Una introduzione, un trailer, una chiacchierata. Per certi versi, magica. Arriva Paolo Cognetti al Teatro della Compagnia di Firenze, insieme a Vasco Brondi, ed è subito magia. Non per quel che dicono, anche se le parole raccontano, anche se portano ironia e aneddoti, su di loro e sul film di cui si presenta la prima nazionale, Fiore Mio. Non per la musica di Brondi, che pure è lì che aleggia, mentre si snoda l’incontro, e fa da voce commentante la serata. C’è qualcosa, in Cognetti e Brondi, che attira l’attenzione e fa stare col fiato sospeso per aspettare ciò che diranno. Forse, è il fatto che portano con sé, per essersene impregnati, qualcosa della pace senza fine, della rassegnazione secolare, della rinascita inguaribile che provoca la montagna, quella vera, quella che morde di soitudine e ti costringe a pensarti. E a pensare.
Certo, questo è l’impatto in prima battuta. Voler sentire, ascoltare, il narrato dell’autore di Otto Montagne e di tanto altro, e ora di questo film che torna sulle altezze e ci fa domande. Domande che neppure l’autore, a dire la verità, si sogna di fare. Ma cui risponde con una serie di brevi riflessioni consegnate con nonchalance tipica di chi dice cose … ovvie? Ma no, “naturali”.
Una? “Quando qualcosa scompare, qualcos’altro arriva”. Colpisce il segno, perché può tradursi anche come l’accettazione del cambiamento. Anche perché, il cambiamento, che tu lo voglia o no, arriva. E quindi, meglio predisporsi a riconoscerlo ed essere pronti a entrarci dentro.
La seconda, che secondo noi diventerà famosa, è: “Non chiediamoci cosa possiamo fare per salvare le montagne, ma cosa possono fare loro per salvare noi”. Ribalta il concetto antropocentrico che tutto si misura a tempo d’uomo. E a suo intendimento. E la chiusa è ancora più esplicita: “Pensare che il mondo stia per finire è ritenere che l’umanità sia il mondo. Il mondo continuerò lo stesso dopo l’umanità, come ha sempre fatto”. E aggiunge, Cognetti: “E in ciò trovo una grande sicurezza”.
Bene, cosa c’entra tutto questo col film? Non solo c’entra, ma è fondante. Il film parla di montagna, d’amicizia, di gente di montagna. Non è un manifesto, tantomeno un de profundis per un mondo che sta svanendo. Ma cos’è davvero, solo lo spettatore lo può decidere, con la sua mente e i suoi occhi.
E per fortuna, in questa esperienza di percorso che è Fiore Mio, abbiamo uno strumento che non si rivolge a niente altro che alle profondità dell’essere umano senza barriere e infrastrutture, ed è la musica di Brondi. Non una canzone (anche se è facile prevedere che “Ascoltare gli alberi” divenga un vero e proprio pezzo di benessere per tutti) ma un’intera colonna sonora, o meglio, il commento musicale di un film che parla col silenzio e di silenzio. Una bella sfida, ammette lo tesso Brondi, affrontata con la conoscenza. “E’ sette-otto anni che vado in montagna con Paolo – dice – mi sono sempre rifiutato di comporre musica da film, ma in questo caso ho pensato che quest’opera fosse proprio quella adatta per la mia musica”.
Una musica che raccoglie il silenzio e lo innerva, pur conservando il vago sentore di una malinconia da zingaro del mondo, girovago per necessità dell’animo. Dal ferrarese Brondi, uomo di paludi e pianure, non poteva che sgorgare questa capacità di raccogliere e intrecciare i fili del silenzio che si fanno voci di rapaci o semplicemente vento. Sull’onda della musica, finisce l’incontro. Cognetti è già scivolato via.