Il potere del cane: lezioni di piano nel West senza epopea

Firenze – C’è un’immagine che galleggia residua alla fine del film. E’ un’associazione puramente personale, sorta vaga alle prime scene e poi rimasta lì oltre i titoli di coda : le mani di Jane Campion che avevano fatto suonare un pianoforte a metà Ottocento, in una capanna sulle spiagge desolate dell’arcipelago neozelandese in Lezioni di piano, e che provano qui ora a rimodulare altri tasti da par suo, portando un altro piano in una casa padronale di campagna, nel ranch di un Montana anni venti (e girato in realtà in Nuova Zelanda).

Ma il tocco è quello di una sensibilità tutta femminile nel trattare con guanti delicati (sono presenti non a caso in tutto il film) una materia che  nasconde il nocciolo duro di un cuore selvaggio in quasi tutti i protagonisti di questa storia. Gli stende sopra un merletto prezioso, ma è un’elegante dissimulazione da cui traspare una ferinità latente in forma ancor più eclatante. Con un sorriso malizioso da femminista d’antan. E senza sconti per nessuno.

Prendiamo la prima scena. Si vedono solo delicate mani ( poi sappiamo di un giovane efebico) che creano con fantasia e pazienza certosina dei fiori di carta in varie combinazioni, da posare per primi sulla lapide del padre scomparso. Questi fiori, con i più diversi motivi, ornano poi le tavole della locanda gestita dalla madre di Peter, Rose, rimasta vedova da poco.

A prima vista Peter è  la vittima sacrificale di tutta la comunità, oggetto di lazzi e fischi. A cominciare dalle pesanti allusioni al suo essere effeminato , nel portamento e nella foggia, alimentate dal villain consacrato dell’intera storia: Phil, è lui il cattivo per antonomasia, il leader incontrastato della zona, uno che appena sveglio appella il fratello buono e gentile George semplicemente con “allora grassone, muovi il culo stamani, ci sono le mucche da mungere!”.

Tanto George è pingue, impacciato e timido, tanto Phil è un fascio di nervi longilineo, sfrontato e dedito al turpiloquio e allo scherno. Ma intravediamo un aspetto che increspa il quadro. Le battute di Phil hanno un sarcasmo a volte sottile, irrorato da un lessico non da cow boy : scopriremo poi che Phil – come commentato dal Governatore, invitato a pranzo dal fratello- ha un Ph.D. in lettere antiche ed epigrafia greca alla Yale  University.

E’ il personaggio più sfaccettato, prigioniero di un ruolo e d’una maschera che stridono con le sue pulsioni più intime, come vedremo, sempre per allusioni, come Campion sceglie per tutto il film.(E lo stridore di oggetti sgradevoli , dal pettine contro denti , a toppe che girano sinistramente , ad altri suoni , pervade tutto il film). Il  modello di Phil è il macho tutto d’un pezzo, omofobo e suprematista, sulla scia  del suo  mentore e mito “Bronco Henry”, morto a 50 anni un ventennio prima. Phil non si lava, dorme ancora nella sua cameretta di ragazzo con letto a una piazza, cavalca divinamente, va a caccia, castra i buoi a mani nude (ne ha contano finora 1500), sorveglia la proprietà e le bestie dai lupi della montagna, e dai pellerossa che di volta in volta vengono per vendere qualcosa o per barattarla con pellame.

Ma per Phil, piuttosto bruciare le pelli che avanzano, che darle a quei “vagabondi indiani poco di buono”. Ma nella messa in scena di Campion,  Phil è solo un survival di un West ormai estenuato e la regista neozelandese ce ne mostra uno infatti ben lontano dagli stereotipi del genere che per un centinaio d’anni ci ha nutrito l’immaginario: nessun mezzogiorno di fuoco, né assalti alle diligenze da ‘ombre rosse’, neppure saloon con donnine compiacenti per i gringos di passaggio: i cow boy fanno solo i cowboy, allevando mandrie bovine, le fondine e le colt sono ormai appese al chiodo, e gli uomini, nelle pause del lavoro, stanno nudi in riva al fiume a bagnarsi e scherzare, con alle spalle i boschi verdi di alberi e frutti, e suonano mollemente alla chitarra motivi country che chiedono solo “ O mio Signore, metti il whisky nella mia bottiglia, fai sciogliere la neve e la mia tristezza, e un luna di miele sul mio capo…”. Tutto è bucolico, ammansito, la natura sfavillante di luce, altissimi frumenti dorati accarezzati dal vento, il coro delle montagne in campo lungo, la fotografia di Ari Wegner richiama gli esterni del grande Almendros nel malikiano I giorni del cielo. Wegner poi, negli interni gioca coi chiaroscuri, una luce filtrata da ricercati tendaggi in toni morbidi , che sfuma nei marroni di rovere e noce  dei mobili .

In questo West anestetizzato e decadente di Campion c’è il tempo per un cerimonioso pranzo che il ranchero buono, novello sposo di Rose, offre al Governatore e signora , dove vengono serviti aperitivi con gli ombrellini di carta, posate d’argento, tovaglioli e tovaglie di lino, due cameriere bianche, e infine il pianoforte , ma qui, a differenza della Holly Hunter di Lezioni di Piano, la povera Rose, beneficiata del regalo dal marito George, si blocca sul più bello, non è capace di accennare nemmeno a una nota, di fronte agli eminenti ospiti.

In realtà è l’ombra di Phil che la terrorizza e destabilizza fin da quando lei è entrata in quella casa, chiamandolo “fratello” e ricevendo dal neo-cognato un tagliente : “Io non sono tuo fratello, e tu sei una gran manipolatrice”. E quando, tempo prima col pianoforte appena ricevuto, aveva iniziato un motivo, Phil le si era subito sovrapposto provocatorio col suo banjo. L’ombra di Phil alleggia adesso come il convitato di pietra che si nega al convivio, ma si materializza alla fine con fare irridente (“sono arrivato ora da cavallo senza essermi nemmeno lavato né cambiato…”), con pronta salace replica del Governatore ( “Il sudore onesto del lavoro!”) che poi, appreso del suo ph.d, aggiunge: “Allora Lei si rivolge ai suoi cowboy in greco o in latino?” .

Siamo in realtà nel pieno di una lotta mortale tra Rose e Phil per contendersi l’un l’altro l’anima di Peter. Phil avverte l’arrivo della donna e del figlio come una contaminazione ulteriore di un cicisbeismo nel suo mondo ideale, ma anche è geloso per avergli sottratto il fratello e messo le mani su una proprietà finora da condividere solo con George. E fa di tutto per attrarre a sé il ragazzo e “sfemminizzarlo” dalle influenze nefaste della madre , bollata solo come opportunista. Comincia così una sua personale rieducazione nei confronti di Peter: per primo gli piccona l’immagine del padre (“un beone patentato e fallito che si è ucciso per vigliaccheria”), e poi della madre (“un’alcolizzata che rovista i fondi di whisky fin dei rifiuti”).

Peter sembra irretito dalla figura di Phil, dai modelli di macho che gli propone, dalle nuove abilità cui lo stimola, come andare a cavallo, o saper fare una vera sapiente corda da lazo od altro, andando alla ricerca di cose interessanti ( magari animali da sezionare, pietre preziose o tesori nascosti) nei boschi o sui monti.

Rose sente che Peter le sta sfuggendo di mano, avverte la minaccia totale alla sua nuova vita e sistemazione dalla crescente influenza del cognato sul figlio. E si dispera e deraglia sempre più. E continua ad affogare le sue ansie nell’alcool, fino ad avere evidenti mancamenti anche pubblici.

Phil pensa d’averla in pugno, e anche Rose pensa di star per perdere la partita e crolla sempre più. D’altro canto , il suo mite George cui lei si rivolge, sembra sminuire il tutto e anzi  vuol vedere solo il lato positivo in questo avvicinamento tra il fratello e Peter.

Ma  sia George che  Rose e Phil non hanno fatto i conti con il lato oscuro di Peter, sul senso delle parole da lui pronunciate fuori campo nell’ ouverture del film, senza musica e a sipario ancora chiuso : “io amo mia madre e difenderò la sua felicità. Che uomo sarei se non la salvassi ?”, rafforzate in una successiva scena ambigua:“ tu non sei obbligata a fare questo, e io farò in modo che tu non debba più farlo”, mentre la madre lo carezza e abbraccia malferma per l’alcool, forse accennando a un approccio incestuoso.

E sull’altro versante cominciano a emergere altri aspetti di Phil, alcune sue vulnerabilità e contraddizioni. Casualmente Peter scopre in un nascondiglio vicino al fiume alcune riviste di uomini nudi che Phil compulsa gelosamente.

Il 46enne londinese Benedict Cumberbatch qui si conferma interprete eccezionale, superandosi anche rispetto le precedenti notevoli prove (è già stato Alan Turing in The Imitation Game, Stephen Hawking nel film omonimo, Julen Assange in Quinto Potere), conferendo al personaggio di Phil una straordinaria gamma di sfumature con minimi , impercettibili mutamenti di sguardi, mimica, gesti, sempre in sottrazione : straordinario tra gli altri il momento in cui, solo, disteso nudo in riva al fiume, prende il coprisella di stoffa di Bronco Henry, conservato come una reliquia , lo distende al sole, ne cerca le impronte del ‘cavallo’, e poi  se ne avvolge come una sindone, nel viso e nel corpo, e cerca di inspirarne l’odore residuo dal  tessuto, voluttuoso e religioso assieme, con un senso di struggimento e sperdimento. Cumberbatch ci sta così trasmettendo in poche mosse che Phil questi gesti li avrà già fatti mille altre volte e contemporaneamente quale pesante travagliata maschera deve sostenere in pubblico col suo machismo assai problematico.    Candidato Oscar 2022 per miglior attore protagonista.

Ambiguo e sfuggente, pur se non al livello del londinese, risulta anche il 26enne australiano Kodi Smit-McPhee nel ruolo di Peter ( The Road , 2009, e Blood Story, 2010). Egli manifesta il suo “cuore selvaggio” in modo più freddamente chirurgico : sezionando per esempio i coniglietti che cattura per le sue esercitazioni di anatomia  (è iscritto a Medicina per seguire le orme del padre , già medico della contea). Anche se , davanti a Phil, scovatone uno ferito alla zampa, lo stringe a sé , lo accarezza e poi lo lascia andare. E ancora per come, sulla costa del monte , trovato un bue morto, causa probabile antrace, ne estrae la pelle, con i guanti. Candidato Oscar 2022 per il miglior attore non protagonista

È infine candidata all’Oscar anche la quarantenne americana di origini germaniche Kirtsten Dunst: regala persino all’angelica povera Rose, le sue belle dosi di ambiguità e contraddizioni. Dall’edipico rapporto col figlio Peter, al vissuto col marito alcolista e rifugiatasi anche lei dopo la sua morte nel bere, al suo insopprimibile perbenismo piccolo borghese, velleitariamente estetizzante, al rapporto opportunista e diffidente verso ogni maschio, per cui circa Phil che lo schernisce, commenta al figlio: “Lascia perdere, non importa, non ne vale la pena, è solo un maschio, un maschio come gli altri”. Dunst d’altronde ha sempre interpretato donne con una vena di lucida follia, sopra le righe, e sottilmente inquietanti dietro la dolcezza dei suoi occhi azzurri, che sanno divenire di ghiaccio in un secondo. (Intervista col vampiro, Fargo, Melancholia di Lars Von Trier, Maria Antonietta di Sofia Coppola).  Candidata Oscar 2022 per migliore attrice non protagonista

La scena cruciale che definisce chi sarà a prevalere in questa contesa, è quella prefinale della sigaretta accesa e scambiata eroticamente di bocca in bocca tra Peter e Phil. Anzi maliziosamente offerta da Peter, in uno sfumato atto di seduzione. E’ sufficiente guardare come vengono ripresi i due : Phil, pur in primo piano, è in penombra, pensieroso, smarrito : forse una fitta di desiderio gli sta abbassando le difese. Peter in secondo piano, è invece illuminato da un sorriso leggero e consapevole.

Tutto il resto forse appartiene al campo della suspense, ma non della significanza cinematografica. Che si guardi il film allora, ma non solo per il finale : Jane Campion ha già disseminato prima elegantemente le sue tracce, coi guanti. Ma sotto il tappeto, e sotto un letto, c’è un verminaio diffuso, un cappio regalato da un morto a Peter, e un morto impiccato cui Peter ha tagliato il cappio.

Peter infine, a epigrafe del tutto, legge un passo biblico dal Libro dei Salmi (22.20): “Salva l’anima dalla spada, salva il cuore dal potere del cane”. Guardate il film, capirete, come Phil a Peter : “Bronco Henry mi ha insegnato a usare gli occhi. Guarda là , per esempio, tu cosa vedi?….”.

JANE CAMPION, 1954, New Zeland, è una delle più grandi registe internazionali. I suoi vertici finora : Leone d’argento nel 1990 con Un angelo alla mia tavola , 1993 Lezioni di piano, Palma d’oro a Cannes e Oscar 1994 per la migliore sceneggiatura originale .  Mentre tiepide risposte di pubblico e di critica per i successivi Ritratto di signora, da Henry James, 1996 e Fuoco sacro (Holy Smoke) ,1999, pur  premiato a Venezia per la regia. Nel 2003 In The Cut, è un successo di botteghino, ma non di critica. Nel 2009 Bright Star , sugli ultimi anni di vita del poeta Keats;  nel 2013 una serie per la tv australiana Top of the Lake.

Torna al cinema , dopo 11 anni d’assenza, con questo suo Il potere del cane ( The Power of the Dog), 2021: già  Leone d’argento a Venezia 2021, 1 Golden Globe 2022 : miglior film drammatico;  2 Bafta 2022 : miglior film e migliore regia.

PER L’OSCAR 2022 è candidato a  ben 11  statuette : miglior film, migliore regia, migliore sceneggiatura non originale ( tratto dal romanzo The Power of the Dog di Thomas Savage, 1967) ; migliore attore protagonista (Benedict Cumberbatch);  migliore attore non protagonista (Kodi Smit-Mc Phee); miglior attrice non protagonista (Kirsten Dunst); miglior direzione fotografia (Ari Wegner), miglior scenografia (Grant Major) ; miglior montaggio (Peter Sciberras) ;  miglior sonoro (AAVV) ; miglior colonna sonora  (Jonny Greenwood).

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