Vabbè non sarà stato proclamato Beato né eletto Papa ma coi chiari di luna all’orizzonte, c’è già da baciarsi i gomiti manco fossero un pezzo di quelli con cui il povero Santo Stefano protomartire cercava di ripararsi dalla lapidazione. Sì perché mons.Tiziano Ghirelli, dopo il suo buen retiro nella più che dignitosa parrocchiona reggiana di San Pietro, dopo qualche anno ai margini delle cronache non solo ecclesiali, lui che a lungo è stato la guest-star del presbiterio locale sulla stampa laica ai “bei tempi” dell’operazione cattedrale, è stato nominato direttamente da Bergoglio, ai cui fianchi lavorerà (in tutti i sensi), Canonico della basilica di San Pietro, quella vaticana per intenderci, la chiesa regina dell’intera cristianità. In sostanza gli tintineranno in mano le chiavi del Soglio Pontifico, peraltro per il verso giusto. Vamolà.
Un riconoscimento clamoroso che rende merito ad una delle menti più brillanti e delle persone più disponibili sfornate dal seminario di viale Timavo nelle ultime generazioni. E che suona come rivincita (anche se quando si parla delle cose di Dio bisognerebbe lasciare a margine i vizi capitali, ma che ci volete fare, errare è umano e noi siamo diabolici) specie nei confronti di quelle livorose armate della controriforma curiale che gli hanno sempre messo privatamente i bastoni tra le ruote a fronte dei sorrisi e delle pubbliche pacche sulle spalle. Contro il di lui rinnovamento liturgico della cattedrale reggiana, ideato nel solco dei suoi decennali studi sull’evoluzione bimillenaria degli ierotipi cristiani dopo il Vaticano II, arrivarono perfino a scrivere un velenosissimo pamphlet di parafrasi di T.S.Eliot “L’assassinio della cattedrale”.
Mentre i media nazionali meno progressisti diciamo così, sputavano sentenze di condanna sulla di lui erudizione templo-ornamentale, giudicata oltremodo eretica ed espansiva. E qualcun altro non propriamente in linea agio col proprio equilibrio psichico, sniffava addirittura in don Tiziano l’odore sulfureo della possessione demoniaca. Solo perchè il don voleva spostare qualche inginocchiatoio ottocentesco per rimettere al centro dell’abside qualche opera d’arte magari più direttamente evocativa delle origini. Si vocifera, si narra, si sussurra perfino di segrete conventicole notturne in seminario per contrastare l’irresistibile ascesa ghirelliana. Oscure e un po’ ridicole trame quelle sì dal vago retrogusto luciferino.
Ascesa poi divenuta più che resistibile anche per il titubare dei titolari del vescovado di turno che, davanti a questo popò di squillare di trombe del giudizio di una parte della cristianità (ci si era messo financo l’apolide Vittorio Sgarbi) non ha mai ritenuto conveniente difendere troppo il proprio brillante monsignore esperto di liturgia e affini. Don Tiziano così, ha visto negli anni diversi colleghi raggiungere la soglia dell’episcopato e lui, che magari primo pastore lo era in pectore da tempi non sospetti, fermo al palo diocesano per averci sempre messo la faccia (pure troppo mormoravano i detrattori) ridondando in quella visibilità che la curia rifugge. Preferendo il nascosto e silenzioso lavoro nei corridoi poco illuminati.
Ora però giustizia, non si sa quanto divina, è fatta. Ed i malpensanti di allora, via via diradatisi con la rarefazione a sua volta dell’esposizione pubblica del nostro monsignore, dovranno subire ancora in vita la legge del contrappasso. Vuoi vedere che se avranno bisogno di un favorino ad altezza delle elisie sfere, gli telefoneranno contriti, dimentichi, mielosi e pure un poco complimentosi?