Firenze – E’ stato presentata stamane, 30 aprile, nel cuore di Palazzo Vecchio, all’interno del Salone dei Cinquecento, la grande tela di Pelizza da Volpedo Il Quarto Stato (1898-1902), una delle più celebri opere pittoriche realizzate tra Otto e Novecento, eccezionalmente concessa in prestito dal Museo del Novecento di Milano. L’esposizione durerà fino al 30 giugno. L’occasione è quella del 1° maggio, Festa Internazionale dei Lavoratori; infatti domani 1° Maggio, in occasione della Domenica Metropolitana, per tutti i residenti della Città Metropolitana di Firenze sarà possibile visitare l’opera di Giuseppe Pellizza da Volpedo a Palazzo Vecchio gratuitamente. Ingressi disponibili fino ad esaurimento posti. In Sala d’Arme sarà inoltre realizzato un progetto speciale in collaborazione con la Fondazione Alinari per la fotografia che avrà al centro il mondo del lavoro dall’Ottocento in poi.
Il progetto nasce dalla fruttuosa relazione tra le due città, già avviata in occasione della mostra dedicata alle Tre Pietà michelangiolesche in corso al Museo dell’Opera del Duomo di Firenze. La presentazione della grande tela nella sede del governo della città, a cura di Danka Giacon e Sergio Risaliti, costituisce un’occasione unica per ammirare nel capoluogo toscano il capolavoro di Pellizza da Volpedo, che irrompe con il suo profondo significato politico e sociale all’ interno dello scenario rinascimentale che adorna il monumentale Salone dei Cinquecento.
Acquisito dal Comune di Milano nel 1920, grazie a una raccolta fondi promossa dal sindaco socialista Emilio Caldara, il Il Quarto Stato è stato esposto a Palazzo Marino, alla Galleria di Arte Moderna e dal 2010 è custodito al Museo del Novecento di Milano. Frutto di un processo creativo durato dieci anni, l’opera rappresenta un archetipo figurativo conosciuto universalmente che esprime con potenza realistica ed espressiva il mondo del lavoro, richiamando tematiche legate alle lotte per i diritti e ai principi costituzionali.
La presenza dell’opera a Firenze trova altresì una sua giustificazione storico-artistica proprio nelle vicende biografiche dell’artista che qui soggiornò frequentando l’Accademia di Belle Arti, sotto l’insegnamento di Giovanni Fattori, entrando in contatto con i capolavori del passato e studiando le tecniche artistiche moderne.
Il primo bozzetto dell’opera sul tema dello sciopero (Ambasciatori della fame) risale al 1891 ed era già ambientato nella piazza della natia Volpedo. In seguito, attraverso numerosi studi e variazioni, l’artista giunse tra il 1895 e il 1896 a una tormentata versione intermedia (Fiumana), oggi alla Pinacoteca di Brera. Pellizza, insoddisfatto di Fiumana e in cerca di una maggiore oggettività pittorica, ripartì, nel 1898, pensando una nuova tela, Il cammino dei lavoratori, che riduceva il numero delle figure sullo sfondo, e aumentando le dimensioni del supporto avvicinava i personaggi in primo piano allo spettatore rendendoli più monumentali e realistici. Pellizza sposa l’idea di Max Nordau, esplicata nell’aforisma “l’arte deve dare al popolo un ritratto di lui ma abbellito”.
Il Quarto Stato viene presentato al pubblico per la prima volta nel 1902 all’Esposizione internazionale di arte decorativa moderna di Torino. Le speranze dell’artista, che pensava a un’acquisizione regia, vennero ben presto disilluse: l’opera infatti non verrà compresa, ma anzi decodificata come una scena di rivolta o sciopero e quindi ripugnata dai benpensanti e dalle autorità politiche.
Il dipinto rappresenta una risposta ai sanguinosi eventi milanesi del 1898 (quando, durante i moti popolari, il generale Bava Beccaris fece sparare sulla folla provocando una strage) e risente profondamente del socialismo umanitario ed evoluzionistico maturato nel tempo dall’artista.
La folla non è più ritratta in un momento di pacifica protesta ma avanza sicura verso un futuro più sereno. Il “quarto stato”, cui fa riferimento il titolo, è la classe lavoratrice che viene rappresentata attraverso lo scenografico realismo.
Nell’opera le figure, studiate dal vero, simboleggiano la forza e lo spirito utopista del lavoro. Tra di esse vi sono anche donne, madri e bambini, a rappresentare la volontà di cambiare il futuro assegnando alla donna un ruolo altrettanto centrale nella rivendicazione politica e sociale. L’attenzione alla gestualità è evidente e profonda, la vicinanza dei corpi dà un valore di compattezza alla marcia e all’ideale che la muove. Pellizza, infatti, riuscì a combinare un’osservazione indiretta della massa dei contadini, trasfigurandoli secondo il modello precedente della Scuola di Atene di Raffaello la cui iconica espressività scopriamo nelle figure in prima linea. Con Il Quarto Stato l’opera non ricerca più l’accoglienza del gusto borghese, ma si prefigge la comunicazione dell’urgenza politica e sociale del soggetto, ricorrendo a una tecnica esecutiva moderna, che reinterpreta i modi del puntinismo francese.
Successivamente al debutto sconfortante del 1902, l’opera torna a far parlare di sé in varie occasioni: la prima durante gli scioperi operai dopo la vittoria dei socialisti radicali alle elezioni politiche del novembre 1919 di Milano, un anno prima dell’acquisto dell’opera da parte del comune di Milano. La seconda, quando durante la stesura del primo catalogo nel 1935, con un certo imbarazzo per il soggetto, l’opera viene descritta come “due uomini e una donna con un bambino tra le braccia”.
L’opera è divenuta iconica in seguito all’associazione del grande dipinto a una rinnovata utopia sociale, spesso celebrata nel corso delle manifestazioni per il Primo Maggio. Tra gli omaggi resi a questa tela fortemente rappresentativa, si può infine ricordare lo splendido lunghissimo piano-sequenza posto a sfondo dei titoli di testa di Novecento di Bernardo Bertolucci (1974).
Con Il Quarto Stato termina, per la civiltà figurativa italiana, l’epoca dell’ambiziosa opera d’arte a programma, inizia un’epoca sotto il segno della contestazione. L’opera si prefigge la comunicazione dell’urgenza dei contenuti anche attraverso una proiettiva e moderna tecnica esecutiva. Ne Il Quarto Stato, e nelle sue numerose versioni precedenti, la folla marcia verso un futuro di progresso e riscatto. Oggi, come allora, il messaggio di forza e speranza sprigionato dal capolavoro di Pellizza da Volpedo splende di luce nuova, all’insegna dei rinnovati valori di cooperazione e libertà.
Giuseppe Pelizza da Volpedo (Volpedo 1868 – ivi 1907) espose per la prima volta a Brera nel 1885. Terminati gli studi milanesi, decise di proseguire il tirocinio formativo recandosi a Roma, dapprima all’Accademia di San Luca, poi alla scuola libera di nudo all’Accademia di Francia a Villa Medici. Deluso da Roma, abbandonò la città prima del previsto per recarsi nel 1893 a Firenze, dove frequentò l’Accademia di Belle Arti come allievo di Giovanni Fattori e dove rimarrà fino al 1895. È proprio nel capoluogo toscano che sperimentò la tecnica divisionista, basata sulla divisione dei colori attraverso l’utilizzo di piccoli punti o tratti. Risalgono a questo periodo: Il Sole, Prato fiorito, Il Morticino, nei quali si può apprezzare la trattazione pulviscolosa del colore e della materia, che ritroviamo anche nel capolavoro Il Quarto Stato. Nella città toscana l’artista entra in contatto con tecniche e suggestioni che lo spingono a iniziare la gestazione dell’opera che tutt’oggi lo rende celebre nel mondo. Nel 1895 infatti realizza un bozzetto a olio che porterà alla stesura definitiva dell’opera attraverso cui l’artista, attento alle problematiche sociali, consacrerà il realismo sociale.