potuto avere figli, e che non avrebbe più rivisto suo marito. Giunse nel frattempo il gran giorno del Signore e tutto il popolo si preparava per la festa. Iudit (Giuditta), la sua serva, le disse:
“Fino a quando piangerai sulla tua condizione con l’animo abbattuto? Il gran giorno del Signore è venuto e non è giusto per te stare in angoscia, anche tu devi rendergli grazia con animo lieto.
Orsù, prendi questo nastro per i capelli, che mi ha regalato la padrona della bottega, per me non è conveniente indossarlo. Io sono solo una serva e questo nastro è degno di una regina”.
“Vattene via da me con queste tentazioni!”, le rispose Anna, “io non ho mai fatto cose di questo genere, e poi il Signore mi ha già umiliata abbastanza. E poi magari te l’ha data un tuo amante; e tu vuoi farmi partecipe della tua sconvenienza”.
“Quale maledizione più grande di questa posso io augurarti”, esclamò Giuditta risentita dalle parole dette a sproposito da Anna: “Se il Signore ti ha reso sterile in modo che tu non possa generare figli per Israele, è una grande condanna, ed io non ho colpa in questo!”.
Anna, nel sentire le parole dette da Giuditta, si rese conto del suo errore e ne fu afflitta. Si fece forza, si spogliò delle vesti da lutto, si cosparse il capo con profumi, indossò abiti degni di una sposa, uscì di casa e si offrì agli occhi del mondo e a quelli del Signore.
Si sedette sotto ad una pianta di alloro, e con il cuore gonfio di tristezza implorò il Signore con queste parole:
“Oh Signore, Padre dei nostri padri, benedici la tua serva ed accogli la sua preghiera, come hai benedetto, con la tua immensa benevolenza Sara, che ha generato nella sua tarda età un figlio: Isacco!”.
Sentendo poi un cinguettio venire dall’alto alzò lo sguardo verso il cielo e vide sulla pianta un nido di passeri con alcuni piccoli. A quella vista iniziò un lamento fra sè e sè:
“O Signore Dio onnipotente, che ad ogni creatura hai fatto il dono dei figli. Dalle bestie feroci ai giumenti, dai serpenti ai pesci, e infine agli uccelli. Tutti questi gioiscono per la maternità che concede in dono i figlioli, dunque: Solo me escludi da questo dono benigno? Perché un così misero destino?
Povera me! Di chi sono figlia? Quale è il ventre che mi ha concepita? E’ per questo che io sono diventata una maledizione dinnanzi ai figli d’Israele.
Essi mi hanno allontanata con ingiurie dalla Casa del Signore!
Povera me! A chi dunque assomiglio? Non sono simile nemmeno agli uccelli del cielo, perché anche gli uccelli del cielo generano prole al tuo cospetto, o Signore.
Povera me! A chi dunque assomiglio? Non sono nemmeno simile agli animali della terra, perché tutti loro hanno figli e figlie davanti a te, o Signore.
Povera me! A chi dunque assomiglio? Io non assomiglio a queste acque, perché anche da queste acque si genera prole davanti a te, o Signore.
Povera me! A chi dunque assomiglio? Non sono simile nemmeno a questa terra, perché anche da questa terra nascono frutti in tutte le stagioni, o Signore”.
Mentre Anna era tutta presa dalle sue lamentazioni, le apparve un Angelo del Signore innanzi che le disse queste parole:
“Anna, Anna, non temere. Il Signore ha ascoltato la tua preghiera e ti ha benedetta. Anche tu avrai un figlio.
Della tua prole si parlerà in tutte le nazioni del mondo con rispetto e ammirazione”.
Anna piena di soggezione e con il cuore gonfio di felicità rispose all’Angelo chinando il capo:
“Io sono l’umile serva al cospetto del Signore e come è vero che vive il Signore mio Dio, mio figlio, che sia maschio o che sia femmina, lo offrirò al Signore mio Dio. E se lo desidererà, potrà mettersi al suo servizio per tutto il tempo della sua vita”.
Poco dopo due giovani giunsero alla casa di Anna in veste di messaggeri e le portavano notizie di suo marito Gioacchino:
“Anna, presto, Gioacchino, tuo marito, sta tornando con le sue mandrie. Preparati ed accoglilo con gioia. Un Angelo del Signore gli è apparso e gli ha detto che un grande evento si prepara per la sua casa con queste parole: “Gioacchino, il Signore Iddio ha ascoltato la supplica che gli hai rivolto e ha esaudito la tua preghiera di avere un figlio. Scendi da questo monte, i giorni delle invocazioni sono finiti poiché tua moglie Anna concepirà un figlio”.
Gioacchino seguì prontamente il comando che gli aveva dato l’Angelo. Ritornò alla sua casa, chiamò i servi e i pastori, poi disse loro queste parole:
“Portatemi dieci agnelli senza difetti. Essi saranno dati in sacrificio per il Signore nostro Dio”.
Poi chiamò i custodi dei buoi e disse anche a loro:
“Andate fra i miei buoi e scegliete dodici giovani vitelli e portatemeli. Saranno dati in dono ai Sacerdoti ed agli Anziani del Tempio”.
Chiamò anche i pastori delle capre e li esortò ad eseguire questo suo ordine:
“Portate davanti a me cento capretti. Saranno immolati per il banchetto di ringraziamento al Signore Dio mio. Inviterò tutto il popolo perché voglio che la festa sia festa per tutti”.
Gioacchino era giunto alla sua casa seguito dalle greggi e dai pastori. Sua moglie Anna lo aspettava sulla soglia di casa vestita con gli abiti nuziali più belli che aveva.
Vedendo suo marito arrivare gli corse incontro e lo abbracciò fortemente stringendolo a sé, mentre copiose lacrime di felicità bagnavano le sue guance. Poi disse queste parole:
“Ora so che il Signore Iddio ha volto il Suo sguardo sulla nostra casa. Io ieri ero vedova, e oggi non lo sono più. Io, che ero senza la speranza di avere figli, concepirò nel mio ventre. Benedetto sia il Signore, Dio d’Israele e di tutte le genti, che ha accolto la nostra preghiera e ha fatto scendere su da noi la Sua grande misericordia”.
Da quel giorno Gioacchino riposò di nuovo nella sua casa. Scesa la sera invitò tutti i suoi amici e i vicini al grande banchetto che aveva organizzato per festeggiare la benevolenza del Signore. Tutti mangiarono e bevvero in allegria intonando canti, poi dopo aver reso grazie al Signore ognuno degli invitati se ne ritornò alla propria casa.
Il giorno seguente, mentre presentava le sue offerte al tempio, Gioacchino diceva tra sè:
“Se il Signore Iddio è il mio custode, mi manderà un segno di luce con la placca d’oro del sacerdote”.
Gioacchino fissava attentamente la lamina d’oro del sacerdote, e quando questi si avvicinò all’altare del Signore un riflesso accecante di luce lo abbagliò. Quello era il segno che aspettava. Non vide nessun peccato in lui e fu certo che il Signore Iddio, l’Altissimo, avrebbe mantenuto fede alla sua promessa.
Gioacchino pensò tra sè e sè: “Ora conosco la volontà del Signore e anche che ha perdonato tutti i miei peccati”.
Uscì dal Tempio con il cuore pieno di allegrezza e lodando le virtù del Signore fece ritorno a casa. Passarono i mesi della gravidanza di Anna, poi giunto il nono ella partorì. Era l’ora settima del ventunesimo giorno del mese di Elùl, l’otto settembre. Anna, terminato il travaglio, domandò alla levatrice:
“Che figlio ho messo al mondo?”.
La donna prese la neonata fra le braccia e mostrandola alla madre le rispose: “Una bellissima femmina”.
Anna, ricordando la promessa del Signore, esclamò:
“Oggi la mia anima e stata glorificata! Anch’io ho generato prole in Israele e la mia vergogna dinnanzi al popolo è finita”.
Poi pose la bimba nella culla. Trascorsi i giorni, che la legge prescriveva, Anna si purificò, e diede a sua figlia il nome di Maria. Quando la bimba ebbe sei mesi, la madre pose Maria a terra per vedere se riusciva già a camminare. La piccola fece alcuni passi e le tornò in grembo. Anna la riprese fra le sue braccia dicendo:
“Oggi faccio una promessa al Signore mio Dio: Tu non poggerai più il tuo piede su questa terra, fino al giorno che ti condurremo al Tempio del Signore secondo la promessa fatta”.
Le arredò la sua camera da letto come se fosse un santuario e non permetteva alla bimba di toccare cose profane o impure. Concesse a delle fanciulle ebraiche, senza macchia, di trascorrere giorni e notti a giocare con lei.
Giunto il primo compleanno della bambina, Gioacchino organizzò un grandioso ricevimento al quale invitò Sacerdoti, Scribi, il consiglio degli Anziani e tanti fra il popolo d’Israele.
Presentò la bambina a tutti gli invitati. I sacerdoti la presero fra le loro braccia e la benedirono con questa formula:
“Dio dei nostri padri, Dio di tutte le genti, poni la tua benedizione su questa bambina e fa che abbia un nome glorificato in eterno da tutte le generazioni”.
Tutto il popolo presente recitò in coro:
“Così sia! Così sia per l’eternità! Amen”.
I Sommi Sacerdoti, a loro volta, terminarono la funzione della benedizione dicendo:
“O Dio Santissimo, dall’alto dei cieli rivolgi il tuo sguardo benigno e misericordioso su questa bambina e benedicila con la suprema delle benedizioni, quella che non ne ha altre dopo di sè”.
Poi Anna portò Maria nella sua cameretta e mentre le dava la poppa levò un inno al Signore Iddio:
“Innalzerò una lode al Signore mio Dio, Lui che più di ogni altro mi ha guardata con amore e ha allontanato da me il disonore con il quale i miei nemici mi avevano ricoperta”.
Si affacciò alla finestra della cameretta di Maria, e mentre allattava la piccola, rivolgendosi agli invitati alla festa, disse:
“Udite udite, popolo d’Israele, il Signore ha fatto nascere in me il frutto della sua giustizia, che è unico e complesso innanzi a Lui per i secoli dei secoli, amen. Chi fra voi andrà dai figli di Ruben a dire che Anna allatta? Udite, udite, voi dodici tribù d’Israele: Anna allatta!”.
Quindi Anna mise Maria a dormire nella camera trasformata in santuario e ritornò fra gli ospiti della festa e riprese a servirli. Quando Maria compì due anni, Gioacchino disse ad Anna:
“Portiamo Maria al Tempio del Signore. Dobbiamo mantenere la promessa che abbiamo fatto alla sua nascita. Lo dobbiamo fare prima che il Signore ci mandi un Angelo e ce la richieda. Non ci deve succedere che la nostra offerta non sia più ben accetta a Lui e noi si diventi ai suoi occhi indegni e perversi.”.
“Aspettiamo che arrivi almeno ai tre anni d’età”, rispose Anna, “quando avrà meno bisogno del babbo e della mamma”.
“Va bene, aspettiamo i tre anni”.
Rispose Gioacchino convinto, sapendo bene che anche Anna era fermamente decisa di mantenere la promessa. Maria era oggetto di ammirazione e tutti erano pieni di meraviglia per la sua precocità.
Pur essendo una bambina di appena tre anni di età, Maria camminava con passo spigliato e sicuro. Parlava perfettamente tanto da suscitare stupore in tutto il popolo.
Giunsero infine i giorni nei quali la Maria compì tre anni. Gioacchino, venuto il tempo di mantenere la promessa, disse:
“Chiamate delle figlie di Ebrei. Quelle tra di loro che sono pure prendano una fiaccola. Stiano composte nel camminare ed accompagnino Maria con la torcia accesa all’interno del Tempio affinché non succeda che la bambina si volti indietro spaventata ed esca dal Tempio del Signore”.
Le giovani che accompagnavano Maria giunsero con lei al Tempio del Signore, si spogliarono degli abiti da viaggio e sotto, secondo l’usanza, indossavano le loro vesti più belle e linde.
All’interno del Tempio il Sommo Sacerdote accolse Maria. Le lavò le mani come dettavano le usanze, la baciò e la benedisse dicendo queste parole:
“Il Signore ha reso gloria al tuo nome per le generazioni future, e sarà in te, che alla fine dei tempi il Signore porrà la sua redenzione per tutti i figli d’Israele”.
Poi la issò sul terzo gradino dell’altare. Il patto era che se Maria si fosse voltata verso i genitori sarebbe ritornata alla sua casa, se invece fosse andata all’altare sarebbe rimasta nel Tempio con fanciulli e fanciulle per essere educata ed allevata in timor di Dio.
E il Signore Iddio fece scendere su di lei la sua grazia e questo è quello che videro i figli di Israele riuniti nel tempio: Ella danzava e rideva di felicità, e i suoi piedi sfioravano appena i gradini dell’altare. Tutta la casa d’Israele era affascinata da lei.
E questo invece è quello che vide Maria: La grazia del Signore nelle vesti dall’Arcangelo Gabriele scese nel Tempio per accoglierla.
Il maestoso Angelo pose un ginocchio a terra per meglio avvicinarsi al viso sorridente di felicità della piccola Maria e la salutò con queste parole:
“Salute a te Maria, piena di grazia, luce agli occhi del Signore, un grande compito ti aspetta, va dunque incontro al tuo destino”.
Maria fissò il suo sguardo in quello di Gabriele e con il viso raggiante di felicità rispose queste parole che chi guardava confuse con risa di bimba:
“Ti ringrazio Gabriele, inviato del Signore, che si compia dunque la Sua volontà. Tornerai ancora da me?”.
L’Arcangelo mise fra i capelli di Maria un piccolo fiore bianco come la sua veste immacolata e con il gambo color dell’azzurro dei cieli infiniti, poi le disse queste parole:
“Al giusto tempo ritornerò. Questo è il pegno per la promessa che ti ho fatto”.
Poi Gabriele, l’Arcangelo, svanì come era apparso. I genitori di Maria tornarono alla loro casa pieni di soddisfazione, ringraziando il Signore perché la bambina era andata incontro al suo destino.
Maria rimase nel Tempio, dove, si diceva, che fosse allevata come una colomba e che ricevesse il cibo dalla mano di un Angelo.
Così iniziò il suo tempo di preparazione. Lei conservava nel cuore il ricordo dell’incontro con l’Arcangelo Gabriele.
In quello stesso anno un grande cordoglio si diffuse per tutta la nazione. Morì il Sommo Sacerdote Elèazar, e per il lutto il popolo d’Israele lo pianse per trenta giorni.
Terminati i giorni tristi vennero chiamati in assemblea tutti i Sacerdoti del Tempio, gli Scribi, gli Anziani, e di altri scelti fra il popolo perché tutti assieme dovevano eleggere un nuovo Sommo Sacerdote, secondo l’usanza.
La scelta di tutto il popolo riunito nel Tempio cadde su Zaccaria, figlio di Barachia. Su di lui, come segno di fratellanza, di benedizione e di obbedienza, tutti imposero le mani e così lui divenne ministro del Santuario con la speranza che la sua missione fosse illuminata dall’Altissimo.
Intanto gli anni passavano fra mille e mille avvenimenti. Maria cresceva in età, in bellezza e in purezza finché giunse il tempo nel quale ella compì dodici anni.
Era consuetudine delle famiglie di Israele, appartenenti alla tribù di Giuda e alla discendenza di Davide, di affidare l’educazione delle loro figlie al Tempio affinché venissero istruite, custodite in santità e giustizia prima di giungere al matrimonio.
Ma prima del tempo stabilito dalla tradizione, per Maria, successe un fatto inconsueto: Il sacerdote Abiathar offrì ai pontefici innumerevoli doni per poter dare la fanciulla in moglie a suo figlio.
Questa richiesta, del tutto inconsueta, suscitò un grande clamore fra gli Scribi e i Sacerdoti che, d’accordo con i Sommi Sacerdoti, decisero di chiedere a Maria il suo pensiero.
Anche questo fatto rappresentava un precedente a cui la nazione di Israele non aveva mai fatto ricorso.
Tutto questo perché la fanciulla incuteva rispetto e ammirazione fra tutto il popolo e i Sacerdoti. Tutti avevano timore di incorrere nell’ira di Dio se avessero esercitato su di lei indebite pressioni o l’avessero sottoposta a vessazioni o coercizioni.
Maria ad ogni modo si opponeva alla richiesta di matrimonio avanzata dal sacerdote Abiathar, adducendo che questo non era il disegno del Signore.
Ma l’opinione dei pontefici e di tutti i suoi parenti era molto diversa dalla sua e per questo le dicevano:
“Dio si onora con i figli e si adora con i discendenti, come è sempre stato in Israele”.
Lo dicevano innanzitutto perché vedevano conveniente per Maria questo matrimonio, data la posizione sociale della famiglia dello sposo. Maria allora disse a loro:
“Se questo è il vostro pensiero voi non conoscete le vie del Signore. Dio si onora prima di tutto con la purezza del cuore; ed io non voglio disonorare il suo nome”.
Nelle parole di Maria nessuno vide eresia e le parole della fanciulla convinsero il popolo riunito nel Tempio che quella era anche la volontà di Dio, e così si mise fine al dibattito.
Quando Maria giunse all’età di quattordici anni si giunse ad un giorno decisivo per il suo avvenire. Nel Tempio del Signore i sacerdoti e i farisei si riunirono per definire questa questione una volta per tutte e tennero consiglio.
Breve commento.
I commenti a margine che propongo sono da me fatti in tutte quelle parabole o affermazioni, prevalentemente di Cristo, che hanno un valore spirituale legato all’assoluto. La nostra vita si basa esclusivamente su dei relativismi, le nostre opinioni sono relative a.., la nostra vita è relativa al perché della nostra vita: un relativismo. Maria esprime un giudizio tremendo, ma quanto mai vero, sulle classe religiosa di allora, e su tutti le religioni del mondo: “Voi non conoscete le vie del Signore [..]”.
Cristo stesso, nel corso del suo Ministero, più volte dirà: “Guai a voi, Scribi e Farisei, ipocriti…[…]. E’ in atto l’eterno dilemma. Le religioni, e le classi sacerdotali in genere pretendono di parlare a nome di Dio ma non solo. “Dio si onora prima di tutto con la purezza del cuore; ed io non voglio disonorare il suo nome” dice Maria ai sacerdoti. Invece cosa fanno loro? Fanno delle loro parole e delle loro azioni comandamenti, precetti in nome di Dio e più realisti del re governano i popoli con pugno di ferro: “Ama il prossimo tuo…”, promuovono guerre sante, crociate, inquisizioni, scomuniche ecc. ecc. ecc. ecc. ecc. basta! “Non gli basta il potere, vogliono che la divinità sia al loro servizio. Non è compito mio giudicare e non voglio farlo, mi limito solo ad osservare ed analizzare. Ci penserà la storia e poi Dio a farlo meglio di me. Io, purtroppo, sono dentro alla storia, come tutta l’umanità, e nessuno di noi è senza colpa e nessuno di noi può dire: non lo sapevo.
Oggi tutti sanno tutto e c. Leggendo queste pagine mi sono indignato per la tracotanza, per l’ignoranza religiosa di quei tempi che si perpetua nei secoli in tutte le religioni fino ai nostri giorni e a tutti apparirà comprensibile perché Gesù è stato crocefisso: “Fu condotto al macello così come si conduce una pecora, e sta, come un agnello, dinnanzi a chi lo tosa in silenzio. Dalla sua bocca non esce verbo. Nella sua umiliazione il giudizio gli è stato da tutti negato. Allora chi potrà mai descrivere la sua discendenza? Poiché da questo mondo la sua vita è stata divelta”.