“Il rumore della pioggia” in una Firenze inquieta e tenebrosa

Firenze – “Le stradine piccole e strette su cui sembravano precipitare quei palazzi enormi, come giganti pronti a muoversi e colpire. Quelle strade che finivano in altre strade, ad angolo, a incrocio, dove vedevi a malapena uno spicchio di cielo, non capivi più nemmeno dove eri. Anche l’aria era grigia. Come i palazzi, come il vento, come la pioggia”.

Un’atmosfera plumbea, una narrazione agile e tuttavia ricca di sfumature, una trama dove il ritmo scandisce una concatenazione logica che ricorda gli autori classici del giallo e porta all’ inaspettata conclusione . “Il rumore della pioggia” (Giunti,2016) opera prima del giornalista Gigi Paoli ha tutti gli ingredienti per una lettura avvincente ma anche ricca di suggestioni indotte dall’ambiente in cui si volge il racconto.

A cominciare dalla pioggia incessante che sferza Firenze e la rende simile a quei films in bianco e nero che erano considerati il format ideale del giallo. Poi il Palazzo di Giustizia, detto Gotham City per antonomasia. E ambienti che di per sé suggeriscono il mistero come la massoneria, ambienti ecclesiastici e poi antichi negozi soffusi anch’essi di atmosfera misteriosa. La Firenze chiassosa, colorata, festante del turismo di massa è altrove.

Abbiamo rivolto all’autore, attualmente capo cronista de La Nazione a Empoli, con una significativa esperienza nella cronaca giudiziaria a Firenze, alcune domande per cogliere lo spirito di questo thriller-noir.

Che ruolo gioca  Firenze  nel tuo libro ?

​”Ha un ruolo fondamentale. Firenze è lo sfondo sul quale si muove tutta la storia. Potrei dire che Firenze è essa storia un personaggio portante all’interno del racconto: la sua pioggia, i suoi palazzi, le sue strade. Firenze è lo specchio che tutto riflette: il bello sì, ma anche gli angoli bui”.

Solare come è di solito rappresentata o  “gotica”  come  si addice a un thriller  Firenze ha sempre un fascino particolare…

“​La città più bella mondo, no?​ In parte lo è davvero, ma Firenze non è, o almeno non è solo quella dei film di Hollywood o dei turisti giapponesi: non è solo Duomo, Uffizi, Piazza della Signoria. Oltre a queste tre pietre angolari, che hanno reso Firenze quel che è nel mondo, è una città diversa, c’è l’Oltrarno con le sue stradine piccole grigie, con i suoi grandi palazzi che nascondono storie e segreti dietro pesanti portoni. Firenze, per me, è molto più gotica che solare. La sento più “;mia” nelle tortuose viuzze dell’Oltrarno che nei grandi viali del Poggi”.

Quali gli autori di gialli a cui ti sei ispirato?

​Il mio giallista preferito, da sempre, è Michael Connelly, che non a caso è l’ex cronista di nera del Los Angeles Times. Mi piace il suo modo di scrivere: secco, frasi brevi, frasi a effetto. Un modo inarrivabile di scrivere libri con lo stesso linguaggio e la stessa forma del giornalista. Accanto a lui, sul mio personalissimo podio personale, ci sono Don Winslow, un grandissimo narratore, e Tom Clancy, scomparso da qualche anno, il cui “La grande fuga dell’Ottobre Rosso” è come un manuale per imparare a tenere alta la tensione nel lettore pagina dopo pagina. Fra gli scrittori italiani rimango affezionato al primo Carofiglio, alle prima avventure del suo personaggio, l’avvocato Guerrieri, ma qui i miei gusti si fermano. Non sono molto “nazionalista” nella lettura di gialli.

 Hai curato particolarmente il ritmo della vicenda che per un thriller è essenziale…

“​Il complimento più bello che possono farmi è quando mi dicono di aver letto il mio libro in un giorno o due al massimo. Io credo che sia fondamentale, per un giallo, mantenere alto il livello della tensione: infatti ho cercato di concludere ogni capitolo con un colpo di scena o, comunque, con una novità che invogli il lettore ad andare avanti, a correre fino alla fine del libro per scoprire la soluzione del giallo. Ci ho provato, spero di esserci riuscito”.​

Un  giornalista, un’indagine  che si alterna ai problemi della vita quotidiana. quanto  ti riconosci  nel protagonista?  

“Direi più che abbastanza. E non ho dubbio alcuno nel dire che è molto più facile occuparsi di cronaca giudiziaria, di indagini, che crescere da solo una figlia oggi teenager. Le inchieste, i gialli, prima o poi si risolvono, si chiudono. Invece i figli, ovviamente detto scherzando, sono come l’ergastolo: fine pena mai”.

Gigi Paoli ha in preparazione un altro romanzo che avrà come protagonista l’intrepido e sagace giornalista Carlo Alberto Marchi. Attendiamo di leggerlo tutto d’un fiato, come questo.

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