Firenze – Dopo i clamori della cronaca sono andata a vedere la mostra di Ai Wei Wei, come si suol dire, a palle ferme. E a parte il rilievo, inevitabile, sull’impegno militante di Ai nelle vicissitudini del presente, come quelle riguardanti le migrazioni dall’Africa e dal Medio Oriente sul suolo europeo e sulle vessazioni, sofferenze e morte di migliaia di esseri umani, poste con violenta denuncia sulle pareti di un palazzo che fu del potere, mi sembra che si debba sottolineare anche un significato storico-culturale profondo,per non dire filosofico, nel complesso della sua opera.
Nonostante certe azioni dissacranti, come la dipintura dei vasi neolitici da intendersi come polemica contro il potere tout court, quindi anche quello degli antichi imperatori appartenenti a dinastie secolari, il rapporto di Ai con la storia è profondo e affonda le radici in una realtà lontanissima, eppur sentita presente anche sul piano personale, al punto che la storia si fa materia viva nella sua opera ed è fonte essa stessa d’ ispirazione.
Se percorriamo le sale della mostra di Palazzo Strozzi, perfino le installazioni più iperboliche per un visitatore legato ad espressioni artistiche tradizionali, come le biciclette “Forever” dalle stupefacenti prospettive, hanno un richiamo non solo autobiografico ma alla storia della Cina di ieri.
Ancor più evidente è il legame storico in opere come “Wood”, dove gli oggetti lignei.-.panchetti .-. sono costruiti secondo l’antica tradizione cinese, senza colla né chiodi, ma solo ad incastro; e dove un tavolo della dinastia Qing è appoggiato alla parete colma di simboli della vita stessa di Ai, delle sue ribellioni e delle sue sofferenze. Una delle sale più suggestive, ”Sichuan”, ricorda i settantamila morti del terribile terremoto di quella regione, vittime del crollo degli edifici costruiti ignorando ogni elementare norma antisismica, colpa che il governo non volle mai riconoscere. Wei Wei espone piccole bare e costruisce l’enorme drago, simbolo della Cina, con gli zainetti dei bambini morti, riuscendo a formare un enorme serpente in bianco e nero di meraviglioso effetto.
Per ricordare la distruzione del suo studio a Shangai , ad opera del governo provinciale, l’artista fa una costruzione con le pietre e i mattoni di quei muri crollati inserendovi la cornice di una porta della dinastia Qing, quasi a dire : questa era la Cina di ieri, con bellissimi lavori artigianali e questa è la barbarie di oggi.
Alcune installazioni in materiale prezioso e fragilissimo .-. la porcellana appunto .-. intrecciano la più antica ed esclusiva arte cinese con episodi repressivi della vita di Wei Wei, come quello della mancata inaugurazione del suo studio a Shangai , perché appunto distrutto, e quindi del mancato banchetto, a base di granchi, che avrebbe dovuto festeggiarla : una distesa di piccoli granchi in porcellana dipinti di rosa e bruno.
Insomma ciò che stupisce in un occidentale è questa duplice anima del cinese che, mentre contesta il potere con tutte le sue forze andando incontro a persecuzioni, carcere e ostracismo, riesce a richiamare il passato e la storia in funzione del presente fra amore e contestazione, atteggiamento ignoto, direi , in Occidente, in qualsiasi tipo di opposizione. Per non parlare dell’Italia dove la memoria storica è cortissima ed incide a livello zero.