Il futuro? E’ già passato

0aq596ygI più vecchi tra i lettori ricorderanno come la fantascienza del passato immaginasse il mondo che sarebbe arrivato – ossia, quello che oggi stiamo vivendo – come una specie di esperimento di laboratorio di biologia. Da Heinlein a Van Vogt, da Clarke a Lem passando per i rispettivi film era tutto un rigoroso biancore disinfettato, con donnine e ometti, tutti snellissimi, insalsicciati in tessuti scivolosi e aderenti, tipo pattinatori olimpici sulla velocità; grandi aeronavi scintillanti e silenziose nel cielo, strade semideserte con marciapiedi scorrevoli, musichette piacevoli nei negozi. Praticamente, uno scenario da dopobomba felice: poca gente, allegra e tranquilla, e tutto finalmente pulito. Poi arrivò, verso la fine degli anni ’60, la bordata imparabile della fantascienza critica, o sociologica, che immaginava, al contrario, un mondo disperatamente scarso di risorse e gruppi di umani ridotti alla sussistenza che lottavano per il controllo di esse; gente che mangia morti liofilizzati, cannibalismo tout court, scimmie che prendono il sopravvento (per replicare errori e comportamenti umani, solo su scala più medioevale), e via di questo passo. Infine, ci fu, alla fine degli anni ’90, la deriva cyberpunk: l’immaginario ora verteva su di un mondo abbruttito, sporco e violento, in cui allo smarrimento della propria identità sociale facesse eco lo smarrimento fisico dell’individuo, infine cablato, automatizzato, interfacciato con le macchine e parzialmente trasformato in una di esse.
Sempre, sempre l’asticella veniva posta in un futuro ucronico che sembrava sufficientemente lontano, ma non così tanto da non preoccuparsi: 1984; 1997; 2000 e 2001; 2020; sempre abbiamo superato apparentemente indenni gli anni immaginati dai visionari senza cancellarci tutti in una silenziosa apocalisse zombie o gorillesca e senza vedere tutte queste gran macchine volanti nel cielo, se si eccettuano quelle che ci propinano le scie chimiche, beninteso. Cosa è successo? E’ successo che l’immaginazione degli scrittori non è stata all’altezza della realtà, ovviamente. A volte la fantasia può stuzzicare, stimolare la domanda (sarebbe possibile viaggiare nel tempo, teletrasportarsi, creare un mantello invisibile, evitare di dormire, clonare le persone, disintegrare la materia?), ma non è detto che poi si riesca a concretizzare. In realtà, il futuro, come diceva William Gibson, è già qui: solo che è mal distribuito. Anzi, aggiungiamo noi: è anche mal compreso e parzialmente invisibile. Perché se tanti avevano immaginato, ad esempio, un sistema di interconnessione continua e globale (una Matrix onnipresente, per citare un esempio), nessuno aveva mai immaginato, puta caso, l’impatto che una invenzione invisibile come il telefono cellulare avrebbe avuto sulle nostre vite. Invisibile perché onnipresente, quotidiano, ubiquo; oggi facciamo fatica anche solo a ricordare un mondo in cui esistevano agenti di commercio, medici, avvocati, politici, esperti dei media che per essere contattati potevano essere chiamati solo a casa o in ufficio, e solo in orari ben determinati.
Non è stato un governo tirannico a imporci la più grande distruzione della privacy mai realizzata nella storia: siamo stati noi stessi, portandoci appresso in ogni momento la capacità – anzi, la volontà di connetterci in continuazione, ovunque, sempre. Questo, unito all’esplosione dei social network, ha determinato una evoluzione comportamentale senza pari: in ogni momento, e potenzialmente per sempre, chi è interessato può sapere tutto degli altri. E se non lo sa, può desumerlo attraverso lo studio di comportamenti passati, di frasi lasciate lì, di fotografie incautamente lasciate alla mercé del pubblico. Una voglia di esserci che non ha mai avuto l’uguale e che fa impallidire la nota profezia di Warhol: quindici minuti di celebrità? Macché; la costante auto immolazione di se stessi su di un palcoscenico privatissimo, nella speranza di far sì che qualcuno si accorga della nostra presenza e la segnali con un like, con un saluto, con una critica, uno sberleffo, qualcosa insomma.
“Gi straordinari progressi nel campo delle comunicazioni elettroniche accrescono i rischi per la privacy individuale”. E’ una frase che sembra scritta 5 minuti fa, giusto? Ebbene; a pronunciarla è stato Earl Warren, presidente della Corte Suprema degli Stati Uniti, nel 1963. E’ un paradosso affascinante: ciascuno pensa che la propria realtà sia la più pericolosa e alienante possibile, salvo poi riuscire ad immaginare scenari anche peggiori; e quando poi ci arriviamo, non solo si scopre che non eravamo riusciti ad immaginare la vera portata delle trasformazioni in atto, ma anche che queste, arrivate ben oltre l’immaginabile, in realtà hanno determinato cambiamenti coi quali ci sembra di poter tranquillamente convivere, posto addirittura che riusciamo ad accorgerci di essi. Altro esempio: il controllo diffuso e malato della società immaginata da Orwell nel romanzo distopico “1984”. Ebbene: oggi siamo molto oltre il grado di controllo esercitato dal Grande Fratello, sia per l’incredibile diffusione e pervasività dei mezzi utilizzati, sia perché essi sono in grado di modificare i nostri comportamenti e atteggiamenti in una maniera così sottile e totale che alla fine non ce ne accorgiamo neppure più. Eppure, a parte qualcuno che vuole fare la figura del pazzo lunatico, chi più si preoccupa del fatto che ci siano entità in grado di determinare la vita di ogni singolo?
Praticamente nessuno. La Neolingua è arrivata dappertutto, e non ce ne siamo neppure accorti. Domani – il processo è già in cammino, oggi – arriveremo a non comprendere neppure più molto problemi che oggi viviamo nella maniera in cui li concepiamo. Il lavoro ai giovani, il gender, le app, la violazione della privacy, l’immigrazione, la digitalizzazione, l’esclusione sociale, le discriminazioni sessuali, l’analfabetismo funzionale, il veganesimo – sono tutti concetti che sono nati, o trasformati, da poco, e domani, forse dopodomani al massimo, non saranno percepiti nella stessa maniera perché le abitudini, la tecnologia, lo stesso modo di pensare si sarà riorientato in modo da rendere obsoleti gli schemi di pensiero che oggi ci mostrano la trama che riusciamo a leggere. Il futuro ha questo in sé: che a un certo punto diventa così consueto da apparire banale, da non attirare più la nostra attenzione e non suscitare più la nostra capacità di meravigliarci.
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