Non c’è settore che non conosca, nell’agroalimentare, la pesantezza della longa manus delle cosche, tant’è vero che, a margine dell’ultima operazione dei carabinieri della Compagnia di Misilmeri e del Nucleo Investigativo del Reparto operativo di Palermo, il dato che rende noto l’associazione degli agricoltori Coldiretti circa il “giro” d’affari delle agromafie è impressionante, si parla di oltre 24,5 miliardi di euro.
Dai polli ai supermercati, dai campi ai mercati ortofrutticoli, sono le cosche a dettare il prezzo, a determinare il quale concorre anche il settore dei trasporti, da cui vengono estromesse in modo violento le aziende legali e che non cedono, mentre di fatto si sviluppa, in particolare per quanto riguarda l’asse Sicilia-Campania, una sorta di monopolio in cui il trasporto delle derrate agricole viene del tutto sottratto alla concorrenza, con gravi ricadute sul tessuto economico nazionale, sulla vita quotidiana delle persone e, come specifica la Coldiretti in una nota dell’ultima settimana, anche sulla sicurezza e qualità del Made in Italy.
Antesignano e protagonista di questo capillare lavoro di ricostruzione delle realtà attinenti al settore agricolo e dei trasporti, il giudice Cesare Sirignano, che, con un pool affiatato di investigatori della Dia di Roma e Napoli, ha ricostruito il complesso sistema che vede di fatto il predominio della malavita organizzata circa la produzione, distribuzione e trasporto delle derrate agricole, a partire dai mercati siciliani a quelli campani, fino a giungere al Mof di Fondi, vero e proprio snodo dell’intero sistema.
Una situazione che viene da lontano, almeno dai primi anni 2000, come fanno fede indagini e sentenze, in particolare la complessa operazione che vide le indagini iniziate e coordinate dal Pm portare allo scoperto, partendo dal Mercato Ortofrutticolo di Fondi (comune del Basso Lazio sede di uno dei mercati ortofrutticoli più importanti e conosciuti non solo a livello nazionale) il primo accordo fra associazioni mafiose del calibro dei clan casertani dei casalesi, delle mafie catanesi delle famiglie Santapaola-Ercolano e dei clan Mallardo-Licciardi di Giugliano di Napoli. Un’operazione che scoperchiò il vaso di Pandora degli accordi fra i vari sodalizi mafiosi e le “rappresentanze” locali, che, mettendo insieme controllo del territorio, dell’intera filiera agroalimentare e dei trasporti su gomma, hanno permesso ai sodalizi criminali di assumere una potenza straordinaria nella gestione monopolistica del mercato agricolo nazionale, tanto da meritarsi, da parte dell’Eurispes, l’appellativo di “Quinta mafia”.
Il meccanismo potrebbe aggravarsi ulteriormente grazie a inflazione e caro prezzi dovuti alla guerra russo ucraina, che spalancano i cancelli all’ovvio rischio che molte imprese, a corto di liquidità, giungano a concepire il piano disperato di mettersi nelle mani usurarie della criminalità organizzata, finiscano inevitabilmente per “regalare” parti importanti del tessuto economico non solo meridionale alle organizzazioni criminali.
Sulla questione abbiamo raggiunto il giudice Cesare Sirignano.
Come funziona il fenomeno delle agromafie, ovvero: a che punto della filiera comincia a impattare il controllo mafioso e come si costruisce nei vari gradi da produzione, raccolta, trasporto e distribuzione?
“L’intero settore agricolo, per la sua alta redditività, è da tempo completamente sottoposto al controllo delle mafie. Ogni giorno i coltivatori ed i produttori di ortofrutta subiscono il condizionamento delle organizzazioni mafiose, soprattutto nel sud Italia, e sono privati della libertà di decidere il prezzo dei prodotti secondo le regole del mercato. In larga parte del territorio nazionale, infatti, coltivare e produrre beni del settore agricolo si rileva svantaggioso dal punto di vista economico e tale circostanza, insieme con il progressivo aumento del costo dei carburanti e della manodopera, ha determinato l’abbandono dei campi e la crisi di uno dei segmenti produttivi più importanti del nostro paese. L’intervento delle mafie in questo settore, ormai accertato giudiziariamente, avviene attraverso contatti diretti tra i referenti dei diversi sodalizi che controllano militarmente il territorio e i gestori delle aziende agricole e si concretizza nella minaccia di lasciare sui campi ed invenduti i prodotti coltivati e raccolti se non negoziati ai prezzi imposti dalle mafie che si sono così apertamente manifestate. Dunque il primo approccio delle mafie condiziona la produzione e il prezzo del prodotto. Le organizzazioni mafiose, inoltre, gestiscono in regime di monopolio anche il settore dei trasporti su gomma da e per i mercati ortofrutticoli del territorio nazionale e tale ulteriore intervento è in grado di condizionare l’economia agricola del nostro paese”.
Dunque, il “secondo passo” per il controllo completo della filiera è il trasporto?
“Le organizzazioni mafiose, una volta imposto ai coltivatori e produttori il prezzo di acquisto dei prodotti ortofrutticoli, decidono anche con quali modalità, tempi e mezzi deve avvenire il loro trasporto ed allo stesso tempo gestiscono vere e proprie agenzie di trasporto per controllare interamente la filiera, dalla produzione alla distribuzione. Le agenzie di trasporto, infatti, tutte o quasi riconducibili direttamente alle diverse organizzazioni mafiose che nel sud Italia operano e si insinuano nell’economia legale investendo risorse ed avvalendosi di professionalità, assicurano quotidianamente il trasporto dei prodotti da e per i mercati ortofrutticoli nazionali servendosi solo in parte di mezzi propri e delegando, anche in tal caso dietro pagamento di una tangente, a centinaia di padroncini, proprietari di tir o camion, l’esecuzione dei viaggi. Nei processi da me seguiti ( Sud Pontino e GEA) conclusisi con le condanne di diversi capi clan campani e siciliani, tra cui gli Schiavone e Gaetano RIINA, fratello del più noto Totò, sono stati ricostruiti gli efferati e prolungati scontri armati tra le organizzazioni campane per il controllo del settore dei trasporti su gomma da e per la Sicilia e sono stati disvelati gli accordi e le alleanze tra i casalesi e la famiglia RIINA per risolvere i contrasti tra le diverse ditte di trasporto impegnate nel settore”.
Sembra riscontrarsi una modalità che potrebbe essere utilizzata anche in altri settori, ovvero quella di giungere all’accordo fra mafie. In cosa consiste e che impatto ha sull’economia nazionale?
“L’impatto delle organizzazioni criminali sulla economia agricola è davvero allarmante avendo ricadute sia sulla qualità dei prodotti che sui loro prezzi inevitabilmente condizionati dalle modalità di gestione del settore dei trasporti su gomma.
Le indagini in questo particolare ambito hanno consentito di rilevare come i casalesi ed i corleonesi, organizzazioni criminali ciascuna dotate di una propria capacità militare e con un forte radicamento territoriale, abbiano raggiunto accordi per gestire l’intero settore dell’economia nazionale gestendo in proprio o attraverso affilati di fiducia agenzie di trasporto e controllando, i casalesi, i mercati campani e del basso Lazio e i corleonesi, i mercati siciliani ed in particolare di Palermo. In particolare, fin tanto che non venisse raggiunto l’accordo tra le due organizzazioni mafiose, i trasportatori che partivano dai territori campani per scaricare le merci provenienti dai coltivatori della zona nel territorio e nei mercati siciliani non potevano caricare merci per trasportale in Campania e nel basso Lazio così subendo un grave danno economico. I costi dei viaggi, infatti, dimezzati per i trasportatori autorizzati a caricare nei mercati siciliani o nei mercati campani una volta scaricata la merce nei mercati di destinazione e per tale motivo una gran numero di padroncini era costretto ad affidarsi alle agenzie di trasporto di derivazione mafiosa per eseguire i viaggi e a pagare una tangente calcolata sulla base dei bancali trasportati. Il processo Sud Pontino ha accertato con sentenza definitiva l’esistenza di un accordo tra mafia corleonese e casalesi per gestire insieme e ciascuno nel proprio esclusivo interesse uno dei settori più importanti dell’economia nazionale ed ha dimostrato come molto più frequentemente di quanto si pensi, le organizzazioni decidano di spartirsi gli affari piuttosto che farsi la guerra”.
Quanto pesa il controllo dei trasporti?
“Il controllo in regime monopolistico del settore dei trasporti su gomma rappresenta senza dubbio una delle conquiste più importanti delle mafie consentendo di condizionare alcune attività vitali per il paese come la grande distribuzione dei prodotti dell’ortofrutta e dello smaltimento dei rifiuti nonché di dettare le regole del mercato incidendo sui prezzi e sulla quantità e qualità dei prodotti commercializzabili nei mercati e nei grandi supermercati. L’impatto della presenza mafiosa in questi settori è devastante provocando una alterazione delle regole del libero mercato con diretta incidenza sulla vita delle persone e sull’economia nazionale”.
Si dice che la mafia sia cambiata, ora usa il doppiopetto invece delle armi da fuoco. Questa modalità tuttavia sembra avere smussato presso l’opinione pubblica il concetto di pericolosità delle mafie, tant’è vero che si sono verificati episodi di politici e imprenditori che si sono rivolti di propria iniziativa ai clan per ottenere favori. Qual è l’opinione che si è fatto in merito a questo che sembrerebbe un vero e proprio capovolgimento di valori?
“Nel corso degli anni le mafie si sono evolute e si sono via via trasformate dedicandosi sempre più alla gestione di grandi e piccoli affari imprenditoriali ed insinuandosi nelle pubbliche amministrazioni per intercettare le enormi risorse pubbliche destinate al mezzogiorno ma non solo. La progressiva evoluzione delle mafie, ovviamente di quelle che per struttura verticistica e operatività più si avvicinano a quella siciliana, ha determinato come naturale conseguenza una mimetizzazione dei suoi affiliati e soprattutto la necessità di coinvolgere nei programmi criminosi figure professionali in grado di raggiungere gli obiettivi e di operare in silenzio e di avere rapporti con gli enti e con la politica. È stato così che in molte località originariamente immuni da presenze mafiose, imprenditori e figure professionali di tutto rispetto hanno consentito alle organizzazioni di intercettare le risorse pubbliche senza controllare anche militarmente il territorio rendendo la loro indiscussa pericolosità meno visibile per le popolazioni che invece ne subiscono comunque la negativa influenza”.
In un intervento dei mesi scorsi del professor Alberto Vannucci dell’Università di Pisa*, avevamo posto l’accento sull’importanza che ormai rivestono, nel fenomeno corruttivo mafioso pubblico, le figure più spiccatamente amministrative-tecniche delle varie amministrazioni. Lei che ne pensa?
“Il rapporto tra mafie e politica, con il passare del tempo, senza compiere errate generalizzazioni, si è via via spersonalizzato e si è consolidato attraverso l’intermediazione proprio di quelle figure che lontano da sospetti di mafiosità e ben inserite negli apparati e nei salotti buoni anche del nord Italia, hanno finito per garantire anonimato e accordi affaristici senza esporre i referenti mafiosi ed i politici ai rischi di superflui incontri di persona. Stabilire quale sia oggi il rapporto tra le organizzazioni criminali e gli apparati dello Stato è molto difficile così come anche delineare una linea netta di confine tra l’agire dell’imprenditore o del politico colluso e quello dell’imprenditore o politico connivente. Si tratta di un rapporto che si è consolidato nel tempo approfittando della progressiva sempre maggiore disponibilità di parte della società civile di mettersi a disposizione delle mafie e di assumere ruoli decisivi di intermediazione nei più disparati settori dell’ economia legale e di fornire il Know how per insinuarsi nelle aziende e negli affari riducendo i rischi di individuazione della provenienza dei capitali investiti”.
Qual è o potrebbe essere la strategia per individuare, arginare e anche sconfiggere questo dilagare di “simpatia” nei confronti del fenomeno mafioso?
“Di fronte a questo dilagare dei fenomeni mafiosi imprenditoriali occorre adattare la strategia di contrasto dello Stato alla loro complessità, ponendo il coordinamento tra gli uffici giudiziari e la circolazione delle informazioni come base imprescindibile per ricercare i capitali mafiosi. Solo attraverso un salto di qualità nella consultazione e nell’analisi delle informazioni contenute nelle numerose banche dati in possesso dei diversi apparati dello Stato, il fenomeno mafioso potrà essere costantemente radiografato nella sua evoluzione sia territoriale che strutturale anche perché in periodi di crisi non è forse ancora chiaro a tutti che la mafia opprime lo sviluppo, crea dipendenza, offre occasioni di lavoro prevalentemente nei traffici illegali e penalizza i territori in cui più urgente e necessaria sarebbe l’intervento dello Stato con risorse adeguate agli obiettivi di risanamento urbanistico, ambientale ed edilizio oltre che culturale. L’argomento della presenza mafiosa nei territori del sud Italia, infatti, costituisce ormai un leitmotiv utilizzato con finalità ostative tutte le volte che solo si ipotizza di destinare somme di denaro ai territori del Sud Italia. La miope ricostruzione della mafia che spara e che estorce denaro agli operatori commerciali e la sottovalutazione del fenomeno mafioso imprenditoriale, continua ad orientare la destinazione delle risorse privando di una reale e concreata alternativa le popolazioni dei territori più bisognosi di aiuto attivando un corto circuito che favorisce la penetrazione delle mafie nel tessuto sociale”.
Foto: il giudice Cesare Sirignano a un’iniziativa della Fondazione Caponnetto a Firenze
* https://www.stamptoscana.it/corruzione-alberto-vannucci-pressione-corruttiva-politica-in-subordine/F