Il fan club del Nulla

Il Rontani Furioso contro l’adorazione compulsiva

Bob Rontani

L’ottimo articolo di Anna Vittoria Zuliani su De Andrè (“De Andrè, la leggenda del santo cazzaro”) mi dà il la per una serie di piccole considerazioni sul rapporto artista/fan e sulle derive che spesso comporta. Qualche anno fa ascoltai per radio un’intervista, se non ricordo male, a Lella Costa nella quale l’attrice raccontava un aneddoto molto simpatico e significativo riguardo la sua adorazione per Peter Fonda. Cresciuta, come tante della sua generazione, nel mito di “Easy Rider”, Lella aveva sentito montare dentro di sé un’ammaliante adorazione per il protagonista del film americano. Un amore di celluloide che la accompagnò per tutta l’adolescenza fino a quando, a maturità ormai sopraggiunta, ebbe occasione di incontrarlo e conoscerlo. Linus chiese a Lella: “Allora? come fu l’incontro?” e lei: “Un coglione totale!”.

Ecco, battuta a parte, il significato spesso nascosto nell’adorazione compulsiva verso un artista. Dato per buono e scontato il messaggio artistico dell’idolo di turno, il vero rischio è che non ci fermiamo e ci spingiamo ben oltre, sovraccaricando di significati il personaggio in questione. Immaginiamo, anzi pretendiamo, che un progetto creativo in un ambito ben definito, faccia da naturale corollario ad un’infinita serie di qualità che diamo per scontate. Così, senza accorgercene, sovrastrutturiamo l’individuo. Egli diventa un faro, un punto costante di riferimento: sia sul soggetto stesso (istantanee di vita documentate e quando mancano, immaginate), sia del soggetto passivo, il fan, che ne assorbe i comportamenti fino all’emulazione vera e propria. Una cosa grave, preoccupante?

Personalmente, trovo innanzitutto irritanti le conseguenze più sull’artista che sul fan. Quattro accordi suonati ad uso e consumo del popoletto bue, portano l’ego dell’artista a dimensione inimmaginabili e assolutamente sproporzionate. Egli diventa un “maitre a penser”, e come tale, assume ruoli che non gli competono. Si parte dalla musica, dalla tela, dalla pellicola, dal palcoscenico, per arrivare a posizioni di “comando mediatico” davvero imbarazzanti. Ovviamente, un ego così sollecitato raramente rifiuta: l’artista si crede un eletto e cominciano i guai.

Il progetto creativo di base viene reiterato a più non posso; scompaiono le fasi di ricerca, la vena creativa soddisfa più gli utenti che l’artista stesso. Fine della creatività, ma inizio della ultra popolarità. Cantanti che diventano poeti, registi, scrittori, sceneggiatori, attori, sociologi, presentatori, conduttori radiofonici, giudici, comparse di spot. Fenomeni. Altro che Leonardo Da Vinci.

Leggete un’intervista a questi: pontificano di tutto e di tutti, ti dicono anche come vivere. “Non bisogna farsi le canne”. “State attenti a cosa mangiate”. “La globalizzazione è bellissima”. “La cosa più importante della vita è l’amore”. “Io amo fare beneficienza (…spese a parte, please!).” E l’arte? Per adesso mettiamola da parte. In compenso, si occupano spazi ad altri: soprattutto ai giovani.

Quel che resta dell’industria discografica, per esempio, già restìa (in Italia) nei tempi d’oro verso “le nuove proposte”, punta ora solo ed esclusivamente a contratti di sicuro tornaconto. Potranno invertire la tendenza i nuovi media (Social networks o Youtube)? Sicuramente all’estero, non qua, terra di pochi artisti super idolatrati e di migliaia di band che non trovano nemmeno luoghi dove suonare. Anche la recente querelle tra Iacchetti e Morandi sulla composizione dei giovani in gara in quel raccapricciante spettacolo che è Sanremo, ne è la prova. Infine, la tristezza del fan tout court, dà il colpo finale. Scomparsa ogni capacità critica, con un cervello appiattito e monocorde, il risultato è che il fan mette del suo caricando l’idolo di autoaspettative assolutamente mal riposte. E al sottoscritto, in una ridicola manfrina di scontri tra stars (?), tocca persino leggere che un artista è meglio di un altro perchè non si è mai nemmeno fatto una canna e perchè quando può fa tanto esercizio fisico.

Ma la mia speranza, però, è di leggere in futuro, uno come Zucchero che, tra uno sputo in bocca ed un meraviglioso quartetto di fiati, riveli: “Fosse per me, mangerei pancetta tutti i giorni!”. Questa, ahimè, si chiama voglia di “politicamente scorretto”.

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