Il Teatro del silenzio 2016, Andrea Bocelli mago d’alchimie

Lajatico – Dal podio, il maestro Marcello Rota guida l’Orchestra del Teatro Carlo Felice di Genova attraverso le note che suo nonno Nino scrisse per Fellini, e subito un corteo di colorati, istrionici figuranti dalle facce dipinte da clown si materializza tra la folla oceanica del pubblico, corre sventolando bandiere, roteando attrezzi da giocolieri attraverso i corridoi che separano i settori della platea, si dirige, ondeggiando sulle melodie del film “La strada”, verso il palco, un microcosmo anch’esso felliniano, cinto da una corona di elementi metallici che, prima che cali la sera, ricordano le ultime scene di “Otto e mezzo”, e dopo, col buio , s’illuminano come la skyline di una metropoli elettrica, fluorescente. La sera di sabato 30 luglio, “Le Cirque”, l’undicesimo atto del tributo d’amore che Andrea Bocelli dedica, attraverso la magia effimera del Teatro del Silenzio, alla propria terra, alla propria gente, ai propri illustri colleghi artisti, inizia da qui.
Ecco l’incalzante ritmo binario che apre il prologo dei “Pagliacci” di Leoncavallo. «Si può? Si può? Signore! Signori!», canta Leo Nucci, leggendario baritono. Poi Bocelli, che pochi minuti prima ha fatto il proprio ingresso trionfale su una carrozza nera trainata da un cavallo bianco, affianca Rota in proscenio, mentre gli orchestrali introducono l’aria “Vesti la giubba”.
I primi acuti del padrone di casa sulle note di «Ridi, pagliaccio!».

Da lì, una sfilza di sfide tecniche che porteranno il tenore italiano più amato al mondo a scalare le vette di Verdi, Puccini, Donizetti, Giordano. Il primo duetto: da “Pagliacci” siamo a “Rigoletto”, di cui Nucci, da anni, è uno dei più acclamati interpreti. La sua voce e quella del celebre soprano coreano Sumi Jo si affiancano in “Piangi, Fanciulla… Sì, vendetta”, un loro cavallo di battaglia (lo cantarono insieme a Trieste nel 1986: una recita fortunata che portò Jo a Salisburgo, da Karajan). «Leo è il mio Rigoletto preferito», ci raccontava Sumi Jo prima delle prove generali di venerdì 29. «Una persona davvero speciale. È con lui che ho debuttato al Metropolitan di New York. E sì, eravamo insieme a Salisburgo, nel 1989, per quel “Ballo in maschera” che Karajan, già molto malato, non riuscì a portare in scena. Lo facemmo con Solti e i Wiener, l’anno dopo. Tappe fondamentali del mio passato con cui ora, al Teatro del Silenzio, mi misuro di nuovo. Bello, emozionante: non c’è niente di meglio per capire quanto, come artisti, si è maturati». «Ad oggi, questo straordinario personaggio l’ho portato in scena 523 volte in tutto il mondo», ci spiegava Nucci. «Il suo fascino è intramontabile. Basta vedere la vibrazione d’esaltazione che attraversa il pubblico al momento dell’esplosione di rabbia dell’aria della “Vendetta”. Accade sempre. Tutti noi, dentro, abbiamo dei torti, grandi e piccoli, che vorremmo vendicare».

Splendidi giochi illuminotecnici fendono un cielo stellato cristallino: il migliore dei tendoni possibili, per questo circo che presto svanirà, lasciando spazio ai silenzi bucolici che qui regnano tutto l’anno, con l’unica disobbedienza di questo show. I 350 abiti di scena preparati, con materiali riciclati, da Scart, sono uno spettacolo nello spettacolo: Maurizio Giani, Claudia Tortora e il loro team di sarti e costumisti, che include ragazzi extracomunitari che con Scart hanno reinventato la loro vita, hanno fatto miracoli. Le loro creazioni danno anima a mangiafuoco, saltimbanchi, equilibristi, giocolieri, acrobati, cavallerizzi, domatori. Quando il grande elefante di luce che troneggia alle spalle del palco spegne le sue iridescenze fluo, entrano gli elefanti veri. Due, enormi. Si concedono una quieta passerella attorno al laghetto artificiale (un antico abbeveratoio per il bestiame) che fa da fulcro all’evento. Tornano anche i cavalli, fastosamente addobbati, e anche loro volteggiano in cerchio.
Ma questa vitalità circense cui la direzione artistica di Alberto Bartalini e la regia di Luca Tommassini hanno lavorato a quattro mani inizia, appunto, già dalla serata di venerdì. E da giorni Lajatico è galvanizzato dalle sculture di luce di Marco Lodola, che da giorni accendono il centro storico, e dalle atmosfere dal gusto sensualmente orientale che le lanterne rosse di Bartalini regalano all’illuminazione cittadina (un’invenzione poetica toccante, capace di racchiudere, da sola, la sognante visionarietà di quest’edizione 2016). «Ogni anno, la capacità che Bartalini ha di trasformare in salotto il centro di Lajatico ci sorprende», dice il sindaco Alessio Barbafieri. Che, dopo le prove, loda il tocco che la regia di Luca Tommassini ha saputo dare a “Le Cirque”: «Un’artista dall’anima pop che reinventa il melodramma con un omaggio all’arte circense. Difficile immaginare una sfida più entusiasmante».

Venerdì, in più momenti dello spettacolo, applausi a scena aperta per l’intrecciarsi delle arie d’opera con la perfetta gestualità dei ballerini e degli acrobati, un’alchimia che Andrea Bocelli ha spiegato con efficaci parole: «Il melodramma e il circo sono entrambi una metafora della vita». E anche ora, sabato, i tantissimi arrivati qui, come sempre, da ogni continente, formano un fiume in piena. Che generosamente tracima nei momenti (tanti) in cui il pathos dell’interazione tra canto e ballo, tra musica ed effetti scenici (le luci laser che disegnano onde sinuose, le mongolfiere di carta che salgono in cielo a lume di candela), raggiunge un’acme. Ad esempio nelle scene corali di “Aida” e “Carmen”, dove il canto e la voce degli strumenti s’intrecciano alle coreografie rock di ballerini i cui muscoli palpitano a ogni battuta, a ogni accento.
Anche durante lo show, i ragazzi dell’Abf, l’Andrea Bocelli Foundation, dai loro stand, divulgano materiali sui progetti umanitari che l’organizzazione segue da anni. Giovanni Allevi raggiunge il pianoforte a coda – dipinto a striature zebrate com’è, sembra vivo – nella seconda parte: assieme all’orchestra suona il suo “Sunrise”; poi accompagna Bocelli ne “La Danza” di Rossini. Ma la vera sorpresa è un altro Bocelli. Matteo, 18 anni, uno dei figli di Andrea. Altezza e portamento da modello, bel volto mediterraneo, ha un timbro sorprendentemente simile a quello del famoso padre. Col quale canta “L’onda di suoni mistici” e “Di quella pira” dal “Trovatore”. Con loro, il soprano Svetla Vassileva, mora beltà dalla voce d’angelo. Al Teatro del Silenzio le voci sono una granitica certezza, e anche questa volta è così: applausi scroscianti, oltre che alla Vassileva, per il mezzosoprano Tiziana Carraro, i baritoni Gianfranco Montresor, Federico Longhi e Claudio Ottino, il basso Paolo Pecchioli, il Coro del Carlo Felice, i giovanissimi Cantori di Burlamacco.
Si chiude in bellezza con “Bohème”: la scena d’insieme del secondo atto. E coi bis, certo. “Nessun dorma”, da “Turandot”, un asso nella manica che il maestro toscano sfodera sempre volentieri; la canzone “Nelle tue mani”, scritta da Badelt sulle melodie del “Gladiatore”. I maxischermo mostrano il video del brano: Andrea Bocelli che lancia il proprio destriero al galoppo, come un Edgardo che corra ad abbracciare Lucia, come un cavallerizzo in vena di prodezze. Il melodramma, il circo. Una stessa metafora ai cui estremi c’è la vita.
Andrea Lanini

 

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