Il mercato drogato degli affitti turistici: nuove regole e meno licenze

La proposta avanzata dal gruppo veneziano Alta Tensione Abitativa

Affitti brevi turistici, tema caldo per le città d’arte in particolare. E’ ormai evidente e sotto gli occhi di tutti, che il circuito che spesso fa ormai capo alle grandi piattaforme internazionali e che consiste sostanzialmente nell’affittare per qualche notte (la media è di 3-4 notti) un appartamento ai turisti che si muovono in modo sempre più massiccio verso mete promosse a livello internazionale e che costituiscono veri e propri brand (in Italia Venezia, Firenze, Roma, Milano e Napoli sono a capo di lista), ha un impatto rilevante sul mercato immobiliare locale.

Una sorta di turbativa che agisce in due modi: da un lato, gonfiando i prezzi degli immobili, in particolare elevando i canoni d’affitto ben al di sopra delle possibilità economiche del cosiddetto cittadino medio, col risultato di spingere sempre più la residenza fuori dai centri storici e nei comuni di cintura; dall’altro, quello di “rastrellare” gli alloggi della città, a cominciare dalle zone storiche ma non solo, provocando un ridimensionamento dell’offerta che, a fronte dell’implementazione della domanda, contribuisce a mantenere i valori delle case al di sopra delle medie reali.

Il risultato è quello che è stato definito un mercato drogato, che tuttavia si autosostiene in modo autonomo, come si è visto nel periodo pandemico. Il caso di Firenze era ed è emblematico: nonostante l’area Unesco pressoché deserta, misura evidente di quanto sia ormai vuoto di residenza il centro cittadino, i valori degli immobili non sono affatto scesi e si sono avuti numerosi casi di proprietari che hanno preferito tenere fuori dal mercato i propri immobili aspettando che la tempesta passasse. E puntualmente, a tempesta dissolta, tutto è tornato esattamente come prima, segnando (è notizia di questi giorni) un ulteriore apprezzamento degli immobili fiorentini, in particolare per quanto riguarda la fascia degli immobili di pregio, più consoni a due finalità, perseguite sia dai grandi gruppi immobiliari che dai fondi di investimento che stanno “comprando” la città: quella dell’investimento con rendita stabile a lungo termine, e quella che sfocia nell’ulteriore passo della finanziarizzazione del bene reale.

Aspetto quest’ultimo interessante e ancora non ben analizzato, che comporta l’ulteriore passaggio della non obbligatorietà dello sfruttamento fisico, come vorrebbe la realizzazione della rendita tradizionale. Un interessante esperimento dello stemperarsi della res nell’astrazione del mercato, che svincola la rendita e il valore dall’impiego economico “reale” della cosa. Infine, l’ultima annotazione riguarda la pervasività del fenomeno dell’affitto breve turistico. Mentre in origine era sostanzialmente appannaggio di centri storici e aree di richiamo artistico e culturale, sull’onda del potenziamento delle infrastrutture da un lato e dall’altro della necessità di dare risposte a una domanda sempre più pressante, il fenomeno sta espandendosi a tutto il territorio cittadino e addirittura oltre. Il caso di Firenze è emblematico: turisti con i trolley sono stati avvistati fino a Novoli e in località ben servite dalla tramvia come Scandicci, zone relativamente lontane dall’area Unesco, ma sulle direttrici della tramvia; espansione che non fa che rendere ancora più gravi le conseguenze già segnalate per la popolazione residente, che vede non solo l’innalzamento dei canoni, ma anche la rarefazione di alloggi a lunga residenza. Insomma le case sono più care e sono meno. Una vera e propria mazzata per il tessuto socio economico di città che vivono da tempo nella situazione dell’alta tensione abitativa.

Su tutto questo, le proposte per intervenire sono molte, e in questi giorni si è assistito anche al tentativo da parte del governo centrale, cui va in buona parte la responsabilità legislativa per la regolamentazione del fenomeno, di costruire una proposta di legge che riesca a contemperare e regolamentare da un lato i principi della proprietà privata e del mercato e dall’altro, sempre la proprietà privata (dei residenti) e il diritto alla casa. Un diritto quest’ultimo che ha anche una misura precisa, dal momento che per essere sostenibile per una famiglia, il canone non deve ingoiare più di un terzo del reddito familiare. Da studi recenti del Sunia, a Firenze il canone d’affitto ingoia spesso oltre il 60% del citato reddito. Sulla scorta della proposta Santanchè, dal nome della ministra al turismo, che ha lasciato tutti insoddisfatti, in particolare gli amministratori locali che speravano almeno di poter godere dei poteri “rafforzati” che vengono attribuiti dalla cosiddetta legge, una reazione molto forte almeno sulla carta è quella del sindaco di Firenze Dario Nardella, che sta per stoppare la possibilità di utilizzo degli alloggi in area Unesco a fini di affitti brevi turistici, comprensivo anche degli Airbnb, ovvero dell’utilizzo attraverso piattaforme dedicate.

Fra le proposte di regolamentazione che maggiormente hanno attratto l’attenzione dei vari comitati e enti locali che si occupano della questione, la “madre” è quasi sicuramente la proposta avanzata dal gruppo che fa base proprio a Venezia, Alta Tensione Abitativa o ATA, citato più volte in tutti i convegni che vengono organizzati su questo tema.

Giacomo Menegus, uno dei suoi membri più attivi e conosciuti, è stato invitato a Firenze, al convegno organizzato da Sunia-Cgil e dall’Associazione Progetto Firenze (Sunia e l’Associazione hanno prodotto a loro volta una proposta che si basa in buona sostanza sull’individuazione di una sottocategoria al concetto di residenza indicando quindi una via giuridica di soluzione alla domanda di regolamentazione del fenomeno) per esporre i punti salienti della proposta.

“Una caratteristica propria della nostra proposta – spiega Menegus, raggiunto da TheDotCultura – è quella di non mettere al centro unicamente la tutela dei beni culturali e del centro storico, ma la casa; ossia il tentativo di impedire che la diffusione incontrollata degli affitti brevi incida in modo troppo impattante su un mercato delle locazioni per i residenti di lungo periodo che spesso è già compromessa”.

L’idea di fondo è quella di contemperare gli interessi in campo, quelli dei proprietari e quelli dei residenti ad avere accesso al mercato residenziale di lungo periodo possibilmente a canoni abbordabili alla luce di quelli che sono i redditi medi cittadini, tenendo tuttavia ben presenti i principi costituzionali ed europei di riferimento.

“La proposta mette al centro i Comuni, le amministrazioni locali – spiega Menegus – che sono vicine al cittadino, conoscono meglio le realtà locali, i problemi che emergono dai diversi contesti urbani. In Italia infatti abbiamo realtà urbane molto variegate su cui gli effetti degli affitti brevi hanno effetti diversi. Venezia ha una realtà urbana non assimilabile a Firenze, Milano, Torino, Napoli, Roma e così via. In questo senso, è quasi banale dire che sono le amministrazioni comunali a dover tenere in mano la gestione del fenomeno, approntando delle soluzioni”. Un’altra caratteristica della proposta di ATA è quella di rivolgersi solo ai Comuni ad alta tensione abitativa, ovvero “quei Comuni dove è certificato un pronunciato disagio abitativo; questo dovrebbe anche assicurare la proporzionalità e la ragionevolezza dell’intervento legislativo”.

Entrando nel merito, “si pensa di introdurre un tetto massimo al numero di locazioni brevi che si possono avviare, differenziato per le diverse zone della città. Per collocare l’asticella oltre cui non si può andare, a rischio di far diventare l’impatto degli affitti turistici brevi sul tessuto immobiliare insostenibile, il Comune potrà fare riferimento a tutta una serie di criteri che abbiamo individuato, fra cui però quello principe è il rapporto fra i posti letto nella ricettività turistica e i residenti”. Questo punto si basa, per essere effettivo, in buona sostanza sulla capacità da parte dei Comuni, magari avvalendosi di centri di ricerca e di Università dove possibile, di raccogliere dati il più possibile accurati circa il territorio e le zone interessate, essendo molto legata l’equità del tetto predisposto all’accuratezza dei dati del territorio.

Ovviamente ciò comporta la restrizione “artificiale” di ciò che ad ora si presenta come un mercato libero, in cui chiunque può aprire un affitto breve in qualsiasi momento, mentre in questo modo il numero degli affitti brevi sarebbe ancorato al tetto predisposto in una determinata zona. Ciò comporta che il Comune sia deputato a concedere le autorizzazioni per l’esercizio della attività di locazione breve. I criteri per l’assegnazione ai proprietari che ne faranno richiesta, saranno definiti essenzialmente a livello comunale. Ciò sarà un punto politico di dibattito a livello locale molto importante, in cui sarà decisivo il confronto con le categorie, ma anche con la presenza necessaria dei residenti, senz’altro una delle voci che strutturalmente devono essere ascoltate”.

Anche in questa fase, la proposta di legge di ATA vede alcuni principi importanti fissati per indirizzare le scelte future. “L’idea è stata quella di tornare alle origini della locazione breve turistica, ovvero quella di ritorno alla sharing economy come integrazione al reddito del proprietario e non come attività strutturata su larga scala di accoglienza turistica”.

Come fare? “Due principi: massima distribuzione delle licenze, evitando la concentrazione in capo a singoli soggetti pluriproprietari, per favorire il piccolo proprietario; non dare autorizzazioni a tempo indefinito. Il secondo punto è fondamentale, perché evita la creazione di sacche di privilegiati che possono fare locazione breve a discapito di tutti gli altri, in un mercato ristretto rispetto a quello attuale”.

Dunque, autorizzazione temporanea quinquennale e informata a un principio di rotazione, “cercando di favorire chi ancora non ha avuto la possibilità di fare locazione breve”.

Il meccanismo di autorizzazioni descritto da Menegus lascia fuori tutto ciò che non incide concretamente sullo stock abitativo residenziale. “Restano fuori le locazioni brevi dei proprietari, che risiedono nell’immobile ovviamente non tutto l’anno, e chi affitta una stanza della propria abitazione. Questi non dovranno chiedere autorizzazioni e non avranno limiti per potere esercitare questa attività”.

La proposta, pur nascendo a Venezia, guarda a tutto il territorio nazionale. “Ci siamo resi conto che non è solo la locazione breve che può comportare un impatto significativo sullo stock abitativo residenziale, ma anche tutto l’extra alberghiero, soprattutto in quelle regioni come la Toscana, in cui non è previsto cambio di destinazione d’uso per l’avvio di tutta una serie di attività extralberghiere. Il problema che si è posto è che, al netto dell’incrocio di competenze fra Regione e Stato, l’idea, per evitare un travaso dagli affitti brevi alle attività in questione, abbiamo previsto la possibilità per il Comune, d’intesa con la Regione, di comprendere in questi tetti per zona anche l‘extra alberghiero”, ovvero Airbnb ma anche case vacanza ecc.

La proposta di ATA inoltre, non si limiterebbe a fotografare una situazione cristallizzata, già compromessa. “Se guardiamo a Venezia o a Firenze, a certi quartieri di Roma o Napoli – conclude Menegus – la situazione è già diventata insostenibile. Limitarsi a bloccare ulteriori sviluppi senza cercare di rimettere in discussione la situazione non risolve il problema. La leva urbanistica, come ha messo in atto il sindaco Nardella secondo me a ragione, è importante ma guarda al futuro. Il contingentamento delle licenze, come proponiamo noi, può mettere in discussione anche chi già fa locazione breve e quindi non solo riuscirebbe a fermare la deriva, ma potrebbe anche reimpostare la situazione in modo tale da permettere che quegli immobili, già sottratti al mercato residenziale, possano, auspicabilmente, tornare nello stesso”.   

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