Il giudice reintegra i due sindacalisti e accoglie anche il ricorso USB

Firenze – Capita raramente, in due giorni, collezionare due provvedimenti di condanna. E’ toccato all’azienda di Scandicci, produttrice di strumenti oftalmici, che aveva licenziato “per giusta causa” due lavoratori sindacalisti dell’USB, accusati di aver operato una divulgazione “falsa e tendenziosa” dello stato dell’azienda e aver chiamato allo sciopero i lavoratori (che avevano deciso lo sciopero in assemblea) per far rispettare gli accordi sul premio di risultato. Il giudice fiorentino ieri aveva reintegrato i lavoratori, dichiarando il licenziamento “ritorsivo”, oggi il tribunale ha accolto anche anche il ricorso di USB ai sensi dell’art.28 , sempre sui medesimi fatti, ritenendo il licenziamento lesivo di un autonomo diritto di USB.

Il tutto era partito dal volantino, diffuso dai due lavoratori, in cui, elencando i motivi, avevano chiamato allo sciopero deciso dall’assemblea dei lavoratori e indetto con la FIOM. Il problema che aveva fatto scattare il licenziamento per giusta causa aveva però tenuto in considerazione il fatto che l’azienda, “Prescindendo dal garantito diritto allo sciopero e dall’uso di una corretta dialettica sindacale”,  aveva ritenuto “oltraggiosa la divulgazione falsa e tendenziosa del contenuto dello stato di agitazione in corso nell’azienda”. Insomma, di fatto l’azienda rivendicava il fatto che non si trattasse di attività sindacale ma di diffusione di notizie non rispondenti al vero da parte dei due sindacalisti, tali da danneggiare l’immagine dell’azienda stessa. Il ricorso dei lavoratori è stato avanzato dagli avvocati  Danilo Conte e Letizia Martini. Un caso che è diventato un momento di riflessione importante, sia a livello giuridico che sociale e sindacale.

In punta di diritto, il nodo di fondo risulta la legittimità della condotta sindacale, qualora fosse contestata per aver travalicato i limiti della normativa, come in questo caso, in cui la proprietà lamentava di essere aggredita con affermazioni non rispondenti al vero. In particolare sotto l’occhio del giudice,  il contenuto del volantino diffuso nel novembre del 2021, che indiceva, secondo la volontà espressa dai lavoratori stessi in assemblea, la proclamazione dello stato di agitazione e lo sciopero. Ed ecco il testo del volantino: “L’assemblea dei lavoratori della CSO ha dato mandato a USB e FIOM di proclamare lo stato di agitazione e un pacchetto di 40 ore di sciopero a disposizione della RSU a decorrere dal 5 novembre 2021 a fronte delle mancate risposte da parte dell’azienda. Richiedendo l’immediata apertura del confronto sulla redistribuzione dei risultati economici della CSO srl di questi anni, oltre all’attuazione delle norme sugli inquadramenti dal 1 giugno 2021 come previsto dal CCNL. Richiede infine il riconoscimento del premio di risultato così come previsto dal contratto integrativo sottoscritto fra l’azienda e la RSU USB, che doveva essere erogato entro sei mesi dalla  sottoscrizione del contratto. Lo stato di agitazione e gli scioperi continueranno finché l’azienda non aprirà un tavolo di confronto per dare corso alle legittime richieste”.

Su questo, premesso che “secondo un consolidato e condivisibile orientamento della giurisprudenza di legittimità, il lavoratore che sia anche rappresentante sindacale se, quale lavoratore, è soggetto allo stesso vincolo di subordinazione degli altri dipendenti, in relazione all’attività di sindacalista si pone su un piano paritetico con il datore di lavoro, con esclusione di qualsiasi vincolo di subordinazione”, il giudice osserva che il detto volantino “non risulti esorbitare dal diritto di critica legittimante esercitabile dai dipendenti, entrambi delegati sindacali e membri della RSU, nei limiti della continenza e della veridicità (soggettiva e non assoluta) dei fatti menzionati (attinenti a rivendicazioni salariali e contrattuali, nell’ambito della fisiologica contrapposizione tra gli interessi datoriali e quelli dei lavoratori), considerato che detto documento si colloca nell’ambito dell’azione sindacale, in una fase di accesa conflittualità tra il datore di lavoro e le organizzazioni sindacali, avendo l’assemblea dei lavoratori deliberato lo stato di agitazione e la FIOM proclamato lo sciopero, al qualeaveva
successivamente aderito anche USB”.

In sintesi finale, “si ritiene che il volantino di cui al doc. n. 5 del fascicolo di parte ricorrente, redatto e diffuso dai ricorrenti quali delegati sindacali e membri dell’RSU, non abbia valenza offensiva e denigratoria dell’azienda (sia dal punto di vista formale, che sostanziale-soggettivo), dovendosi
considerare legittimo esercizio del diritto di critica nell’ambito dell’esercizio di attività sindacale”. Inoltre, la sua diffusione, dalla pubblicazione sul sito internet di USB ai social media ai sistemi di messaggistica, dev’essere considerata, dice il giudice” finalizzata ad informare i lavoratori in ordine allo stato di agitazione ed allo sciopero, anche ai fini della loro adesione”.

A questo punto, i licenziamenti “per giusta causa” comminati dall’azienda assumono un profilo diverso. Richiamando le norme in tema e in particolare il “divieto di licenziamento discriminatorio (….) suscettibile di interpretazione estensiva (….), sicché l’area dei singoli motivi vietati comprende anche il licenziamento per ritorsione o per rappresaglia, ossia dell’ingiusta e arbitraria reazione ad un comportamento legittimo del lavoratore quale unica ragione del provvedimento espulsivo, essendo necessario, in tali casi, dimostrare, anche per presunzioni, che il recesso sia stato motivato esclusivamente dall’intento ritorsivo”,  la sentenza configura, nella fattispecie in esame, “una ipotesi di licenziamento nullo per ritorsione o per rappresaglia, a fronte del legittimo esercizio, da parte dei ricorrenti, di attività sindacale”, e condanna la “società datrice di lavoro alla reintegrazione dei lavoratori nel posto di lavoro ed al risarcimento del danno, ovvero al pagamento, a favore di ciascun lavoratore, di una indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello della effettiva reintegra, in misura in ogni caso non inferiore a 5 mensilità della retribuzione globale di fatto, oltre al versamento, per il medesimo periodo, dei contributi previdenziali e assistenziali”.

Se questo è il provvedimento di ieri, oggi la linea del Tribunale fiorentino non cambia. A ricorrere contro l’azienda è stata, con ricorso ex art. 28 l. 300 del 1970,  l’USB Lavoro Privato Provinciale di Firenze. La richiesta del sindacato, “dichiarare l’antisindacalità della condotta dell’azienda, ordinare alla stessa l’immediata cessazione della condotta antisindacale; ordinare alla società convenuta di rimuovere tutti gli effetti della condotta ritenuta illeggittima; ordinare alla convenuta di provvedere a proprie spese alla pubblicazione dell’emanando provvedimento su due quotidiani locali a scelta tra Repubblica (pagina di Firenze) e/o Corriere Fiorentino e/o la Nazione e su il Sole 24ore o altro quotidiano di informazione nazionale”.

La decisione del Tribunale, Sezione Lavoro, accerta e dichiara “il carattere antisindacale del comportamento posto in essere” dalla parte resistente”, ovvero l’azienda, “consistito nell’irrogazione della sanzione disciplinare del licenziamento ai lavoratori” in quesione ordina all’azienda “la cessazione della suddetta condotta antisindacale e la rimozione dei relativi effetti, revocando i provvedimenti disciplinari e condannando la stessa a reintegrare in servizio i suddetti lavoratori licenziati”, oltre a “corrispondere ai medesimi la retribuzione globale di fatto maturata da ciascuno dalla data di recesso (30.11.2021) a quella di effettiva reintegra”. Inoltre, ordina all’azienda “di provvedere a proprie spese alla pubblicazione del presente provvedimento su due quotidiani locali a scelta tra Repubblica (pagina di Firenze), Corriere Fiorentino e La Nazione”; infine condanna la stessa “al pagamento delle spese di lite, liquidate in € 3.513,00 per compensi, oltre rimborso forfetario spese generali 15%, oltre Iva e Cpa come per legge se dovuti”.

“Una doppia condanna che rimette a fuoco i principi su cui si fonda l’ordinamento lavoristico – è il commento dell’avvocato Danilo Conte – i due provvedimenti del Tribunale di Firenze chiariscono che non spetta al datore di lavoro sindacare su quali battaglie i lavoratori possono intraprendere e quali non possono intraprendere per tutelare i propri diritti. I protagonisti di un rapporto di lavoro sono portatori di interessi che possono entrare tra loro in conflitto e che sono potenzialmente contrastanti. Il datore di lavoro non può decidere quali battaglie e quali rivendicazioni sono “giuste” o “vere” e quali sono lesive dell’immagine aziendale. Sono i lavoratori e i sindacati che li rappresentano a selezionare le proprie rivendicazioni ed essi possono, in piena libertà e nel rispetto dei limiti di continenza posti dall’ordinamento, esercitare il diritto di dissenso, il diritto di critica ed utilizzare gli strumenti di lotta previsti dalla legge e dalla costituzione, quali il diritto di sciopero o di propaganda. Si tratterebbe di principi che dovremmo dare per acquisiti da tempo se non fossero stati messi in discussione proprio da questa vicenda. Ora il tribunale li ha ribaditi”.

Infine, giunge il commento di Stefano Cecchi, Usb Firenze: “Le buone notizie non guastano mai, dopo la reintegra di ieri dei delegati USB Paolo e Andrea, oggi la CSO di Scandicci è stata nuovamente condannata del Tribunale di Firenze per comportamento antisindacale, e obbligata a pubblicare a proprie spese la sentenza su due quotidiani locali. Quindi “doppietta”. Di nuovo un ringraziamento a tutti coloro che hanno appoggiato e solidarizzato con Andrea e Paolo e un grazie di cuore ai nostri meravigliosi avvocati Conte, Martini e Ranfagni. Ma oggi permettetemelo, anche un sonoro sberleffo a quei sindacati che in questi mesi non hanno proferito parola contro la grave discriminazione ed il licenziamento di Paolo e Andrea”.

Ricordiamo che l’azienda ha un mese di tempo per ricorrere in appello.

 

 

 

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