Il libro di Deidda: l’umanesimo integrale di Bruno Borghi

Firenze – Bruno Borghi non ha lasciato quasi nulla di scritto soprattutto nulla su di sé se si eccettuano i diari, testimoni dell’esperienza ricca di entusiasmi e delusioni dei viaggi in Nicaragua al tempo della rivoluzione sandinista.

Eppure, nell’esperienza di chi gli è stato vicino, e nel ricordo di tutti coloro che sono stati testimoni della sua azione, Borghi è stato uno dei protagonisti della grande stagione dei cattolici fiorentini, come don Milani, padre Balducci, don Rosadoni, don Mazzi, don Nesi, don Rossi, i laici intorno a Giorgio La Pira. L’elenco potrebbe proseguire a lungo con tanti nomi noti e meno noti, ma non meno importanti. Ciascuno di loro rappresentava un ambiente, un milieu culturale, un’aspirazione: quella fiorentina è stata davvero l’esperienza di un’intera comunità.

Ciascuno ha preso una strada diversa a seconda della personalità e delle convinzioni sui modi di rinnovare il proprio  impegno di fede. Borghi aveva fatto proprio il messaggio evangelico in modo radicale e senza compromessi, in una testimonianza quotidiana vigile e insonne dalla parte dei più deboli: “La sua azione era tutta protesa nel fare con l’esempio, il silenzio e un’estrema coerenza di comportamenti”, scrive Beniamino Deidda nel libro che gli ha dedicato: “Basta un uomo. Bruno Borghi. Una vita senza padroni”, EdizioniPiagge.

Deidda è stato un magistrato in prima linea per il rinnovamento della giustizia, per farla uscire da un conservatorismo e un formalismo non all’altezza di una democrazia matura, superando le storture e le subordinazioni al potere. Autore di scritti giuridici e saggi su don Milani, è stato amico di Borghi per 40 anni. Un episodio li ha visti insieme protagonisti, quando Borghi fu accusato di vilipendio all’ordine giudiziario per alcuni giudizi contenuti in lettere che aveva inviato ai compagni operai della Gover dopo che il pretore aveva annullato il suo licenziamento. Democrazia e Giustizia, un’associazione di cui Deidda faceva parte, si propose di organizzare un dibattito sulla vicenda distribuendo un volantino con allegata una di quelle lettere. Il volantino fu diffuso anche negli uffici giudiziari sollevando le ire dei vertici. Deidda fu prima indagato e poi prosciolto dall’accusa. Borghi fu condannato a quattro mesi con la condizionale.

Il libro rende un omaggio forte e appassionato all’amico, morto nel 2006 a 84 anni. Lo fa con un attento e complesso lavoro di ricerca degli scritti e delle testimonianze orali in modo da completare la conoscenza di una figura di primo piano che ha vissuto il suo essere cristiano, ponendosi come stimolo e  sostegno per tutti coloro che sono esclusi, privati di diritti, oggetto di irrisione e discriminazione. La sua fu una “sequela di Cristo radicalissima nel senso che del Cristo si sforza di prendere lo sguardo di amore (fraterno e non paterno: perché incarnato nella stessa carne dolente) su ogni uomo”, scrive Tomaso Montanari nella prefazione.

Non sarà forse una biografia completa, come l’autore avrebbe voluto: molti aspetti della sua vita privata restano nell’ombra, ma i tanti episodi che lo hanno visto protagonista, sostenuti da un documentazione anche inedita, formano una specie di corpus di fatti e di interventi, di scelte e battaglie, che ci rimandano la sua personalità, la sua spiritualità, le motivazioni dei suoi comportamenti.

Bruno Borghi, giovane partigiano al passaggio della guerra, è stato ordinato sacerdote nel 1946 in una Firenze dalle grandi figure umane e spirituali come il cardinale Elia Dalla Costa e don Giulio Facibeni. La sua scelta di fondo fu di seguire l’esperienza dei preti operai francesi: lavorare in fabbrica insieme agli altri operai, senza tentativi di proselitismo di alcun genere. Fu il primo prete operaio italiano: “Si è immerso completamente nella condizione operaia senza prediche, senza parlar di fede e sacramenti”, scrive Deidda.

Lavorò in diverse fabbriche fiorentine, con un progetto complessivo:  coinvolgere dal basso i soggetti sociali, integrare fabbrica e territorio, animare e sostenere lotte sindacali e lotte per i servizi e le riforme, impegnandosi perché la classe operaia uscisse dalla propria condizione di dipendenza e sfruttamento.

“Te sei un sindacalista non sei un prete perché un prete non fa quello che fai”, gli rimproverò presto l’arcivescovo di Firenze Ermenegildo Florit. Nel percorso irto di ostacoli si trovò in diverse occasioni al fianco di don Milani, e come quest’ultimo fin da subito si scontrò con il Vescovo che lo volle parroco a San Miniato a Quintole, ma non riuscì a portarlo sulla strada tradizionale del clero secolare. Un conflitto irrisolvibile considerato che per lui – come ha scritto Enzo Mazzi – “la scelta dei poveri, fin dal seminario negli anni Quaranta, ebbe il significato politico in senso lato di scelta di classe”.  Gradualmente arrivò alla conclusione che “la gerarchia, l’autorità i poteri costituiti, la legge (quella canonica, quella civile) sono solo ostacoli che si frappongono alla presa di coscienza dei poveri e al cammino di liberazione del popolo riunito nel nome di Cristo”.

Su questa convinzione fondò il resto della sua vita: dalla sospensione a divinis nel 1969, all’abbandono della Chiesa nella “convinzione che la struttura potesse essere abbandonata per non tradire il vangelo che l’istituzione Chiesa con le sue leggi non fosse essenziale per vivere il Vangelo, che essenziale era trovare il Cristo  nei più poveri”. Il Cristo è qui tra noi e trovarlo non c’è bisogno di una chiesa, diceva. La ricerca di un cristianesimo più autentico lo portò all’impegno senza riserve verso tutti coloro che soffrono: lo sfruttato, il povero, il disabile, l’emarginato, il carcerato. La persona umana e la sua dignità erano per lui al centro dei rapporti sociali e dello stesso rapporto di lavoro.

In seguito Borghi lasciò il sacerdozio, dette vita ad una famiglia ed ebbe un figlio. Negli anni 80 si recò più volte in Nicaragua per seguire l’esperienza della rivoluzione sandinista: “Dentro nel profondo sento viva, fresca la speranza, il sogno l’utopia. Il futuro l’hombre nuevo ha qui la sua città, la sua terra”, ha scritto nei Quaderni del Nicaragua.

Sono solo alcuni momenti di un’esistenza che offre una grande varietà di spunti di riflessione. La più importante riguarda un uomo dalla coerenza cristallina che non si è mai allontanato dal nocciolo più profondo della fede cristiana, l’adesione totale e incondizionata  alla causa degli ultimi. Certo Borghi è uomo del suo tempo, legato a una stagione storica caratterizzata dal conflitto ideologico e politico, ma la sua esistenza è un modello con cui fare i conti per chi è alla ricerca di un’umanità integrale, piena e realizzata.

Total
0
Condivisioni
Prec.
Testimonianze: convegno su “Europa e modernità”

Testimonianze: convegno su “Europa e modernità”

Firenze – Europa e modernità’: se il futuro si fa verde è il titolo

Succ.
Coesione in stazione: tentativi amministrativi di risolvere le grane sociali in zona stazione

Coesione in stazione: tentativi amministrativi di risolvere le grane sociali in zona stazione

Con la riapertura di due nuovi spazi in Zona stazione – ‘Ca’ Reggio’ in piazza

You May Also Like
Total
0
Condividi