Firenze – In tempi di consuntivi a fine stagione, non può che essere largamente positivo quello del Teatro di Rifredi. Che si è mosso con eclettismo consapevole, ribadendo i suoi hit e le sue vocazioni (scuola, ragazzi, infanzia, famiglie, Istanbul, nuova drammaturgia), dando forma alle idee e contenuto ai progetti, fra novità e riprese, scoperte e conferme, produzioni e ospitalità internazionali, divertimento e impegno.
Premiato dal pubblico, che vi riconosce una approdo sicuro, libero da compromessi e da eccessivi cerebralismi, Rifredi marcia con la consapevolezza di svolgere un “ruolo” utile, coerente quanto originale, civile quanto istruttivo, nella diffusione e articolazione di una materia che non può permettersi nell’odierna congiuntura socio culturale troppe distrazioni.
O perdite di identità. Ne fa fede “L’ospite. Una questione privata”, penultimo titolo in cartellone (l’ultimo, la prossima settimana, sarà “Storie d’amore e di calcio” di e con Michele Santeramo), produzione Pupi e Frededde insieme a Uthopia, che nei giorni scorsi ha debuttato in prima nazionale.
Scritto da Oscar De Summa e diretto da Ciro Masella, anche interprete insieme a Aleksandros Memetaj, L’ospite affronta con baldanzosa inquietudine e smagliante frenesia un rosario di temi caldi e scivolosi: l’accoglienza, il rispetto delle differenze, i confini della propria e delle altrui libertà, il rapporto con l’autorità e le forze dell’ordine (pestaggi e depistaggi rimandano direttamente alla morte di Stefano Cucchi), in un ping pong di gesti parole atteggiamenti, che ci mettono di fronte a un fatto incompiuto che ci costringe da che parte stare.
La domanda che “L’ospite” pone allo spettatore è semplice, drammaticamente diretta: cosa potrebbe succedere se tornando a casa una sera, il nostro nido messo su con rinunce e sacrifici, lo spettacolo che ci troviamo davanti sono i cassetti aperti, gli armadi svuotati, i letti disfatti, le cose sparse ovunque, la nostra identità brutalmente violata.
L’intruso è uno straniero, arriva da un paese vicino appena ieri in guerra. L’abbiamo fatto prigioniero, mani e piedi legati, non importa come. L’importante è che sta lì davanti a noi, ora terrorizzato ora minaccioso ma sempre impotente.
La vittima diventa il carnefice e la legittima difesa invoca niente compromessi, reazioni violente moralmente giustificate e socialmente necessarie. E qui sta un altro, non da meno, corollario: qual è il limite fra il difendersi da un torto e il trasformarsi, armi in pugno, in giustizieri della notte? Ciro Masella e Aleksandros Memetaj si contendono strenuamente, con determinismo e bravura, il ruolo del buono e del cattivo, in bilico su quel confine ambiguo e di questi tempi sempre più traballante, che separa il bene e male.
Inteso come una “prova” aperta che i due ogni sera si concedono per sondare e svegliare il proprio lato oscuro, la propria sete di vendetta e il proprio grado di vulnerabilità, L’ospite comunica una ansia di prestazione che confina con l’isterismo. Ma la nevrosi, febbricitante in Masella raziocinante in Memetaj, è funzionale al gioco di coppia, al deflagrare del sadismo del paradosso, alla moltiplicazioni dei piani di lettura indagine e tortura, frastagliati da continui corpo a corpo, veri campi minati dove l’umorismo nero dell’assurdo e la spossatezza identitaria beckettiana incrociano la polpa pulp di un Tarantino, crepuscolare masnadiero di fiction ai limiti dell’insostenibile.