Dicono che la felicità dell’uomo non può consistere fuorché nella verità.
Eppure io dico che la felicità consiste nell’ignoranza del vero.
Giacomo Leopardi, Zibaldone, 326-327
Il mondo vero lo abbiamo eliminato: quale mondo è rimasto? Quello apparente, forse?…Ma no! Col mondo vero abbiamo eliminato anche quello apparente!
F.W.Nietzche, Crepuscolo degli idoli, 1980
La città in cui avevo deciso di vivere era la città che avevo sempre sognato e desiderato: una città dove la vita potesse scorrere serena, libera da pensieri e preoccupazioni di ogni genere, dove gli abitanti fossero finalmente felici.
Una città, come mi spiegò il decano del Collegio dei Sapienti, che era stata modellata secondo i canoni dettati dagli utopisti del passato, dove all’ordine dei rapporti civili corrispondeva l’ordine spaziale fatto di geometrie rigorose, volumi raffinati, superfici luminose, prospettive sublimi. Una città costruita sui principi di giustizia, libertà, uguaglianza quale riflesso fisico di un mirabile disegno celeste. Ma soprattutto una città governata da un’autorità illuminata, che sapesse interpretare le aspettative di ciascuno, quelle di conformarsi ad una guida influente, stimata e rispettata, che sollevasse i propri cittadini da qualsiasi dovere se non quello di osservare con disciplina e onore le sagge e lungimiranti disposizioni governative.
E così è stato, avendo colto il segreto di questa comunità urbana, incentrata sull’armonia infusa dall’osservanza dei precetti emanati con sagace ma inflessibile fermezza da una classe di eletti. Precetti tra i quali emergeva in particolare l’editto costituzionale che faceva divieto della diffusione di notizie che generassero turbamento e contrapposizione sociale.
Ovvero la proibizione, estesa a tutte le agenzie e alle fonti di comunicazione e informazione, di trasmettere o pubblicare notizie ritenute veritiere o verosimili.
Mi chiesi tuttavia quale significato potesse avere questa espressione. «La legge parla chiaro.» mi disse l’austero maestro di diritto che incontrai all’accademia cittadina «Non abbisogna di ulteriori parafrasi. Le notizie di fatti pubblici e privati o di atti e propositi che contengano riferimenti ad una realtà presupposta ma non dimostrata se non attraverso l’esercizio soggettivo e fallace dei sensi, sono severamente vietate. La legge, poi, ribadisce alcuni concetti fondamentali: la realtà non esiste, il mondo esterno delle cose si percepisce solo attraverso il meccanismo dei sensi, risultando una manifestazione inadeguata e parziale della realtà. Si tratta quindi di un grado non appropriato di verità e, conseguentemente, soltanto di apparenza delle cose stesse. Ma l’apparenza induce a troppe e pericolose interpretazioni, che possono facilmente ingenerare contrapposizioni e sfociare in rovinosi e luttuosi eventi. In ragione di ciò è stato drasticamente bandito il sentimento della paura.»
Una disposizione che ovviamente impegnava ogni singolo cittadino, protagonista o testimone di eventuali accadimenti, a informare immediatamente l’autorità preposta all’esame della loro natura e all’accertamento dei requisiti richiesti: ingegno, immaginazione, rassicurazione, conforto.
Con questo proposito ogni notizia quotidiana che trasmettevano gli organi governativi di informazione e promozione sociale, si spargeva tra i vari strati della popolazione suscitando in ciascuno di noi compiacimento e compartecipazione. La vita era diventata così una perfetta applicazione degli ideali di amicizia, fraternità, solidarietà. Gli stessi responsabili dell’autorità costituita contribuivano lodevolmente allo svolgimento di questa rappresentazione, fornendo informazioni positive sull’andamento dell’economia, sui successi dell’occupazione, sulle tutele sociali, dall’assistenza sanitaria al soddisfacimento abitativo, sui rapporti armonici con le altre città e gli altri popoli, presenziando costantemente su tutti i mezzi di comunicazione e sulle reti sociali con messaggi e sermoni in tempo reale.
Se la salute pubblica rappresentava poi il maggior risultato dell’ amministrazione cittadina, la morte, allo stesso tempo, non costituiva più un fenomeno da celare o da ignorare ma, al contrario, un’occasione di giubilo, festeggiandosi in tutta la città il passaggio del caro estinto ad una vita ancor più lieta e gloriosa.
A tutto ciò si affiancavano i dati forniti dal centro governativo di rilevazione del livello di gradimento, misurato in tempo reale su tutta la catena informativa, delle notizie stesse da parte degli utenti, livello che raggiungeva ,il più delle volte, gli indici massimi. La pace perciò regnava sovrana su tutto l’orbe terraqueo. I popoli godevano finalmente del benessere spirituale e materiale che il silenzio delle armi e la crescente espansione degli scambi di beni avevano assicurato liberando le scienze dai vincoli che le passate contese avevano imposto e aprendole alle nuove frontiere dell’esistenza.
La stampa, da parte sua, raccoglieva apprezzamenti sempre più esaltanti. I quotidiani andavano a ruba, le prime pagine dominavano l’informazione. Titoli cubitali anticipavano eventi mai accaduti o annunciavano disposizioni politiche e amministrative impensate. Le redazioni gareggiavano senza esclusione di colpi nel dare la notizia più clamorosa e inverosimile. I servizi televisivi diurni e notturni approfittavano dei comunicati d’agenzia per anticipare sul tempo la stampa cartacea. Le interviste, i dibattiti, le rubriche sportive, le inchieste, per parte loro, brulicavano di opinionisti, amministratori, conduttori televisivi,imprenditori, scelti opportunamente dalle reti in consonanza con le direttive governative. Non meno fantasmagoriche correvano le notizie lungo i rami della fitta rete di connessioni della vita quotidiana.
La vita scorreva dunque placida e fiduciosa, rallegrata dalle notizie che pervenivano dai vari angoli della terra: dove non si faceva che raccontare di accordi, intese, trattati, alleanze. Fino a che…… Fino a quando in un mattino autunnale, sulla battigia del litorale che fronteggia il perimetro sud della città, rinveniva, per opera di una comitiva di ragazzi accampati sull’arenile, il corpo, ancora pulsante, di un giovane forestiero, originario forse di terre d’oriente. Soccorso tempestivamente, curato e assistito dalla comunità urbana fino a che non si fosse felicemente ristabilito, restava l’enigma della sua identità, parlando il giovane una lingua sconosciuta.
Tuttavia, dopo molteplici tentativi di dialogo mediante repertori di simboli e immagini codificate, il racconto che fu possibile decifrare produsse, nel collegio degli esperti appositamente convocato, un profondo turbamento che non tardò a diffondersi per l’intera città. Si narrava di campi di detenzione, di sevizie, di stupri, di violenza di massa, di tentativi di fuga falliti, di ritorsioni sanguinose, di annegamenti deliberati. Si parlava di masse di rifugiati concentrate in spazi angusti, prive dei più elementari mezzi di sussistenza, di infezioni contagiose, di fosse comuni.
Si raccontava di mercanti di uomini, di donne, di bambini, di tratta di schiavi, di commercio di organi umani. Notizie che infrangevano tutte le convenzioni che la città si era date e che provocarono immediatamente tra i diversi gruppi sociali reazioni contrastanti, sfociate, in poco tempo, in diffidenza, sospetto, panico di massa e dissidi virulenti. Le stesse autorità, nel generale disorientamento, stentavano ad assumere iniziative conformi.
I mezzi di informazione che, privi di direttive, avevano sospeso ogni attività in attesa di disposizioni che non arrivavano, si impadronirono subito della notizia. La stampa dei quotidiani che si era interrotta riprese immediatamente le pubblicazioni. Le stazioni radiotelevisive cessarono di trasmettere esclusivamente musica da camera per inondare l’etere di testimonianze e dibattiti.
Una crescente insofferenza per l’improvvisa sconfessione dei valori su cui si erano per tutti questi anni fondati i principi di una società, si era ormai insinuata in tutte le sue componenti, diventando motivo di divisione e di scontro. Si era svelato finalmente l’inganno. Si era presa coscienza che tutto ciò che ci era stato insegnato era pura finzione, impostura, falsità. Si accusavano le autorità che l’esercizio dell’immaginazione, il ricorso alle ali della fantasia, lo sviluppo della creatività, non erano altro che manipolazioni della vita di ciascuno di noi. Un mondo illusorio con un fine molto sottile: la sua persistenza, nonostante la sua erroneità fosse riconosciuta come tale. Emergeva dai bassifondi della coscienza collettiva una nuova consapevolezza, e con essa la volontà di ricercare nella complessità del mondo nuove ragioni del vivere. Ragioni che non potevano non implicare la ricerca dei fondamenti dell’esistenza stessa delle cose e conseguentemente la necessità di smascherare invenzioni e menzogne legate all’esercizio del potere. Anche se tutto ciò avrebbe prodotto il riaffacciarsi dei fantasmi della storia e il riproporsi di contrapposizioni antiche.
Così è successo. Le piazze tornavano a riempirsi di gente nonostante ogni assembramento diventasse pretesto per imputare violazioni costituzionali e disperdere con la forza i partecipanti. Tumulti si accendevano ormai dappertutto finendo per scatenare feroci repressioni verso tutti coloro che avevano violato la legge. La ribellione violenta tuttavia non tardava a rivelarsi, tramutandosi in una lotta fratricida. Una catena di odio e di sangue aveva ormai invaso tutti i canali della comunicazione sociale.
Ora la città è un tappeto di cadaveri, in preda a incendi e crolli, dove milizie d’ogni risma spadroneggiano alla ricerca degli ultimi sopravvissuti. Forse anch’io che a notte tarda segno queste note, trepidando.
Il racconto. La città infetta/7 L’invenzione della realtà
In una città ideale e illusa costruita sui principi di libertà e uguaglianza piombano la violenza e il dolore
