Firenze – Un modello virtuoso da proporre o un’egemonia arrogante da far valere sempre e comunque. Fra questi due poli si è mossa da cinquant’anni a oggi l’analisi degli esperti che osservano l’evoluzione politica, sociale ed economica del gigante che sta al centro dell’Europa.”Modell Deutschland”, il modello Germania esportabile era il manifesto del programma del partito socialdemocratico tedesco al governo nella seconda metà degli anni 70. Un’affermazione orgogliosa per aver costruito una società più solida riequilibrando le disuguaglianze, nel rispetto dei diritti e della dignità dei cittadini sanciti dalla legge fondamentale (Grundgesetz).
Era il frutto di una delle tendenze che hanno sempre caratterizzato la prassi politica tedesca alla ricerca di una strada diversa dagli altri (Sonderweg): un sistema capitalistico consociativo, corretto dalla solidarietà e dalla partecipazione dei datori di lavoro e dei lavoratori alla gestione delle aziende. La cosiddetta Economia sociale di mercato (Soziale Marktwirtschaft).
Su quel modello si è focalizzata la discussione in Europa fino alla riunificazione del 1990, quando è improvvisamente comparso nel centro dell’Europa uno Stato di 80 milioni di abitanti, una potenza dotata di un’economia forte e di un peso politico capace di condizionare i rapporti internazionali. Gli osservatori cominciarono allora a parlare di tendenza alla “germanizzazione” dell’Europa che ha bisogno di pesi e contrappesi e guardavano con preoccupazione alle politiche economiche neo-mercantilistiche che hanno prosperato anche a spese dei partner europei.
I sospetti di volontà di egemonia sono riaffiorati in occasione della crisi del debito greco, nel 2009, all’inizio dell’era di Angela Merkel, durante la quale sembrava ad alcuni che la Germania fosse pronta a mandare all’aria la moneta unica in nome della austerità che secondo i suoi governanti doveva essere imposta ai cittadini dei paesi mediterranei. Dopo aver lasciato a lungo precipitare la situazione, la Cancelliera intervenne e ha tenuto in piedi “la baracca” Europa.
Sono passati dieci anni ed è arrivato il momento di verificare se si sono avverate le previsioni più negative, o semplicemente più realistiche, sui movimenti e le tendenze all’interno di quello che un tempo veniva definito “der gefesselte Riese”, il gigante incatenato. Quale strada ha scelto la Germania?
Un libro appena uscito per i tipi dell’Ets di Pisa, “La nuova Germania – la Repubblica federale 30 anni dopo la riunificazione“, propone un’analisi aggiornata, prendendo spunto dal triplice anniversario dell’ultimo anno e mezzo: il centenario della Costituzione della Repubblica di Weimar, che proponeva una democrazia avanzata che fu travolta dalle conseguenze fatali della prima guerra mondiale con l’instaurarsi della dittatura più sanguinaria della storia; il settantesimo anniversario del Grundgesetz del 1949 e il trentesimo anniversario della caduta del Muro di Berlino del 1989 con la successiva riunificazione (1990).
Il volume, a cura di Luca Renzi e Ubaldo Villani-Lubelli, contiene saggi di alcuni dei più importanti studiosi e politologi che seguono le vicende tedesche: Fernando D’Aniello, Jacopo Rosatelli, Monika Poettinger, Federico Niglia, Beatrice Benocci, Matteo Scotto e Ulrich Ladurner.
Dalle argomentazioni degli autori, seppure con diverse sfumature più legate alle prospettive che allo stato attuale, si trae la convinzione che la Germania non solo non ha abbandonato la strada del modello virtuoso da proporre ai vicini, ma è gradualmente diventata una solida àncora contro le spinte centrifughe e recessive che indeboliscono il processo dell’integrazione europea.
Intanto la legge fondamentale tedesca è l’unica costituzione europea che all’art.23 definisce le regole per la partecipazione tedesca alla realizzazione dell’Europa unita. “La strada segnata sembra essere quella di un’Europa pienamente federale sul modello di Weimar e Bonn”, scrive D’Aniello.
Sul piano sociale ed economico, il grande Paese centro-europeo è andato alla ricerca di una via diversa all’interno del capitalismo mondiale, per trovare correttivi all’impatto destabilizzante della globalizzazione. Quello che negli anni 90 si definì il capitalismo renano che vuole tutelare anche gli interessi degli stakeholder (lavoratori, loro famiglie, fornitori etc., e non solo quelli degli shareholder (gli azionisti) pilastro del capitalismo anglosassone, ha cercato e sta tuttora cercando di salvaguardare l’economia sociale di mercato pur adattandosi alle nuove condizioni. “Osare più democrazia, il celebre motto di Willy Brandt, sembra essere ancora in grado di descrivere la sfida di fronte alla quale si trova il Paese e l’intero continente”.
Certamente la grande forza economica tedesca è stata costruita anche su alcuni pregiudizi e su teorie eclettiche che continuano a condizionare le decisioni di politica economica, “fino a diventare un pericolo per lo sviluppo economico tedesco e per l’intera struttura europea”, osserva Monika Poettinger. Non molto, poi, è rimasto del sistema partecipativo e corporativo del vecchio Modello Germania e l’economia sociale di mercato è stata ridimensionata in non lieve misura, prosegue l’economista, “ma i tedeschi si sono dimostrati in grado di realizzare le riforme strutturali compiendo efficacemente un percorso di trans-nazionalizzazione e liberalizzazione della propria economia”. Ora potrebbe considerare e sviluppare di nuovo i principi che stanno alla base della sua economia e de suoi rapporti sociali. La Germania, sostiene Beatrice Benocci, nel corso delle crisi si è sì ripiegata su se stessa, ma “nel tentativo di aiutare subito il comparto economico al fine di garantire la tenuta socioeconomica e politica del paese”.
L’aspetto più innovativo e più esemplare della nuova Germania è sicuramente l’impegno dei suoi governanti (la Grosse Koalition Cdu-Spd) di costruire una società multiculturale, grazie all’accoglienza degli immigrati e al dialogo fra le diverse culture. Ciò può avvenire grazie al fatto che le forze politiche partecipano tutte alla formazione dell’opinione comune: “La Germania è una democrazia consociativa o consensuale, nella quale cioè difficilmente una forza politica si trova completamente e irrimediabilmente ai margini dei processi decisionali. Così il Paese ha dato vita, con ancora più vigore dopo la Riunificazione a un paese dagli aspetti multiculturali pressoché unici in Europa”, scrive Renzi .
Sul piano del suo ruolo nella politica globale, secondo Niglia, la Germania fatica a concepirsi come un soggetto leader, e tanto meno sono diffuse, nella sua classe dirigente come nella sua opinione pubblica, tendenze egemoniche, ma “preferisce concepirsi come un paese che ambisce a creare un sistema europeo e internazionale basato su norme e regole e ha continuato a seguire tale modello anche quando il sistema internazionale ha mostrato una riemersione della politica di potenza nella sua forma più classica”.
Sono tendenze soggette ovviamente ai rischi e al mutare dei processi storici. Anche la Germania registra la crisi dei partiti popolari tradizionali e per la prima volta il successo di una forza di estrema destra nazionalista, Alternative fuer Deutschland, con il ritorno del “sacro egoismo”, che trova spazio attaccando le politiche di accoglienza dei migranti e grazie al vento sovranista che spira in Europa.
Tuttavia, conclude Beatrice Benocci, il progetto Modell Deutschland è “ancora fortemente attuale, soprattutto alla luce delle trasformazioni attualmente in corso a livello globale, caratterizzate dall’emergere di Stati che, a differenza dell’Unione europea, non tutelano l’individuo, non garantiscono un sistema minimo di welfare, né si preoccupano della tutela dell’ambiente o di risolvere il problema dei cambiamenti climatici”.