Il giro del mondo in 80 modi

E’ molto difficile riuscire a giudicare una cosa fino a quando si è immersi completamente in un contesto che non ti consente di valutarla con occhi diversi dal solito. L’Uomo, si sa – ma anche la Donna, non scherziamo – ha una straordinaria capacità di adattamento all’ambiente, ai suoi pericoli, alle sue difficoltà, alle sue peculiari caratteristiche: è un meccanismo che ci ha consentito di sopravvivere nelle condizioni più ostili. Lo stesso meccanismo, però, porta con sé anche il proprio effetto negativo: ci si abitua a tutto, tutto si appiattisce, man mano che il tempo passa, dinnanzi ai nostri occhi, sempre più annoiati, sempre più finestre di uno sguardo disincantato.

Tragicamente ironico: la stessa capacità che ci permette di sopravvivere all’ambiente cambiando in esso alla fine ci impedisce di leggerlo con chiarezza, esponendoci al rischio di non saper più cambiare. Ci accorgiamo dei mutamenti solo quando, per caso o per scelta, siamo sottoposti a qualche drastico cambio di scenario. Ad esempio, quando decidiamo di fare un viaggio. Già la prospettiva di un diverso scenario ci apre alla possibilità, alla bellezza dell’incerto, all’alieno e forse ostile; l’adrenalina scorre, il cuore pompa più forte, siamo vivi.

Poi, finisce il documentario, riponiamo il catalogo dei viaggi e tutto torna come prima. Oppure, lo facciamo davvero, quel viaggio; e non è tanto il contatto con l’Altrove che ci fa cambiare visuale, quanto, paradossalmente, il confronto che si attua – inevitabilmente – nel ritorno a casa propria. Altre culture, altro cibo, altro clima, altra moda, altro modo di attraversare le strisce pedonali; non è necessario fare la traversata dell’Oceano Indiano, a volte è sufficiente fare un giro a Milano, o a Venezia, o in un paesetto dell’appennino in cui ancora oggi non si chiude a chiave la porta di casa. Per questo, risultano particolarmente disgraziati coloro che, dopo aver decantato le meraviglie che si dischiudono di fronte al viaggiatore, optano per una bella vacanza preconfezionata in un villaggio organizzato di tutto punto: dopo tanta retorica, finiscono col rifugiarsi in una comoda, sicura versione vacanziera di quello che hanno appena lasciato a casa propria.

Stessa gente, stessi discorsi, stessi vestiti; non cambiano neppure i nomi dei cocktail, giusto l’animazione che accompagna gli immancabili aperitivi. A costoro sarebbe bastato addirittura un libro, la famosa letteratura d’evasione, per divertirsi nel senso etimologico del termine; e invece, finiscono col pagare una cifra considerevole per la sicurezza di una esperienza che definire tale è già esagerato. I tempi attuali recano però anche una ulteriore possibilità: se non sei in grado di raggiungere il cambiamento, è possibile che questo, tu lo abbia o no messo in conto, giunga invece fino a te. Passeggiare per le strade reggiane flagellate dal sole estivo può essere educativo, sotto molti aspetti: la crisi economica, le dinamiche migratorie, il meltin’ pot da esse derivanti, l’imperfetto ricambio generazionale creano un miscuglio di situazioni che a un occhio attento possono risultare sorprendenti.

Per molti versi, è il ritorno della gente: il povero, il migrante, il turista straniero non vestono griffati fin nelle banalissime scarpe da ginnastica apparentemente umili che l’italiano indossa; le vecchie col fazzolettone per ripararsi dal sole somigliano più alle nostre nonne di quanto non facciano le signore bene botulinate al traino di cagnetti dopati, una grottesca versione in miniatura in Via Emilia dell’Iditarod Trail; le impossibili tonalità di pelle che vediamo non sono frutto di stazionamenti da forzati dell’estetica sotto implacabili lampade abbronzanti, sono codici genetici che noi immaginavamo solo nei film di Tarzan, o dai romanzi di Pearl S. Buck, o di Clavell, o di Salgari. Non è normale possedere tutti quanti gli stessi Suv, le stesse false utilitarie Cinquecento, Mini, Smart; le persone normali possono avere anche vecchie Clio, Punto, biciclette, motorini. La gente normale può leggere non solo Littizzetto, Dan Brown, Bruno Vespa, Yoshimoto, Murakami, Danielle Steel, Martin e i tanti altri proposti a rullo dalle case editrici e che interessano loro soltanto: c’è ancora chi legge Soldati, Svevo, Hassel, Dickens, Prévert, Dumas e tanti altri.

Non è sano parlare tutti degli stessi film e telefilm visti, delle stesse ambizioni lavorative, delle stesse malattie, degli stessi conoscenti, gusti di gelato, dischi ascoltati; non impari nulla, non scopri nulla, alla fine sei in trappola. Ma lo capisci solo quando le cose le vedi in contrasto, quando se tu non vai alla crisi, la crisi viene a te. Altrimenti finisce che, senza mai una nuvola, dopo un po’ ti studi pure del cielo azzurro.

 

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