Giuseppe Pederiali, Il Monastero delle Consolatrici, Garzanti 2014, 288pp., 17,60€
“In certi momenti la pianura somiglia al mare, specialmente quando il vento muove il grano, il granoturco, la soia, il sorgo e forma onde simili a quelle salate, ma con prudenza, senza burrasche. Marinai di questo mare, verde in primavera, giallo d’estate, marrone d’autunno, qualche volta bianco d’inverno, erano i camionisti. Molti passavano sulla statale 496 diretti a Mirandola, Poggio Rusco, San Benedetto Po o Guastalla, oppure, superato il grande fiume, a Mantova, Cremona o Palazzolo sull’Oglio. Con una deviazione di pochi chilometri raggiungevano un golfo tranquillo, con poco traffico, sulla strada che passava nei pressi dell’antico monastero delle suore agostiniane di Nostra Signora della Consolazione.”
Durante la loro traversata dell’interminabile pianura i marinai di terra dell’ultimo romanzo di Giuseppe Pederiali – Il Monastero delle Consolatrici, uscito per Garzanti a un anno esatto dall’improvvisa scomparsa del grande narratore emiliano – approdano per qualche ora a un porto sicuro: un ex convento disperso nella campagna modenese, fra la via Emilia e il grande fiume.
Qui si è installata una piccola e insolita comunità guidata da Nara, madre single per scelta e per spirito d’indipendenza. Accanto a lei il figlio Dimes (etologo più a suo agio con le rane che con gli umani), Silvano (proprietario del monastero e di un passato misterioso), Angiolina (energica ottantenne ex attrice, ex soubrette, ex prostituta), le giovani Irina e Bianca (sottratte a una gang di sfruttatori), don Ottavio (sacerdote inviato come vice-vice-parroco in montagna per punizione), Sandro/Sandra (ermafrodito innamorato della propria metà eternamente mancante), la cagna Puja e il maiale da compagnia Troia. Un bizzarro circo di personalità all’apparenza lontanissime, ma legate da un filo sottile: la consapevolezza di essere pesci fuor d’acqua, individui inadatti a un quieto confondersi con l’ambiente circostante.
Sotto la guida di Nara la strana famiglia dà vita al proprio speciale porto per marinai di terra: un agribordello – completamente casto nonostante le dicerie dei paesani – dove con tagliatelle, lambrusco e poesie si curano la solitudine e la nostalgia di casa.
Con questo romanzo postumo Pederiali torna a visitare luoghi reali e letterari ben noti ai suoi lettori: la bassa emiliana e la Selvabella di uno dei suoi romanzi più famosi, la Milano del dopoguerra, il Grande Buco – leggendario mare sotterraneo dove vivono le creature delle leggende – e poi Nomadelfia, la grande famiglia per orfani creata da don Zeno Saltini nell’ex campo di concentramento di Fossoli. Ed è proprio Nomadelfia, utopia realizzata con tenacia e contro tutte le difficoltà da un prete fuori dagli schemi, a raccontare al meglio il messaggio del romanzo, un messaggio che attraversa tutta la narrativa di Pederiali: gli esseri umani sono determinati da quella porzione di bene che scelgono di fare gli uni per gli altri. Come pezzi unici – necessari ma non sufficienti – di un puzzle, acquistano senso solo nell’unirsi e nel completare con le proprie irregolarità quelle altrui.
Un messaggio, questo, che Pederiali ha saputo trasmettere con straordinaria efficacia tramite il proprio personale, affascinante, autoironico e generoso tratto di scrittore e – soprattutto – di essere umano.