Il problema degli affitti brevi, da Firenze all’Europa prove di resistenza

In Europa cresce il tema delle locazioni turistiche e dei mezzi per gestirle
edf

Firenze – Nell’ambito degli incontri e seminari previsti da Urbanpromo-Progetti per il Paese, si sono tenuti tre giorni di informazioni e confronti dal 7 al 10 novembre nella sede dell’Innovation Center di Fondazione CR Firenze (la vecchia caserma Cavalli in piazza del Cestello), incontri che hanno messo in relazione Firenze con le città d’Europa. E’ il caso di un incontro che ha messo sul piatto “Il problema della casa nelle città turistiche”, problema ormai europeo, dove la città- specchio è stata Vienna. All’incontro hanno partecipato il pesidente della Commissione urbanistica del Consiglio comunale di Firenze Renzo Pampaloni in qualità di coordinatore, Martin Weber, capo dello staff di Erste Group, una delle più grandi società di servizi finanziari dell’Europa centrale ed orientale, e il Direttore generale di Palazzo Vecchio Giacomo Parenti, in una delle sue rare uscite pubbliche.

L’incontro, che si è tenuto in seguito al precedente,che ha avuto come tema “Una finestra sull’Europa centrale ed orientale: l’affordable housing e l’urban generation nella visione di Erste Group”, sulla scorta anche dei dati precedentemente esposti da Martin Weber, ha visto affrontare il confronto fra Vienna e Firenze a livello di case popolari, social housing e soprattutto pressione del turismo sul problema sociale della casa, molto forte in entrambe le città.

Per chiarezza, l‘affordable housing di cui si parla, è un termine che viene usato per descrivere il social housing, ovvero unità abitative accessibili a persone e famiglie con redditi bassi. La definizione statunitense è molto precisa: secondo quanto stabilito dal Dipartimento degli Affari degli Alloggi e dello Sviluppo Urbano degli States, l’affordable housing è definito come una categoria di abitazioni in cui l’occupante paga il 30% o meno del reddito lordo totale per l’alloggio, comprese le utenze. Di queste operazioni, anche in Europa, spesso si occupano enti privati in partnership col pubblico, in seguito ai cambi di priorità delle politiche abitative statali e anche alla minore disponibilità di risorse. Proprio a Vienna, città con un enorme (rispetto all’intera Italia) patrimonio di abitazioni popolari e affordable housing, si sta sperimentando un progetto, capofila Erste Bank, il cui cuore è proprio il decisivo contributo del Gruppo bancario alla costruzione di nuove unità abitative in Austria, a prezzi accessibili, includendo, all’interno del progetto che ha anche carattere di rigenerazione urbana, una componente del 20% per l’azione climatica e la sostenibilità ambientale. Sull’iniziativa, la BEI ha “messo” un contributo di 300milioni. Inoltre, in Austria si prevedono sussidi statali per il social housing, che prevedono il pagamento del solo capite, senza interessi, restituito in un lasso temporale che va dai 30 ai 50 anni, secondo la regione in cui ci si trova.

In sintesi, un grosso blocco di alloggi in edilizia pubblica – sociale dovrebbe almeno sulla carta contrastare perlomeno la tendenza al rialzo dei prezzi che è connaturata al fenomeno delle piattaforme di offerta di locazioni turistiche brevi. Tuttavia, in tutto il mondo e a prescindere dalla consistenza del patrimonio immobiliare pubblico, le città si sono trovate ad affrontare il problema. I mezzi utilizzati sono diversi, come illustra Weber: a Monaco, fin dal 2018, è stata introdotta una tassa specifica per i proprietari che si dedicavano a questo tipo di locazione, Berlino ha elevato multe a chi affittava senza registrarsi, la città di Parigi ha denunciato la piattaforma Wimdu, Londra ha limitato il periodo dell’affitto a 90 giorni all’anno, Amsterdam a 30, a New York attualmente è impossibile affittare con Aribnb che sta avendo grossi problemi. A Vienna, ci sono circa 9mila alloggi in offerta su Airbnb e l’85% delle offerte consta di un’unica stanza. Il 24% dei fornitori raccoglie il 70% del fatturato totale. Il problema, anche a Vienna, è peculiare della parte centrale della città.

La situazione in cui si trova la capitale austriaca si segnala per alcune, decisive differenze con l’intero panorama delle città italiane e in particolare Firenze. Intanto, i numeri del patrimonio abitativo pubblico, segnati da una consapevole scelta di politica abitativa protratta negli anni, sono imponenti: nella sola Vienna, l’edilizia sociale pubblica può contare su 365mila alloggi. In tutta Italia, il numero stimato per l’Erp è di 950mila appartamenti. Firenze è a 8mila circa di cui almeno 800 (ma si ritiene che siano sottostimati) fuori dal circuito delle assegnazioni in quanto non riqualificati. I grandi numeri del patrimonio pubblico viennese fanno in modo che l’edilizia popolare influenzi il mercato immobiliare, nel senso di elemento calmierante dei prezzi. Nonostante questo, la pressione del “sistema Airbnb” è talmente forte, che Vienna si è trovata a dover prendere misure legislative, nè più nè meno di Firenze, per limitare, controllare e contrapporsi a un sistema che riusciva comunque ad inquinare il mercato immobiliare con tutte le ricadute ben note in termini di residenza e sconquasso del tessuto sociale cittadino. Un’onda d’urto in grado di cambiare anche il senso del concetto stesso di città, stornandola verso uno sterminato prato di occasioni per la rendita, in particolare (ma non solo) nelle città d’arte. Tuttavia, l’altra grande differenza che si riscontra nel confronto Vienna-Firenze, è che la capitale austriaca ha la forza e la legittimazione giuridica per procedere con proprie leggi alla regolamentazione del territorio, grazie all’ordinamento federalista dello Stato austriaco. Vienna, come spiega Weber, è non solo una città ma anche una regione austriaca, con un forte potere legislativo. Fra il 2028 e il 2023, è stata concretizzata una legislazione in due ondate, per cui è vietato offrire sistemazioni a pagamento nella zona residenziale su “base regolare“, definizione questa tuttavia piuttosto fumosa. Per legge, la condivisione della casa è permessa, a condizione che l’uso personale prevalga nel tempo e nello spazio. Quindi, l’appartamento in cui si vive la maggior parte dell’anno è quello che si può affittare più semplicemente. Questa regolamentazione, promulgata nel 2018, è limitata alle zone residenziali. Nel 2023 è stato fatto un emendamento, a settembre, che entrerà in vigore a gennaio 2024 e che prende di mira i controlli, che attualmente sono molto difficili e poco diffusi. Si tratta di creare ispezioni targhettizzate, realizzate incrociando dati con le autorità fiscali, utilizzando in pratica la tassa di soggiorno, nata nel 2017. Le sanzioni sono piuttosto pesanti, arrivando fino a 21mila euro per appartamento.

Un tema, quello della mancanza di potestà legislativa in capo alle città italiane che consentano loro di prendere decisioni drastiche nei confronti delle piattaforme, che in realtà potrebbe anche essere declinato in modo positivo dal corpus normativo che è andato costruendosi a partire dalle disposizioni statali, regionali e comunali, come spiega il costituzionalista Giacomo Menegus, che in proposito ha tenuto un intervento proprio a Firenze, nel corso di un incontro precedente promosso ad ottobre dalla Cgil e Sunia sul tema. Secondo quanto sostenuto da Menegus, il nostro Paese ha prodotto nel tempo un corpus di regole che consentono di giungere, da parte dei Comuni e delle Regioni, a una certa legittima capacità di intervento in materia. Oltre ad alcune disposizioni legislative (dall’art. 4 del dl 50/2017 sulla cedolare secca e sulla ritenuta d’imposta per le piattaforme, difesa dalla Corte di Giustizia europea contro l’impugnazione da parte di Airbnb con la sentenza 22/12/2022, alla legge di bilancio del 2021 che previde un tetto di 4 appartamenti per identificare l’attività d’impresa con relativa tassazione, al dl 34/2019 che introdusse il tema delle banche dati e quindi dei codici identificativi e delle mappature, fino al decreto Sicurezza del 2018 che prevede l’obbligo di fornire i dati dei soggiornanti e all’ultima proposta di legge sull’aumento della cedolare secca da 21 a 26%), Menegus ricorda la svolta della sentenza della Corte Costituzionale  11 aprile 2019 n. 84, che aprì la strada alla “potestà residuale” delle Regioni in ambito turistico con riferimento ai profili turistici delle locazioni brevi e che legittimò le leggi regionali a regolamentare gli aspetti a carattere pubblico amministrativo del fenomeno. Una potestà che, insieme al comma tre dell’art. 117 della Costituzione che riguarda il governo del territorio, riattualizzò il concetto nell’ambito della potestà concorrente fra Regioni e Stato, facendo emergere la possibilità da parte dei Comuni (fonte la Regione) di porre dei limiti alla modifica delle destinazioni d’uso delle unità immobliari comprese nella stessa categoria. Un vero scudo giuridico ad esempio per la delibera del Comune di Firenze che stoppa l’utilizzo delle unità immobiliari dell’area Unesco a fini di locazione turistica breve.

In sintesi, dunque, se Vienna può avvalersi di leggi precise e regolamentazioni del tutto incontestabili per la gestione dell’ondata degli affitti brevi turistici, verrebbe da pensare che anche per Firenze qualche strumento alla fine si sia potuto legittimamente individuare. Tuttavia, restano, come ha sottolineato il direttore generale del Comune di Firenze Giacomo Parenti nel corso dell’iniziativa ospitata venerdì scorso 10 novembre nell’ambito di UrbanPromo, alcune particolarità del capoluogo che sono del tutto peculiari. “Firenze è una città “piccola” spiega Parenti -che però, alle 4 del pomeriggio di un giorno qualunque, ha presenze pari a 650mila persone, pur non raggiungendo i 370mila abitanti. Ogni mattina vi entrano quasi 200mila auto, con un indice di rapporto fra city users e abitanti pari a New York”. Chi sono questi city users? Secondo Parenti, è sbagliato pensare che l’aumento sia dovuto al solo turismo. “Firenze attrae non solo turisti. E’ una città attrattiva anche per il lavoro. Abbiamo numerosi pendolari che abitano in area metropolitana e si recano al lavoro a Firenze. Firenze è anche una città di studenti. Una popolazione universitaria dovuta non solo all’Ateneo fiorentino. Ci sono infatti 72 programmi di università straniere. Gli studenti americani che seguono ogni anno i corsi a Firenze sono seimila, senza contare quelli di altre università straniere”. Firenze città spugna, dice ancora il Direttore Parenti, con un nucleo di abitanti e tantissime persone che entrano ed escono che però non sono solo turisti: insieme ai turisti ci sono studenti e lavoratori. Inoltre, “Firenze ha avuto un calo demografico notevole. Negli anni ’70, aveva fra i 460 e i 470mila abitanti. Oggi, ne ha 369-370mila. Ne ha persi almeno 100mila. Negli ultimi 30-40 anni, tuttavia, Firenze ha acquisito 30-40mila unità immobiliari in più. Quindi, 100mila abitanti n meno, e 40mila unità immobiliari in più. Forse – dice Parenti – vanno riempiti, queti vuoti”. Interessante rilevare che non si prende in considerazione, ad esempio, gli alloggi rimasti vuoti perché non affittati, le seconde case, quelle inagibili. “Ancora un dato, quello anagrafico: a Firenze abbiamo mediamente 4300-4400 morti, a fronte di di 2400-2500 nati. Ogni anno a Firenze la differenza nati morti è di 1900-2000 unità. Ciò farebbe pensare che Firenze negli ultimi 10 anni dovrebbe aver perso 20mila abitanti. In realtà, dai dati emerge (a parte il periodo del Covid) che Firenze ha tenuto, restando sempre a 370mila abitanti”. Da ciò, deduce Parenti, il dato è che Firenze ogni anno attira circa 2mila persone. Una città dunque particolare e delicata, che “va gestita”, e che tuttavia non ha la possibilità di intervenire in maniera forte sulla gestione, per il sistema normativo italiano. Parenti ricorda anche la capacità di Firenze ad esempio di scovare un modulo normativo capace di gestire un settore sottoposto ad ampia deregulation nazionale come la ristorazione, ma il nocciolo duro è quello degli affitti brevi. Un dato particolarmente significativo: “Nei due anni di Covid, mentre i turisti non c’erano, il trend era di un aumento degli appartamenti utilizzati per affitti turistici brevi”. Il quadro cittadino tuttavia rappresenta la necessità anche di affitti medi, appetiti di lavoratori e dagli studenti, continua Parenti. “Se crescono gli affitti brevi – è la sua equazione – non c’è più spazio non soltanto per residenti che forse non ci sono (ci sono più morti che nati) ma per quell’altra fetta importante degli utilizzatori della città che sono i lavoratori e anche gli studenti”.

Tirando le fila, secondo quanto illustrato da Parenti, la crescita esponenziale degli affitti turistici brevi conduce all’aumento del costo degli affitti del medio periodo. Se le locazioni brevi continuano a crescere anche in momenti come quelli pandemici, espellono dalla città, oltre ai pochi residenti rimasti (in realtà, secondo Parenti, i residenti ormai non ci sono più, nonostante il successo avuto dal nuovo sportello Sunia – Progetto Firenze che raccoglie le istanze, le storie, le richieste di tantissimi residenti “sfiancati” dal turismo abitativo), quell’altra componente fondamentale di una città, la fascia degli studenti e dei lavoratori, che fa sì che a Firenze ci sia un mix fra residenti, studenti, lavoratori e turisti. “Se cresce troppo l’offerta di affitti brevi, diminuisce quella di affitti medi e i canoni salgono”.

La soluzione, per Parenti, è avere norme specifiche per la città di Firenze, che ne abbraccino la particolarità. In mancanza di una norma nazionale che dia la possibilità ad ogni città di andare a operare delle scelte in funzione della propria specificità, “il comune di Firenze ha scelto di andare a individuare con uno strumento urbanistico all’interno della categoria della residenza, una nuova voce, che è quella della residenza per locazione turistica breve”. Uno strumento che secondo Parenti è sì necessario data la situazione, ma non particolarmente “adatto” in quanto lo strumento più coerente sarebbe “fare la mappatura zona per zona” decidendo le quote di locazioni brevi secondo le caratteristiche territoriali.

Inoltre, secondo Parenti, il meccanismo degli affitti brevi rimetterebbe in pista anche alloggi che non sarebbero mai stati utilizzati dai residenti. Vengono in mente gli ultimi sfratti in San Frediano, dove due donne sono state sfrattate da un fondo in cui vivevano da oltre vent’anni, con gli imbocchi degli scarichi di tutto il palazzo nel bagno, sfrattate da un nuovo proprietario per realizzare un appartamento da immettere nel giro delle piattaforme; o il fenomeno emergente degli affitti in finita locazione, che non vengono rinnovati ai locatari residenti anche da oltre trent’anni, mai morosi, per dichiarato convincimento del proprietario di “riqualificare” a fini turistici l’alloggio. Un allarme quest’ultimo sottolineato proprio dal Sunia di Firenze che mette in luce quanto quest’ultima fattispecie si stia facendo sempre più numerosa negli anni del dopo covid, non solo nell’area Unesco, dopo lo stop passato in consiglio, ma in tutta quella cintura cittadina adiacente al centro e ora anche più lontano, sulle direttrici della tramvia e oltre.


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