Il revival della camicia nera

Firenze – Tra fascismo e antifascismo la scelta è facile. Facile per chi conosce la storia e ancora di più per chi quella storia, mi riferisco al (F)ascismo, l’ha conosciuta attraverso il racconto di persone vicine. Si, per quelli come me, con nonni e nonne, genitori, zie, vicini di casa che raccontavano la fame, la paura, gli episodi tragici, talvolta tragicomici, che avevano scandito la loro vita ai tempi del duce e della guerra, è facile essere antifascisti.

La scala “rimpiattata” sotto l’albero di fico, così da poter saltare rapidamente il “muro del borro” nel caso che una “squadraccia fascista” si fosse fatta viva. Le armi nascoste nei forni del cimitero perché i tedeschi, si diceva, avevano paura a entrarci. Quella volta, “dopo le elezioni del 1921, che fui chiamato fuori dalla Trattoria Torquato” e qualche mese più tardi “dalla Società Filarmonica al Cinematografo e fui bastonato dai fascisti”. I tegami, portati sotto un ampio scialle, con un po’ di mangiare per i partigiani che presero a sbattere tra loro, “tanto tremavo quando incappai in una pattuglia di tedeschi, risposi che erano un po’ di fagioli per il babbo al lavoro nei campi, andò bene”. L’incredulità nello scoprire un po’ di roba da mangiare dove prima c’erano stati tedeschi e fascisti, la corsa per prenderne un po’ e poi, dopo aver capito che era il mangiare dei cani, divertirsi a invitare tutti ad assaggiarlo: “Nessuno aveva mai mangiato cibo per cani così buono !!!”. Lo schiaffo del babbo “perché davanti al padrone non mi ero tolto il cappello. Non gliel’ho mai perdonata: al padrone, non al babbo”.

E’ facile non correre il pericolo di ammalarsi di fascismo quando si possono intrecciare così tanti fili di memoria fino a farne una corda tenace. Il (F)ascismo è l’olio di ricino, la stanza della civetta, le botte fuori dal cinematografo, è l’uomo nero che ti porta via. E non è la mancanza di memoria storica che pesa e l’aver abdicato a costruire una memoria antifascista del presente che oggi rende tutto più difficile.

Il pensiero peloso del “fascismo non esiste”, pura vigliaccheria politica quando viene praticato a sinistra e feroce calcolo elettorale quando viene da destra, è un segnale dell’imbarbarimento dei nostri tempi. Eppure, bisogna dargliene atto, i fascisti fanno di tutto per essere notati. Sono l’anima del tifo in numerose curve. Presenti nelle scuole, gestiscono sedi politiche e negozi di souvenir del ventennio, minacciano preti e attivisti che lavorano con i migranti, in qualche occasione, i più narcisisti, hanno cominciato a sparare. Per loro, d’altra parte, essere visibili è di vitale importanza e il loro marketing politico funziona così bene da condizionare campagne e alleanze elettorali.

C’è un vento tagliente di destra che spira forte, una lama gelida che è uscita dall’area della marginalità politica e del disagio. Un vento che gli osservatori più attenti, i militanti della sinistra antifascista, gli esponenti dell’associazionismo solidale, iniziarono a percepire fin dalla seconda metà degli anni ’80 che si è gonfiato senza trovare alcun ostacolo nel corso dei ’90 e oggi ha finito per tracimare verso l’alto, penetrando nell’immaginario collettivo di ampli settori dell’opinione pubblica. Un vento alimentato da una classe politica autoreferenziale che per calcolo e per opportunismo, sempre più spesso riproduce e amplifica quegli stessi timori e paure che sarebbe chiamata a dissolvere. Finendo, così, con l’assecondare una pericolosa saldatura tra senso comune e razzismo diffuso che sta minando le basi della tenuta democratica del paese.

Il sindaco di Macerata che chiama alla smobilitazione antifascista in nome della sicurezza è il segnale più odioso di questo clima ed ancora più disarmante l’adesione immediata al suo appello dei vertici di ARCI, ANPI, CGIL, PD. I fascisti no, loro si sono fatti sentire subito: lo sparatore “uno di noi”. Il clima lo consente e se il candidato leghista Fontana, quello della “razza bianca in pericolo”, ma gli esempi potrebbero moltiplicarsi, ha ammesso che le sue esternazioni gli hanno valso popolarità e consensi, vuol dire che qualcosa di profondamente marcio è venuto a galla. Un fiume di rancore, di disillusioni, di calcoli elettorali fatti sulla pelle degli altri che hanno finito per trasformare la realtà in una narrazione incoerente e surreale dove ciascuno cerca e trova solo conferme alle proprie opinioni. La Politica non fa eccezione, tanto che sarebbe questa la prima campagna elettorale senza confronti diretti tra i leader delle maggiori forze politiche, nessuno parla con nessuno. Ciascuno immerso nella contemplazione della sua post-verità.

Come uscire da questa situazione? Difficile dirlo, probabilmente questo resterà lo scenario con cui dovremmo confrontarci nei prossimi anni. Serviranno coraggio, sensibilità, intelligenza, per disperdere quella coltre di melma che tra crisi economica, disagio, globalizzazione perversa, egoismo sociale, sostiene questo inquietante revival dell’uomo nero. Il pericolo non è il (F)ascismo, pericolosi sono i fascisti e prima lo capiamo e meglio sarà per tutti.

Massimo Carrai, politologo

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