Il Torneo (della montagna) dalle uova d’oro

Ma in campo scenderanno veri big?

Gianluca Ferrari

E siamo a 60. Anche quest’anno la sete di calcio degli sportivi reggiani trova la sua bevanda preferita nel classico appuntamento estivo del Torneo della Montagna. La competizione, che esordì nel  lontano 1948 con il nome di “Coppa Giornale dell’Emilia”, è una delle kermesse sportive più longeve dell’intera penisola ed ancora oggi è seguita con entusiasmo e partecipazione dal popolo dell’Appennino reggiano e parte di quello modenese.

Il torneo è da sempre un fatto di costume oltre che di sport che ha accompagnato generazioni intere a sostenere la propria squadra e nei mesi estivi unisce e diventa simbolo di un intero paese. La manifestazione, durante i suoi sessant’anni di vita, ha visto nascere e crescere quella rivalità campanilistica fra paesi che è ormai divenuto un carattere distintivo del torneo e dalla quale esso non può prescindere. Non si può fare a meno di ricordare, tra le altre, le storiche sfide tra Baiso e Carpineti, l’accesa rivalità tra Vetto e Cola, l’antagonismo sportivo tra Casina e Felina o ancora quello tra Cerredolo e Cavola. Rivalità calcistica a cui nemmeno il comitato organizzatore può rinunciare, vista la composizione dei vari gironi secondo un criterio geografico e di vicinanza.

Quest’anno la gara d’apertura è stato il derby tra San Giovanni e Vianese che solo due anni fa parteciparono insieme arrivando a giocarsi la semifinale, ma la scorsa edizione furono protagoniste di una polemica circa il presunto “furto” di un locale che ha accentuato ancora di più la rivalità tra i due vicini. Scaramucce montane a parte, l’interrogativo è il solito. Vincerà la squadra che avrà il parco locali più organizzato o chi ha pescato meglio e prima tra i big di lusso? Esterni o locali, questo il problema.

Come da regolamento ogni formazione partecipante può inserire nella propria lista un massimo di 5 giocatori che non risultano residenti nel paese della società sportiva iscritta al torneo e che non abbiano avuto, nella stagione corrente, alcun tesseramento con società appartenenti alla FIGC (quindi professionistiche). Quest’anno i big di lusso che scenderanno in campo sono diversi, tra tutti Salvatore Greco (Vianese) e Luca Ferrari (Borzanese) entrambi reduci dalla grande annata in serie D con la maglia della Bagnolese. E’ proprio da questa serie alla quale attingono le varie società per rinforzare ulteriormente la propria squadra a scapito anche di qualche sacrificio piuttosto oneroso, sopratutto data la breve disponibilità di questi giocatori.

Sì perché i vari Greco, Ferrari e compagni, uomini da ventimila euro l’anno, saranno molto probabilmente disponibili per le sole gare eliminatorie a causa del protrarsi del torneo fino a fine luglio e della legittima richiesta delle società detentrici del cartellino di ritirare il proprio atleta per la preparazione alla stagione successiva. Nel caso queste società non abbiano troppe pretese, i compensi di questi giocatori saliranno alle stelle qualora dovessero giocare le semifinali o la finale del torneo. E sarà forse anche per questo che arriveranno in fondo le formazioni che pescheranno nelle categorie inferiori giocatori dalle più basse esigenze ma disponibili fino alla conclusione della manifestazione.

Non a caso la vincitrice delle ultime due edizioni, il Cavola, ha confermato quasi tutti i protagonisti del recente bis e può contare su esterni che giocano insieme da anni. Per non parlare poi delle clamorose “bufale” che sono sempre dietro l’angolo: giocatori militanti ormai nelle categorie più basse con un passato però in C-2 o addirittura in C-1, che spesso si rivelano non all’altezza del sacrificio operato. Quest’anno, nelle fila della Borzanese giocherà anche l’ex partecipante del reality Campioni, il simpaticissimo Sossio Aruta che, a 39 anni si è trovato a giocare le qualificazioni alla Champions League con la sua Tre Fiori, squadra della Repubblica di San Marino. Il curriculum insomma, anche in un torneo campanilistico come questo, conta e non poco.

In conclusione, una riflessione che sembra quasi dovuta: non sarebbe forse più giusto puntare meno sui fantomatici “big”, spinti dalla sempre maggior voglia di visibilità e di racimolare qualche dollaro in più, e concentrare invece maggiori risorse sui “personaggi” locali, spinti invece da quel furore agonistico e quella sana rivalità di paese che tanto piace al pubblico della montagna. I risultati, alla fine, mi danno ragione.

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