"Percorso, metodologia, protocollo", ma soprattutto "enigma". Tante caute parole sono risuonate oggi in Consiglio regionale alla presentazione alla stampa dell’esposizione di quello che sta diventando un contestatissimo caso di attribuzione: se il dipinto “Fienile protestante” riapparso improvvisamente (e misteriosamente) all'attenzione del mondo è stato dipinto nel 1890 da Vincent Van Gogh, il maestro più amato e il più ricercato dai collezionisti privati e dai conservatori pubblici.
Una presentazione che è stata soprattutto la chiamata alle armi di tutte le più recenti e raffinate tecnologie per accertarne la mano del folle genio: dai pollini e dalle strane tracce di sangue e di peli rimasti intrappolati nella pasta dei colori a olio che potrebbero essere rivelatrici del Dna dell’autore, fino alla possibile firma e alla composizione chimica dei colori. Una specie di “Sindone” laica, anche se qui sono in gioco interessi ben più materiali del presunto lenzuolo della Passione. Qui ballano 30 milioni di euro (le stime per Van Gogh, ricordiamoci che i suoi Girasoli sono stati il quadro più pagato del mondo), balla uno dei marchi più gelosamente custoditi dagli olandesi, balla la credibilità degli esperti nel loro compito di orientare il mercato dell’arte.
Per motivare la scelta di presentare pubblicamente l'opera, stamani il consigliere segretario questore dell’Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale Gianluca Lazzeri ha mobilitato i valori della ricerca e della conoscenza. Anche se c’è una condanna senza se e senza ma, che arriva quasi all’anatema, da parte della comunità dei critici (oltre che delle più prudenti istituzioni olandesi), il Consiglio ha deciso di presentare il quadro di X – Van Gogh, perché è un buon campo di prova per l’attuazione del Protocollo d’Intesa internazionale per la valutazione e certificazione della qualità e dell’autenticità delle opere d’Arte e perché può essere una preziosa cavia data in pasto alle nuove tecnologie utili per arrivare a una ragionevole attribuzione. Non è forse la Toscana terra d’eccellenza per tutto quanto riguarda lo studio e il restauro delle opere d’arte? Dunque, cari signori, perché tanto livore? “Anche se riuscissimo solo a stabilire che il quadro fu dipinto in quella località dove Vincent visse gli ultimi giorni della sua tormentata vita, a Auvers sur Oise in Belgio e alla fine dell’800, avremmo già ottenuto un buon risultato: mostrare la qualità e la competenza dei laboratori toscani”.
Un po’ di abile understatement di fronte alle durissime reazioni che ha provocato l’annuncio dell’esposizione. Del resto come dare torto a Lazzeri? E’ vero che il recentissimo curriculum del quadro non è dei più promettenti, dati i neanche troppo celati sospetti di truffa lanciati attraverso i media nei confronti dello scopritore del quadro e curatore della mostra Massimo Mascii e l’opposizione di chi ha passato esistenze a studiare l’opera e la vita di Van Gogh. Ma chi può negare che basta anche un minimo ragionevole dubbio per dare fondamento alla tesi del consigliere: perché rifiutarsi di dire una parola definitiva sull'autenticità del quadro?
Ai più vecchi di noi viene in mente, negli anni 80 del Novecento, il caso dell’Uomo dall’Elmo d’oro di Rembrandt. Una commissione di esperti, il Rembrandt Research Project, decise di toglierlo dal catalogo del maestro per attribuirlo alla sua “cerchia”. Questo ovviamente niente toglieva alla qualità e alla bellezza davvero straordinaria del dipinto che veniva addirittura usato come opera – simbolo in molte monografie sul pittore olandese. C’era però un non trascurabile svantaggio: il valore dell’opera era passato di colpo da 500 milioni di lire, a poche decine. E’ di questo, in fondo, che si parla anche oggi, guardando il Fienile Protestante di X – Van Gogh.