Il diritto di fare la guerra

Il diritto di fare la guerraSono in febbrile attesa di sapere quale sarà il nome (ovviamente inglese) prescelto per l’operazione di aggressione alla Siria. Ne ho il tempo: oramai anche le guerre vengono preannunciate con settimane di anticipo così da riservarsi il giusto spazio sull’edizione serale di Fox News.

Mentre mi gingillo con questi puerili ninnoli militaristi, figli di una mentalità e di un secolo che non c’è più, avverto un turbamento, un senso di disagio: sono cristiano (rectius cattolico romano) ed insofferente per natura e formazione all’omologazione culturale anglofona, specie a stelle e strisce. Quale brutto settembre mi aspetta.

Il mio Pontefice, giustamente preoccupato per le sempre più allarmanti voci che giungono dal Medio Oriente, pare ecumenicamente dimentico che dopo ogni guerra democratica fatta dal mondo occidentale nel corso degli ultimi decenni i cristiani hanno sempre celebrato l’instaurata democrazia, le redente coscienze civiche con il loro sangue, con il loro martirio.

È stato così in Iraq, Libia ed Egitto, sarà così in Siria: da paesi tolleranti e rispettosi del culto cattolico a giungle senza ordine, ma con una bella costituzione democratica; che fortuna. Il brutto vizio degli esportatori di democrazia, dei teorici della rivoluzione in movimento é sempre stato quello di ritenersi più liberi, più fratelli, più eguali degli altri che, bontà loro, a tal punto ottenebrati dall’ignoranza e dalla superstizione portate dal trono e dall’altare (ieri) o dall’islam (oggi) non riuscivano (e meno male fanno ancora fatica) ad apprezzare la bellezza del nuovo mondo sognato da Locke.

A tal punto la nostra arroganza liberale si é spinta avanti che neghiamo addirittura ai popoli il diritto sacrosanto di farsi la guerra, di identificare chi deve ritenersi nemico o traditore, chi sovversivo e chi salvatore delle istituzioni.

Sosteniamo in modo confuso i ribelli di ogni parte del mondo e di ogni razza, uomini a cui la serenissima Repubblica Italiana non esiterebbe a comminare l’ergastolo, combattiamo in Mali i jihadisti che abbiamo prezzolatamente armato in Libia e Tunisia. Strizziamo l’occhio alle milizie di hezbollah che teniamo (costosamente) a bada in Libano. Un po’ come se un un gruppo di stati mittleuropei avesse armato gli improvvisati terroristi dell’Alto Adige, gli indipendentisti dei tralicci dell’Enel: nemici del popolo italiano avremmo gridato, restauratori della libertà di un popolo oppresso ci avrebbero risposto. Questioni di punti vista. Appunto.

Facciamo la guerra ai nostri interessi e creiamo le condizioni per lo sterminio dei cristiani, ma ci vantiamo di fare “peace keeping”, operazioni di polizia internazionale. Le guerre giuste e caste sono quelle nostre, gli altri fanno quelle sbagliate e sporche. Sarà.

Non abbiamo neppure più l’etica della guerra (si perché anche la guerra ha un’etica): “no boots on the ground”, mandiamo i droni.

Penso alla Siria e mi ricordo della vile annessione indiana della colonia portoghese di Goa; anche quella perpetrata in spregio ad ogni più elementare regola di diritto internazionale, della volontà del suo popolo e con l’imbarazzante complicità del modo occidentale democratico (si, anche quello delle Falkland).

In tutto questo il mio Ministro degli Esteri digiunerà e temo che il mio Ministro della Difesa (difesa poi da cosa se facciamo solo guerre di aggressione?) sia latitante.

Che brutto settembre che mi aspetta.

Alessandro Nironi Ferraroni

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