E adesso lo invocano in molti, vecchi e nuovi fan, in Italia e in Europa. Mario Draghi, è lui che può salvare l’Unione dalla palude di una congiuntura drammatica. Le guerre alle porte di casa, l’economia che ristagna di nuovo, i sovranismi grandi e piccoli, nuovi venti antieuropei: il prossimo commissario avrà sfide enormi davanti e serve l’uomo giusto. Chi meglio di ‘Super Mario’?
L’ex presidente della Bce si è ripreso la scena presentando l’anticipazione del rapporto sulla competitività, che Ursula Von der Layen gli affidò a settembre scorso. Apparentemente è solo il primo step, previsto, prima di consegnare a giugno l’intero rapporto. Ma la passione e le parole usate da Draghi hanno assunto il sapore del manifesto programmatico per una discesa in campo alla guida dell’Unione nei prossimi anni, difficilissimi e cruciali per il futuro dell’Europa.
La situazione “ci impone di agire come mai fatto prima”. “Ciò che proporrò è un cambiamento radicale, è quello di cui abbiamo bisogno”. “Ci serve un’Unione europea all’altezza del mondo di oggi e di quello di domani”. Ci serve “ridefinirla con la stessa ambizione dei padri fondatori”. Parole galvanizzanti, da campagna elettorale, dal respiro storico più che tecnico.
Draghi, a La Hulpe, sobborgo di Bruxelles, nel corso del suo intervento in occasione della Conferenza sul pilastro europeo dei diritti sociali, è stato chiamato per il suo rapporto sulla competitività e lui ne ha tratteggiato le linee fondamentali indicando “dieci macrosettori” su cui concentrarsi, in primis l’energia, il clima e l’ambiente, la difesa, l’innovazione digitale. Con una parola d’ordine, la coesione: “Dobbiamo agire insieme, possibilmente sempre. Dobbiamo essere coscienti che la coesione politica è minacciata dai cambiamenti del resto del mondo”. A questo proposito l’ex presidente della Bce ha puntato il dito contro le tentazioni protezionistiche degli Stati Uniti e contro il pericolo della Cina che “mira a catturare e internalizzare tutte le parti della catena del valore nelle tecnologie avanzate e pulite e ad assicurarsi l’accesso alle risorse necessarie”, compromettendo le nostre industrie. L’Europa ha quindi davanti cambiamenti epocali da affrontare e, pur non volendo toccare i Trattati attuali la cui revisione sarebbe complessa e lunga, Draghi indica la strada, come farebbe un leader. E così è stato letto il suo discorso, come un manifesto programmatico.
Lui si schermisce, fa sapere di non essere in gioco nell’agone politico ma nei corridoi dei palazzi europei con il suo nome ci giocano eccome, facendo strategie per agganciarlo. A cominciare dal presidente francese Emmanuel Macron, lo sponsor più autorevole anche se non potrà mai esporsi fino a un endorsement formale. L’ha buttata sul personale, “Mario Draghi è un amico formidabile, attendo con entusiasmo il suo rapporto”, ha detto Macron, puntualizzando però che “è il giorno dopo le elezioni che si fanno le nomine, bisogna prima convincere il popolo europeo sui programmi”.
Ma più che le lusinghiere anche se scontate parole del presidente francese, hanno sorpreso quelle laconiche ma imprevedibili del più temibile dei sovranisti, il presidente ungherese Orban : “Draghi? Mi piace, è una brava persona”, ha detto spiazzando tutti.
Germania, Spagna e Polonia sono date come altri possibili buoni sponsor, l’Italia della destra nazionalista meloniana non può certo mettersi di traverso di fronte a un italiano di indiscusso prestigio internazionale. La premier stessa, che pure era l’unica all’opposizione quando Draghi era presidente del Consiglio, non ha mai nascosto la sua stima personale, sancita dai vari e cordiali incontri che i due ebbero per il passaggio di consegne e anche dopo. Ma è stato il presidente del Senato Ignazio La Russa a spendersi esplicitamente: “Lui sicuramente ha i titoli per ambire ad ogni ruolo”.
Certo, senza il nulla osta del Ppe, il partito che dovrebbe confermarsi di maggioranza dopo la tornata elettorale del 6-9 giugno, difficilmente qualcuno ce la può fare ma Ursula von Der Layen, la candidata ufficiale, sembra in affanno, e chissà che la sirena di Draghi colpisca anche la più forte formazione dei moderati.
In Italia, come al solito, si corre, siamo già al toto Draghi. Accompagnato dal consueto chiasso mediatico e politico di queste circostanze. L’ex presidente del Consiglio ha tenuto banco per due giorni, non poteva mancare la raccolta di firme, con il manifesto ‘per Mario Draghi presidente della Commissione europea’ lanciato dal movimento ‘Adesso!’ che vede tra i primi sostenitori Pietro Ichino, Claudio Martelli, Alessandra Sandulli e finanche Linus. E poi si sono fatti sentire i supporter di sempre, come Matteo Renzi (”un candidato perfetto”), Carlo Calenda ed Emma Bonino che però lo vedrebbe meglio come presidente del Consiglio europeo. Le parole più entusiastiche le ha dette il segretario di +Europa Riccardo Magi: “Tutto quello che in questo momento accade nel mondo ci dovrebbe far capire in maniera definitiva che non ha più alcun senso parlare di sovranità nazionale. Non esiste più, è un feticcio”. E allora forza Draghi, “la figura più chiara e netta che negli ultimi anni ha parlato di Europa”.
Ma ci sono altri due ex premier italiani che hanno cuore e testa in Europa, Enrico Letta, incaricato dal Consiglio europeo di stilare un rapporto sul mercato unico, e sono già pronte le sue 147 pagine e Paolo Gentiloni, commissario europeo per gli Affari economici, lanciato soprattutto da Emma Bonino come risorsa, “un’altra energia indispensabile per l’Europa”.
Intanto, a giudicare dalle reazioni alla sua smentita ma invocata discesa in campo, sembra che il ‘whatever it takes’ dell’Europa dei prossimi cinque anni sia proprio lui, Mario Draghi.
In foto: Mario Draghi