La Chiesa si trovò in questo periodo a dover affrontare una profonda riflessione sulla guerra e sull’uso della forza:se infatti la cultura del tempo enfatizzava la santità di un conflitto in difesa dei cristiani di Oriente trucidati dagli infedeli, al tempo stesso era viva la condanna di coloro che ritenevano tale rimedio e la violenza in generale incompatibili con la perfezione spirituale.
Il dissidio fu risolto grazie all’abilità di Bernardo Chiaravalle,che trovò il modo di fondere due figure fino ad allora ritenute tra loro inconciliabili: il monaco e il cavaliere.
Con la riforma di Gregorio VII, il versar sangue per la salvezza della Cristianità sarebbe divenuto un atto di espiazione dei peccati: nacque così la “Pax Domini”. Del resto, il Medioevo sarebbe rimasto fortemente influenzato dalle idee riformistiche di questo pontefice, che trovarono in seguito compimento con uno dei più grandi Papi del periodo, Innocenzo III. Così, sebbene la Chiesa medievale affermi che l’ordo oratorum (ossia gli uomini religiosi) non possa impegnarsi assolutamente in battaglia, “ciò non vuol dire che i credenti, in particolare i Re, i nobili, i cavalieri, non debbano essere chiamati a perseguire scismatici e scomunicati. Infatti, se non lo facessero, l’ordo pugnatorum sarebbe inutile nella legione cristiana”.
Ancora, a favore della guerra santa (concepita non solo come difesa materiale della Chiesa, ma anche come mezzo attraverso il quale il combattente può riscattare la propria anima) si può leggere:
“Dio ha istituito la guerra santa, in modo che l’Ordine dei cavalieri e la moltitudine instabile che avevano l’abitudine ad impegnarsi in reciproci massacri, come gli antichi pagani, possano trovare una nuova via per ottenere la salvezza”.
Al cavaliere era dunque ora offerta la possibilità di redimersi convertendosi in Cavaliere di Cristo.
Combattendo per difendere la Chiesa e la Cristianità, egli avrebbe infatti espiato i propri peccati e sarebbe tornato nell’amore di Dio, che alla sua morte lo avrebbe accolto nel novero dei martiri.
L’idea della guerra giusta e di quella santa, intese come modo per ottenere la salvezza eterna, trovò effettiva corrispondenza nell’Ordine templare ed in San Bernardo, che più tardi avrebbe composto per Ugo di Paynes l’opera più importante della concezione medievale del rapporto Cristianità-guerra, il “Sermo de Laude Novae Militiae”. In breve, sostiene San Bernardo, la guerra è da
considerarsi “giusta” allorché risulti finalizzata a difendere un regno da un invasore esterno; se invece si combatte per proteggere non un regno ma la Cristianità, allora la guerra stessa si sublima fino a divenire appunto “santa”. E il Cavaliere di Cristo che uccide un malfattore, afferma San Bernardo, non deve essere considerato omicida ma “malicida, vendicatore da parte di Cristo di coloro che operano il male”. Queste considerazioni permettono di introdurre il tema della “militia Christi”, una cavalleria mossa dalla “charitas cristiana” e dedita esclusivamente al combattimento per la difesa dei fedeli da qualunque nemico. La distinzione tra la “militia Christi” e la “saecularis
militia” è così spiegata: “mentre gli esponenti della prima conducono una vita sobria seguendo i voti monastici, combattono per Cristo, scendendo in guerra armati solo dell’armatura di ferro e della Fede e considerando la guerra un atto di difesa dei più deboli, gli esponenti della seconda vivono nel lusso più sfrenato, interessati solo ad arricchire le loro proprietà. Essi vestono di seta,
ingioiellano le gualdrappe dei propri cavalli e ornano i propri elmi con lunghissime penne colorate, e così, sfarzosi più che ben armati, scendono in campo sperando solo di vincere per potersi arricchire ulteriormente. Ma, cosa più importante, i cavalieri di Cristo, morendo o uccidendo, conservano pura la loro anima, perché combattono la guerra del Signore, mentre i cavalieri secolari rischiano, più che la vita, di dannare l’anima, perché se uccidono peccano
mortalmente e se muoiono periscono per l’eternità”.
Ottenuto dopo il Concilio di Troyes l’approvazione della regola ed il riconoscimento formale da parte della Chiesa, all’ordine rimaneva ancora una terza esigenza da soddisfare per assicurare la propria sopravvivenza: il reclutamento di nuove leve in tutta Europa. Subito dopo il Concilio, dunque, Ugo e i suoi si divisero, percorrendo ognuno una strada diversa. Era l’anno 1129. Durante questi viaggi, i Poveri Cavalieri di Cristo iniziarono a raccogliere le prime donazioni. In origine si trattava di piccole proprietà conferite dalle famiglie dei Templari, poi a mano a mano che l’Ordine veniva conosciuto ed apprezzato cominciarono a pervenire contributi da parte di persone di tutti i ceti, specialmente da membri della media nobiltà. Le donazioni si susseguirono divenendo sempre
più frequenti, particolarmente in Francia. All’inizio i possedimenti dell’Ordine erano di piccola entità econsistevano solo nelle terre conferite dagli aderenti. Col Concilio di Troyes, poi, i padri che vi parteciparono, i nobili e i grandi proprietari terrieri cominciarono ad avvicinarsi al Tempio. Terreni, case e mansiones furono donati all’Ordine in quantità sufficiente da permettere ad esso di espandere il proprio raggio d’azione, che presto avrebbe toccato anche il Portogallo e l’Italia.
E’ ora doveroso precisare un aspetto importante: i Templari erano sì religiosi ma non ricevevano la consacrazione sacerdotale, poiché era loro vietato l’accesso agli ordini superiori che conferivano la possibilità di amministrare sacramenti. Vigeva infatti all’epoca unaspeciale interdizione che da secoli vietava ai sacerdoti di combattere e spargere sangue. L’ordine disponeva di cappellani, ma essi vi erano entrati dopo aver ricevuto la consacrazione sacerdotale e non potevano assolutamente essere impiegati in guerra.
Affinché però l’istituzione mantenesse la propria originaria connotazione all’insegna della penitenza e dell’umiltà, non affiorasse l’innata arroganza della cavalleria e rimanesse primario lo spirito di servizio occorreva una regola rigidissima, che permettesse di frenare l’orgoglio personale e al contempo di delineare un ideale di vita, un modello di perfezione per la società cristiana.
San Bernardo aveva esaltato con la sua focosa eloquenza le virtù profonde del nuovo guerriero,
sostenute dai principi della Regola: “Anzitutto la disciplina è costante e l’ubbidienza è sempre rispettata; si va e si viene al segnale di chi ha autorità; ci si veste di quanto questi ha dato; non si presume di cercare altrove nutrimento e vestito (…) Conducono lealmente una vita comune sobria e gioiosa, senza moglie né figli; non li si trova mai oziosi, sfaccendati, curiosi. Fra loro nessuna discriminazione: si onora il più valoroso, non il più nobile (…); detestano i dadi e gli scacchi, aborriscono la caccia (…); hanno i capelli tagliati molto corti (…), mai pettinati, raramente lavati, la barba trascurata e irsuta; sporchi di polvere, la pelle conciata dal calore e la cotta di maglia (…)”.
Ecco l’indimenticabile ritratto che egli abbozzò di un
simile cavaliere: “Questo cavaliere di Cristo è un crociato permanente, impegnato in un duplice combattimento: contro la carne e il sangue, contro le potenze spirituali nei cieli. Avanza senza paura, questo cavaliere in guardia a destra e a sinistra. Ha rivestito il petto con la cotta di maglia, l’anima con l’armatura della fede. Munito di queste due difese, non teme né uomo né demonio. Avanzate dunque con sicurezza, cavalieri, e scacciate davanti a voi, con cuore intrepido, i nemici della croce di Cristo: né la morte né la vita, ne siate sicuri, vi potranno separare dal suo amore… Com’è glorioso il vostro ritorno da vincitori nel combattimento! Com’è felice la vostra morte da martiri in combattimento!”.