A 45 anni dalla nascita del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) la Sanità Italiana ha davanti a sé la grande sfida di continuare a mantenere i principi fondanti di universalità, uguaglianza ed equità, sfruttando la trasformazione digitale per continuare ad offrire la risposta ai bisogni, sempre più crescenti, di salute dei cittadini con risorse che si stanno dimostrando insoddisfacenti.
L’incidenza della spesa sanitaria pubblica, misurata percentualmente nella sua incidenza sul PIL, passa dal 7,5% del 2020 a poco più del 6,9% del 2022 per tendere nel 2026 al 6%, con un incremento dal 2024 al 2026 di soli €4.238 milioni (+1,1%), ben al di sotto dell’inflazione, tanto che nel 2022 ha coperto solo il 75,9% della spesa sanitaria totale (sistema ISTAT-SHA), al cui restante 21,4% hanno contribuito le famiglie con la spesa out of pocket e al 2,7% i fondi sanitari e le assicurazioni. Con la conseguenza che circa 3 milioni di cittadini italiani hanno rinunciato a curarsi.
D’altra parte, i dati dell’andamento demografico e delle malattie croniche evidenziano che nel 2023 il 63,4% della popolazione è nella fascia 15-64 anni e nel 2070 sarà il 54,3% a fronte del 10% oltre gli 85 anni, con il 40% dei cittadini che soffre di almeno una patologia cronica, consumando il 60% della spesa totale.
Altro motivo di preoccupazione è la carenza di personale sanitario che colpisce soprattutto alcune specialità mediche (es. emergenza e urgenza) e l’area infermieristica i cui posti nei corsi di laurea non vengono saturati. La media nazionale di infermieri è di 6,2% per 1000 abitanti, ben al di sotto della media OCSE del 9,9 con un’incidenza infermieri/medici del 1,5% vs il 2,7% della media OCSE.
Il 40% dei medici oggi sarebbe interessato a svolgere la professione all’estero, non solo per fare un’esperienza qualificata, ma anche per il miglior trattamento economico e la maggiore considerazione riconosciuta e riservata ai professionisti medici.
Per quanto riguarda gli infermieri, se uno stipendio medio vale 1.600/1.700 euro, in Svizzera, dove lavorerebbero secondo Fnopi 4.000 dei 6/7.000 infermieri passati a lavorare all’estero dalla Lombardia, il compenso è di 5.000 euro segnalano difficoltà e ritardo di accesso ai servizi pubblici.
Le diseguaglianze in sanità tornano ad essere importanti; il 79% dei cittadini che risiedono nel Sud e nelle Isole sentono forte il problema della migrazione sanitaria che in questi decenni non si è riusciti a superare. Secondo un’indagine del gruppo Cerved compiuto su 5.000 famiglie in tutta Italia nel 2022 il 47,9% delle famiglie hanno fatto rinunce almeno parziali, nel 14,9% dei casi in modo rilevante, con possibili impatti sulla salute.
Si tratta di un fenomeno complesso che si polarizza attorno a due profili:
Da un lato 10 milioni di famiglie a basso reddito, presenti in tutte le Regioni italiane, ma prevalentemente nel SUD, segnalano ritardi e difficoltà di accesso ai servizi pubblici. Esse sono gravate da una spesa sanitaria che incide pesantemente sull’economia famigliare con una quota media di 950 euro pari al 5,5% a del reddito netto. Per queste famiglie la causa principale di rinuncia è il costo non sostenibile delle prestazioni. Si pensi che nel 2022 la pesante inflazione (8,1%) è stata decisamente superiore alla crescita del reddito familiare (3%).
Sulla sostenibilità della spesa sanitaria a carico delle famiglie si gioca una delle questioni più rilevanti per la tenuta sociale del nostro paese. Negli ultimi anni si sono estese le aree di vulnerabilità: secondo ISTAT le famiglie in povertà assoluta hanno raggiunto la cifra di 1,9 milioni, mentre quelle in povertà relativa sono 5,6 milioni.
Per queste fasce di popolazione la crescita della spesa sanitaria privata non è sostenibile. La condizione economica incide notevolmente sulla propensione ad utilizzare servizi sanitari a pagamento, ma è significativo che il fattore determinante ancora più del reddito, sia l’area geografica e che le prestazioni private siano scelte maggiormente nel sud e nelle isole. Nelle regioni del mezzogiorno le famiglie che utilizzano le prestazioni private sono il 63% nelle visite mediche, contro il 48% al nord, il 54% degli esami diagnostici, contro il 32% del nord, il 79% dei servizi paramedici vs 71% del nord e il 47% dei servizi ospedalieri, vs 24% del nord.
D’altro lato è molto ampio il profilo in cui la principale motivazione di rinuncia è la non disponibilità delle prestazioni richieste e una qualità di servizi non rispondente alle attese. L’inadeguatezza dei servizi offerti è la motivazione principale di rinuncia nelle famiglie più giovani ed è di grande importanza nella fascia di scolarità elevata, nelle famiglie con figli e in quelle con anziani o altre persone che necessitano di assistenza.
Due sono i profili principali: quello delle famiglie vulnerabili (circa 10 milioni) e quello dei bisogni emergenti legati al cambiamento socioculturale per cui l’obiettivo è il mantenimento della condizione di benessere e non solo di cura al momento della malattia.
In questo contesto merita un punto di riflessione importante il ruolo del welfare aziendale e la possibile integrazione tra servizi pubblici e privati.
Cresce ogni anno la propensione delle imprese a rafforzare il loro ruolo sociale occupandosi del benessere dei propri lavoratori e delle loro famiglie e queste politiche sono premiate dal miglioramento della produttività e dai risultati aziendali. Per questo motivo la spesa sanitaria a carico delle aziende è la componente che nei prossimi anni può crescere maggiormente.Il welfare aziendale può contribuire a razionalizzare la spesa privata aggregando le famiglie dei lavoratori, trasformando una parte della spesa individuale in collettiva, offrendo bacini di utenza a fornitori di servizi sanitari, contribuendo in tal modo ad accelerare la diffusione dei servizi innovativi.
Le imprese raggiungono 11 milioni di famiglie di lavoratori appartenenti a tutti i profili sociali. Sono vicini alle famiglie, in grado di rilevarne i bisogni e di offrire soluzioni puntuali ed efficienti.
Dall’altro lato, è importante fare comprendere come il nostro Servizio Sanitario Nazionale sia anche un motore di sviluppo economico, come ha dimostrato un rapporto Censis-Fnomceo appena presentato; di crescita occupazionale, di progresso scientifico e di coesione sociale.
Secondo le risultanze del rapporto ogni euro immesso genera un valore della produzione prossimo al doppio. Questo perché la domanda di beni e servizi attivata dalla spesa sanitaria pubblica si irradia al resto dell’economia. Partendo da un dato della spesa sanitaria pubblica del 2022 di 131,3 miliardi di euro, inclusa la ricerca e sviluppo, il valore della produzione interna diretta, indiretta e dell’indotto, ad essa ascrivibile è stimata pari a 242 miliardi di euro. (pari ad un moltiplicatore 1,84).
I settori che direttamente e indirettamente ne beneficiano sono le attività dei servizi sanitari, per un valore della produzione di 126 mld con quasi 1,3 milioni di occupati, il settore dell’assistenza sociale con 8,6 mld di valore di produzione ed un’occupazione di 180 mila persone, il commercio al dettaglio e all’ingrosso , con quasi 9 mld di valore e 95.000 occupati e poi settori professionali e di servizi qualificati di tipo amministrativo, legale, contabile, di consulenza gestionale con un valore della produzione di oltre 3 mld di euro per oltre 30.000 addetti.
Il Servizio Sanitario Nazionale è uno dei più importanti datori di lavoro del paese con 670.0000 addetti a cui aggiungere oltre 57.0000 medici di medicina generale, titolari di guardie mediche e pediatri di libera scelta.
Incrementare la spesa pubblica vuol dire espandere l’occupazione. Se la spesa pubblica pro capite italiana, pari a 2226 euro salisse al valore di quella francese di 3739 euro, a parità di potere di acquisto, la spesa sanitaria italiana crescerebbe di 89 miliardi di euro, pari al 10,9% del PIL italiano, con un incremento di totale occupati diretti, indiretti e indotti di 1,5 milioni di unità per un totale di 3,8 milioni.
In attesa di decisioni politiche che possano auspicabilmente incrementare il finanziamento pubblico, di strategie che possano riequilibrare la presenza di infermieri e di riforme strutturali che possano ridurre le liste di attesa e favorire l’accesso a strutture territoriali, piuttosto che alla rete di emergenza urgenza, la digitalizzazione pianificata nel Piano Nazionale di Resistenza e Resilienza deve essere vista sia come uno dei mezzi di attuazione della riforma territoriale prevista dal decreto 77, sia come uno strumento per integrare le prestazioni effettuate nei vari setting pubblici e privati, migliorando l’appropriatezza ed evitando duplicazioni, sia come la possibile soluzione per favorire la comunicazione tra medico e paziente monitorando l’aderenza terapeutica, riducendo il ricorso alle prestazioni in urgenza non necessarie e promuovendo la prevenzione che, secondo le evidenze scientifiche, può ridurre del 50% la prevalenza di alcune malattie croniche e ritardarne l’insorgenza anche di 20 anni.
In particolare, secondo dati del 2022 si stima che la mancata aderenza alle terapie farmacologiche, costi ogni anno 125 miliardi di euro in Europa e 105 negli Stati Uniti in termini di ospedalizzazioni evitabili, cure d’emergenza e visite ambulatoriali e, solo in Europa, un numero di decessi pari a 195.000. Si stima che in Italia se il livello di aderenza passasse all’auspicato 80% si determinerebbe un risparmio di quasi 900 milioni di euro per la sola ipertensione.
Le cause di mancata o scarsa aderenza ai trattamenti sono molteplici: complessità del trattamento, inconsapevolezza della malattia, follow-up inadeguato, timori di reazioni avverse, decadimento cognitivo e depressione.
Oltre alle soluzioni tecnologiche sarà necessaria una nuova cultura della salute da parte dei cittadini. I medici devono creare un’alleanza fiduciaria col paziente coinvolgendolo nella pianificazione e nella gestione del trattamento.
In questo contesto le strutture private accreditate, che sono gli erogatori del sistema sanitario (ospedali, ambulatori, residenze sociosanitarie) di natura istituzionale privata, che forniscono ai pazienti prestazioni prevalentemente finanziate dal SSN (Il 17,4% della spesa complessiva del SSN nel 2021 secondo il rapporto OASI 2022, con alcune grandi Regioni come Lazio e Lombardia oltre il 25%), si sono dichiarate propositive nel promuovere la collaborazione pubblico/privato per la sostenibilità del SSN.
Come privati sono autonomi nelle scelte strategiche e organizzative al fine di mantenere l’equilibrio economico della propria azienda, ma come accreditati, a contratto con il SSN, dipendono dalle regole e dalle dinamiche dello Stato e delle Regioni sia per quanto riguarda i finanziamenti (budget e tariffe), sia per quanto riguarda l’integrazione all’interno del sistema.
Il PNRR, nella missione 6, prevede l’ammodernamento del SSN sia in termini di investimenti in strutture territoriali (ospedali di comunità e case di comunità, centrali operative territoriali), sia attraverso l’acquisizione di tecnologie per rinnovare il parco macchine esistente, sia attraverso l’introduzione di strumenti digitali indispensabili per costruire un nuovo modello di sanità.
L’ investimento di 20 miliardi in 6 anni, ben al di sopra del 1,4 mld del 2018 e 1,7 mld del 2019 non è pensato per espandere il sistema, ma per trasformarlo attraverso una riallocazione delle risorse a fronte della popolazione sempre più anziana, esposta a cronicità e non autosufficiente e ad aree del paese che vanno incontro a rapido spopolamento.
I finanziamenti del PNRR, come noto, sono destinati al pubblico e non al privato, pur accreditato e a contratto con il SSN, ma quest’ultimo non può prescindere dal condividerne le iniziative ed organizzarsi per fare in modo che gli investimenti del sistema pubblico portino valore al Cittadino/Paziente.
Se ci soffermiamo sul digitale il PNRR prevede alcune direttrici chiare:
1)il potenziamento del Fascicolo Sanitario Elettronico (cosiddetto FSE 2.0), che viene inteso non più come un puro repository, ma come lo strumento di connessione tra gli attori del sistema, es ospedali, medici di base, pazienti, strutture territoriali, farmacie, al fine di consentire a ciascuno di essi di consultare, prenotare, condividere prestazioni e dati. Un passaggio da strumento per la gestione documentale a contenitore anche di dati strutturati che possano consentire al cittadino la possibilità di visualizzare non solo il referto, ma l’andamento dei parametri rilevati nel tempo.
2)la realizzazione delle infrastrutture digitali per ottenere l’interoperabilità dei sistemi e l’integrazione dei cittadini su tutto il territorio nazionale, oltre al potenziamento dell’ICT degli erogatori pubblici.
3)l’identificazione della casa come primo luogo di cura e la diffusione della telemedicina per cambiare il format dei servizi
4)la formazione dei cittadini, caregiver e operatori
Mentre il piano segue il suo iter e i suoi cronoprogrammi molto dettagliati con una metrica concordata con l’Unione Europea, basata su centinaia di indicatori e una pianificazione con precise tappe (progettazione, gara, realizzazione, collaudo) nell’arco temporale degli anni previsti, il privato accreditato (a contratto) ha la responsabilità di pianificare l’integrazione e ha l’opportunità di realizzare soluzioni digitali che preparino e formino gli operatori e i pazienti all’uso di strumenti digitali, ragionando in termini di ecosistema per fornire ai cittadini un servizio integrato e personalizzato, migliorando le cure ed il loro accesso, garantendo una stabile continuità assistenziale.
Sicuramente una fase indispensabile è quella del potenziamento dell’infrastruttura interna alle strutture sanitarie per rispondere ai requisiti del GDPR e della cybersecurity, così come l’aggiornamento dei Sistemi Informativi Ospedalieri e l’introduzione della Cartella Clinica Elettronica, ma altrettanto importante è il change management e la formazione degli operatori sanitari.
Le strategie di trasformazione digitale devono partire dalla consapevolezza di dovere affiancare alle più innovative soluzioni tecniche un’azione sistematica di valutazione dei percorsi clinici e organizzativi e delle competenze del personale. Il modello organizzativo viene prima e la tecnologia viene dopo, nessun cambiamento e nessuna innovazione stabile può funzionare se si vogliono applicare tecnologie digitali a vecchi modelli organizzativi.
La sostenibilità del SSN dipenderà dalla capacità di gestire questa trasformazione, ripensando al “patient journey”, riducendo ridondanze e sprechi in termini di tempo perso, esami inutili, movimentazione di persone e cose al posto di dati, sia ripensando all’accessibilità ai servizi e alla necessità di misurare gli esiti (outcomes) nell’ottica della Value Base Healthcare.
Gli operatori non hanno tutti lo stesso grado di predisposizione all’uso di strumenti digitali, così come non sono completamente permeabili a modificare le proprie abitudini e i propri atteggiamenti per cui è importantissimo il coinvolgimento di tutti gli stakeholder in fase di progettazione ed innovare l’organizzazione per passi, nell’ottica del miglioramento continuo, misurando i risultati ottenuti ed esaminando e condividendo i fallimenti e i successi con gli utenti finali.
In questo scenario si apre anche un’opportunità importante di crescita professionale per le donne, che rappresentano più del 70% del personale sanitario, che possono cogliere nelle soluzioni digitali una risposta alle loro caratteristiche di empatia e capacità di inclusione, progettando nuovi modelli di presa in carico dei pazienti che rispondano anche all’esigenza di flessibilità lavorativa, necessaria a conciliare lavoro e famiglia.
Per quanto attiene le competenze digitali, l’educazione in Sanità digitale dovrà avere una collocazione permanente all’interno dello sviluppo e aggiornamento delle competenze dei professionisti del Sistema Sanitario.
Nei prossimi anni, infatti le competenze degli operatori sanitari saranno un elemento in grado di influenzare la qualità dell’assistenza sanitaria in modo simile alle conoscenze cliniche e scientifiche tradizionali. Per questo motivo lo sviluppo di competenze teoriche e pratiche in Sanità Digitale dovrà avvenire in maniera rapida, continua, capillare, omogenea ed armonizzata sull’intero territorio nazionale e condurre ad un incremento dei tassi di conoscenza e utilizzo delle piattaforme, delle applicazioni e delle soluzioni che sono e si renderanno disponibili all’interno del SSN, generando valore tangibile nelle attività quotidiane.
In particolare le dimensioni formative devono riguardare i fondamenti di Sanità Digitale per sviluppare un rapporto consapevole con la digitalizzazione (soft, hard, comunication e management skills), le applicazioni e le tecnologie per approfondire in maniera specifica le caratteristiche di determinate tecnologie (application e technology skills), le piattaforme di sanità digitale, il data management (data culture, data strategy, data science skills), l’erogazione dei Servizi Sanitari Digitali con la revisione dei PDTA, la sicurezza e la privacy.
La struttura anagrafica dei professionisti sanitari del nostro paese presenta un’età media piuttosto elevata. L’Italia ha la quota più alta di medici di età pari o superiore a 55 anni di tutta Europa. Lo sviluppo di strategie sulla formazione delle competenze digitali deve pertanto considerare che a pari professione e ruolo, l’età anagrafica può condizionare il rapporto con il digitale e il grado di apprendimento.
Potrebbe essere pertanto non opportuno sviluppare iniziative su particolari tematiche a specifiche fasce generazionali. Ad esempio, tecnologie come il metaverso avranno un impatto presumibilmente rilevante tra 5-10 anni per cui potrebbe risultare inefficace realizzare dei programmi educazionali su vasta scala.
In sintesi, è arrivato il momento di sfruttare la trasformazione digitale della Sanità per mettere a punto nuovi modelli organizzativi e di finanziamento che consentano di mantenere i cardini del Sistema Sanitario Nazionale: universalità, uguaglianza, equità. E’ però necessario coinvolgere in modo continuo tutti gli stakeholders dell’ecosistema della salute.
Elena Bottinelli, Head of Digital Transition and Transformation, Gruppo San Donato
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In foto Elena Bottinelli
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