Il problema dell’efficacia (e dell’inefficacia) dell’omeopatia

Reggio Emilia – La morte del piccolo Francesco, affetto da otite e curato da un medico omeopata riapre, con dolorosa violenza, il problema dell’efficacia dell’omeopatia. In letteratura esistono molti dati e molte discussioni sull’efficacia – e sull’inefficacia – delle cure omeopatiche;  le conclusioni non sono univoche, anche se prevalgono largamente le valutazioni negative.

Il problema non può essere risolto con un’alzata di spalle, come si farebbe per molte altre medicine alternative, come la Medicina Ayurvedica o la Floriterapia, o l’Iridologia, se non altro perché l’omeopatia è molto diffusa: in Italia 12mila medici praticano questa disciplina, milioni di persone si giovano di cure omeopatiche e la spesa annua per i “medicamenti” è valutata in oltre 300 milioni; 25mila sono i prodotti omeopatici in commercio, 24 milioni le confezioni vendute. X

Più in generale, l’utilizzo delle medicine non convenzionali – MnC, secondo la definizione europea – da parte della popolazione mondiale è in continuo aumento. In Belgio oltre metà della popolazione ricorre a cure omeopatiche, in Francia nel 1992 vi ricorreva il 36%. Questi dati si trovano in rete e penso che siano sostanzialmente corretti.

La questione può essere esaminata partendo da due punti di vista: 1 – i fondamenti scientifici della “terapia”; 2 – la sua efficacia, misurata dall’evidenza medica corredata da analisi statistiche accurate.

I fondamenti scientifici

Sul primo punto la risposta è semplice: non esistono fondamenti scientifici che possano spiegarne l’efficacia. L’omeopatia si basa sulla teoria sviluppata oltre duecento anni fa dal medico tedesco Samuel Hahnemann (1755-1843), persona onesta, intelligente e coltissima, giustamente critico verso le pratiche mediche convenzionali dell’epoca: salassi ripetuti, purghe tremende.

Sperimentando soprattutto su sé stesso varie sostanze, Hahnemann si convinse della validità del principio: similia similibus curantur: per curare una malattia si deve assumere in bassissime dosi, ossia alle appropriate diluizioni, una sostanza che, generalmente, provoca nell’organismo gli stessi sintomi che si vogliono eliminare. Affinché il processo sia efficace, il liquido diluente (acqua) deve essere agitato (“concussa”) a ogni diluizione; la combinazione di diluizione e scuotimento è nota come “dinamizzazione”.

Ma, alle diluizioni prescritte, nel liquido (acqua) non resta praticamente nulla del principio attivo; il farmaco omeopatico è letteralmente indistinguibile dall’acqua pura, quindi non è spiegabile come esso possa avere poteri terapeutici. Da un punto di vista scientifico, dunque, un preparato privo di qualunque principio attivo non può produrre risultati su una patologia clinica, se non un effetto placebo (°).

A questo punto il discorso potrebbe considerarsi chiuso: se accettiamo il principio di causalità, non si vede come in assenza di una causa – il principio attivo nel medicamento – si possa avere un effetto sulla salute del paziente. Una considerazione simile si potrebbe fare sull’astrologia; in assenza di una causa (l’influenza degli astri non esiste) non si possono avere sulle vicenda umane gli effetti sintetizzati negli oroscopi. Non avrebbe alcun senso quindi una indagine per appurare se tali effetti esistano realmente.

Si deve comunque dare atto ad Hahnemann di avere, con le sue insensate teorie, protetto i suoi pazienti da pratiche mediche inefficaci e spesso nocive. Si pensi che i medici di allora avevano curato il Sacro Romano Imperatore Leopoldo d’Austria praticandogli quattro salassi nelle 24 ore precedenti la sua morte (1792); qualcosa di molto simile capiterà sette anni dopo a George Washington. Hahnemann si rifiutò sempre di applicare ai suoi pazienti quella che era considerata una procedura medica essenziale, prendendosi anche l’accusa di assassino dal medico di corte. 

L’omeopatia si diffuse rapidamente in Europa nella prima metà del XIX secolo, quando ancora non si conosceva né l’esistenza dei batteri, né l’importanza della disinfezione, né la vaccinazione; allora l’energia vitale e le fortissime diluizioni non suonavano strane quanto oggi; essa è stata sostenuta anche da credenze olistiche, basate sull’idea che il corpo si sappia curare da sé.

La memoria dell’acqua

Un tentativo di spiegazione fu avanzato nel 1988 dal medico francese Jacques Benveniste, secondo il quale l’acqua mantiene una “impronta” delle sostanze che sono state precedentemente sciolte in essa, anche quando queste sono state eliminate per successive diluizioni (memoria dell’acqua) .

La ricerca pubblicata sulla prestigiosa rivista “Nature” da Benveniste suscitò clamore anche al di fuori dell’ambiente scientifico perché avrebbe fornito le basi teoriche all’omeopatia. Essa tuttavia risultò falsa all’esame accurato di una commissione nominata dalla stessa rivista che aveva pubblicato l’articolo. Nessuno studio successivo riuscì mai a riprodurre risultati apprezzabili. Il concetto di memoria dell’acqua è quindi oggi considerato pseudoscientifico e privo di fondamento;: al contrario, gli scienziati del Max Planck Institute for Polymer Research di Mainz e del Fom Institute Amolf di Amsterdam hanno mostrato che le molecole di acqua liquida perdono memoria della loro struttura precedente in poco più di 10 -12 secondi (un picosecondo).

Efficacia empirica delle cure omeopatiche

Ora veniamo al secondo aspetto, l’esame dei risultati delle cure omeopatiche. E’ chiaro che, anche se i fondamenti scientifici non esistono, se si dimostrasse che l’omeopatia è una cura efficace per alcune malattie, anche per una sola, anche i più scettici dovrebbero accettare il fatto e gli interventi pubblici sarebbero pienamente giustificati.

In casi come questo, la risposta non può venire da singoli pazienti che dichiarano il successo o il fallimento della cura. Ricordiamo a questo proposito il motto dell’astronomo Carl Edward Sagan: “Fenomeni straordinari richiedono sempre prove straordinarie”. Esistono molti studi sulla eventuale efficacia delle cure omeopatiche. I trial clinici affidabili son quelli randomizzati in doppio cieco controllati con placebo; sono gli stessi trial impiegati per analizzare l’impatto di qualsiasi terapia. Molte delle ricerche tuttavia sono state condotte con scarso rigore, con randomizzazione inadeguata, su pochi soggetti, senza un gruppo di controllo. Così esse non possono fornire risposte convincenti.

Un programma di ricerca senza precedenti per l’ampiezza fu avviato nel 1937 dalle stesse autorità mediche della Germania, favorevoli all’omeopatia, e durò due anni. “Da questi test – ha affermato nel 1995 il Dottor Fritz Donner, che ha preso visione dei documenti originali – non è emerso niente di positivo”. Nel 1997 una equipe internazionale prese in esame tutti i trial disponibili conducendo su di essi una meta-analisi. Ossia l’analisi critica delle varie analisi.

I risultati vennero pubblicati nel 1999: “I nostri risultati non sono compatibili con l’ipotesi che gli effetti clinici dell’omeopatia siano dovuti esclusivamente all’affetto placebo”! Tuttavia due anni dopo, di fronte alle critiche argomentate al loro lavoro, i ricercatori ammisero di aver probabilmente sovrastimato gli effetti dei trattamenti omeopatici.

Nel 2003 un gruppo di ricercatori molto qualificati di Berna intraprese una nuova meta-analisi, concludendo che l’omeopatia era solo marginalmente più efficace del placebo. Sono stati condotti trial anche su animali, nel 2003 dall’Istituto svedese di veterinaria sulla diarrea dei vitelli, e, in seguito, dall’Università di Cambridge sulla mastite delle vacche: l’omeopatia non è risultata efficace.

L’anno scorso il Medical Research Council australiano ha pubblicato i risultati di una meta-analisi condotta su 225 ricerche sull’effetto dei trattamenti omeopatici, incluse quelle presentate da associazioni pro-omeopatia; le conclusioni sono che questo tipo di cura non ha altri effetti se non quelli legati alla suggestione.

Sul sito del Ministero della salute britannico si legge che “non ci sono prove di buona qualità che l’omeopatia sia un trattamento efficace per alcuna malattia”; Nel 2010 una commissione dalla Camera dei Comuni ha ribadito che l’omeopatia non funziona più di un placebo.

Concludendo

I “veri credenti” ignorano i risultati negativi delle indagini sull’efficacia delle cure omeopatiche, o ad essi non credono, o forse addirittura pensano a complotti orditi dalle case farmaceutiche; di conseguenza continuano a ricorrere con fiducia agli omeopati. La fede smuove le montagne (Mt 17,14-20).

Una delle cause del successo pubblico (non clinico) delle cure omeopatiche quasi certamente sta nel rapporto tra il medico e il paziente. L’omeopata – diversamente dalla maggior parte dei medici – si interessa con calma di molti aspetti della vita del paziente, condizioni psicologiche, alimentazione, eccetera, creando uno stato di empatia e di fiducia. Ciò probabilmente rafforza l’effetto placebo.

Deve essere dichiarato pubblicamente ed esplicitamente che le cure omeopatiche non hanno una efficacia superiore alla somministrazione di placebo, ma i divieti, le imposizioni suscitano reazioni di rigetto anche se sono pienamente giustificabili; anche gli oroscopi non hanno fondamento scientifico e non danno indicazioni attendibili , tuttavia sarebbe insensato proibirne la diffusione.
Ricordiamo che l’omeopatia in sé non fa danno. Il danno nasce dalla sostituzione terapeutica, ossia quando si rifiuta il trattamento terapeutico necessario per sostituirlo con cure omeopatiche, come nel drammatico caso del bimbo al quale sono state negate le cure efficaci per l’otite.

 

(°) Un placebo è un preparato che simula un farmaco, ma che non contiene alcun principio attivo; è costituito solo da sostanze innocue come zucchero o amido. Viene impiegato soprattutto per valutare l’efficacia di un farmaco.

Foto:  Christian Friedrich Samuel Hahnemann

 

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