Il gruppo del lavoratori (con lettera di licenziamento in tasca) del Maggio si staglia contro l'Arcivescovado. Davanti, lo striscione con la frase di La Pira: "Intervenire si deve è la norma base di tutta la morale cristiana e umana". Fin qui La Pira, seguito da un appello, un grido: "No ai licenziamenti dei lavoratori del Maggio".
No, assolutamente no. Perchè dietro a questo no stanno delle persone, reali, che devono vivere, hanno una famiglia e sono portatori di competenze importantissime, fondamentali per il teatro. Dietro a questo no ci sono lavoratori sopra i cinquanta anni che sono la memoria storica, il valore, le competenze della vita del teatro, che sono il cuore che batte e rende possibile al Maggio di essere ciò che è: una storia, un simbolo, un facitore di cultura, un diffusore di conoscenze. Un'area delle eccellenze internazionali dell'arte teatrale, della musica sinfonica, della lirica. E quei licenziamenti rischiano di smontare l'ingranaggio delicato che lo fa vivere, il Maggio.
Partiamo dalle storie. Quella di Marzia ad esempio, incalcolabili anni di precariato, truccatrice e parrucchiera del teatro, unica figura di questo genere nello staff di precari che il teatro tiene in piedi per questa competenza, dieci anni fa assunzione a tempo indeterminato. "Con questo licenziamento – spiega – non ho maturato neppure gli anni per la pensione. Il mio futuro? Altri otto anni prima della pensione di vecchiaia, nel frattempo cosa? … " Il baratro, senz'altro, per una professionista di oltre cinquant'anni, con competenze eccellenti ma ristrette a un campo molto specifico. Certo, si può firmare l'accordo di "esodo volontario", con 40mila euro lordi (a conti fatti, si tratta di circa 30mila euro netti) e poi? Quanto campa, una persona che ha cinquant'anni ora? In quanto tempo finscono, trentamila euro? E dopo? … Sempre più vecchi, sempre meno spendibili. Insomma, "rottamati".
Ma la storia di Marzia è tragicamente quella di tutti. Il suo compagno, ad esempio. Tecnico d'orchestra, stessa situazione, anche lui fra i nove licenziamenti. In altre parole, da una situazione di tranquilla normalità, alla povertà. Il salto è a occhi chiusi e senza rete.
Ovvimente non finisce qui. Che dire di Giancarlo lo scenografo, scenografo collaboratore per l'esattezza, che vuol dire far parte del trittico che compone la realizzazione delle scenografie, vale a dire il capo costruttore, lo scenografo realizzatore, il collaboratore scenografo appunto. Un trio fondamentale, azzerato. "Rimangono solo il direttore e alcuni tecnici, di cui due fortemnte incentivati all'esodo volontario". Bene, quanto manca a Giancarlo per giungere un minimo di pensione? Nove anni. I toni non cambiano neppure per Carlo, 32 anni alla sicurezza, che fa notare che i licenziamenti si accaniscono tutti sugli staff tecnici. La situazione è la stessa per tutti.
Un quadro da cui esce in buona sostanza un dato: ciò che si va a perdere, con questi lavoratori, se non rientreranno, come i sindacati ancora sperano, le lettere di licenziamento, è un patrimonio che è fatto d'esperienza, tempo, fatica, passaggio di saperi. Un valore che nessuno riuscirà a ricostruire una volta azzerato. Ma soprattutto, ciò che viene gravemente messo in discussione è la visione stessa del teatro: scuola., palestra di saperi, serbatoio di competenze, trasmissione d'esperienza, insomma, tutto ciò che ha fatto grande la tradizione italiana. E il dubbio più che legittimo, di fronte a questo inarrestabile meccanismo di rottamazioni viene espresso senza mezzi termini dai lavoratori: tutto ciò si prefigura come l'anticamera della esternalizzazione dei servizi.
Sì, ma il problema è che il Maggio non regge, economicamente non ce la fa più, è necesario tagliare. S'inviperisce il sindacalista Silvano Ghisolfi, anch'egli fra i licenziati (anche Marzia è sindacalista, appartiene al direttivo provinciale della Cgil, su 9 sono 7 coloro che hanno rappresentato sindacalmente i lavoratori) e uno di quelli che sottoscrisse e convinse i colleghi a "mandar giù" il famoso accordo per il salvataggio del Maggio. Quello che fa "sorprendere" Renzi: "Nel giugno scorso avevamo firmato un accordo quadro, siglato anche dai sindacati Cgil e Cisl, che prevedeva 45 esuberi. Noi – ha detto infatti 5 giorni fa Renzi – stiamo dando corso a quell'accordo che è l'unica strada per salvare il Maggio Musicale da una pesante eredità del passato". E non si può dimenticare la soddisfazione dell'assessore Scaletti quando, all'indomani dell'accordo di giugno, disse: "Vince il valore del lavoro". Intanto, è ormai notizia pubblica, i bilanci del Maggio sono uccel di bosco, pare che la famosa "decurtazione" del 15% degli stipendi per la dirigenza (Colombo ovviamente compresa) sia stata una tantum (per il 2011) a fronte dei sacrifici fatti e che continuano ad affrontare i lavoratori: risultato in moneta circa 147mila euro, messi a fronte del sacrificio dei Tfr, pari a 2milioni 200mila euro. Un momento: e la Cig? Anche questo punto fondamentale dell'accordo, che prevedeva l'accettazione della cassa integrazione alternata a ore per un massimo di 376 lavoratori a tempo indeterminato. E i 45 messi in mobilità? Sì, erano messi in mobilità, ma secondo l'accordo questa doveva essere volontaria, incentivata e senza opposizione da parte del lavoratore. Si trattava di un risultato della trattativa sui 70 licenziamenti che la sovrintendente Colombo avrebbe voluto far partire da marzo. E se i 45 volontari non ci fossero stati? L'accordo prevedeva che Fondazione e sindacato, con gli enti locali, avrebbero valutato, se possibile, il ricorso ad altri ammortizzatori sociali, come il contratto di solidarietà. L'accordo valeva l'abbattimento del costo del lavoro a 22 milioni e 983 mila euro nel 2012.
Insomma, il quadro non sembra rassicurante, tant'è vero che sia in giunta comunale che in consiglio ci sono state voci autorevoli che ritengono che ci siano tutte le premesse per un commissariamento del Maggio. Intanto, i lavoratori stanno valutando anche la possibilità di intentare un'azione per discriminazione antisindacale, tenendo conto che la scure si è abbattuta proprio su coloro che si erano maggiormente esposti nella rappresentanza dei lavoratori.