Andrea Canova intervista Massimo Storchi
Interviste che intendono far conoscere qualcuno a qualcun altro, come se due sconosciuti si incontrassero per la prima volta.
L’intervistato ha la più assoluta libertà di dire o non dire ciò che vuole di se stesso.
In queste interviste non si cerca il clamore, il gossip, lo shock.
Si tratta di interviste scritte dall’intervistato, dunque non orali, per ovviare al brutto costume italiano di “modificare” il detto dell’intervistato, a volte con scopi non ben chiari, o fin troppo.
– Se dovessi descriverti a chi non ti conosce, che cosa racconteresti di te? In altri termini, chi è Massimo Storchi?
Massimo Storchi, classe 1955, nato a Reggio, sposato, tre figli, storico, ho diretto per venti anni il Polo Archivistico del Comune di Reggio Emilia, gestito da Istoreco, ho scritto saggi sulla Resistenza e la Seconda guerra mondiale, la cooperazione e la violenza fra guerra e dopoguerra. Miei testi sono stati tradotti in inglese, tedesco e russo. Sono un montanaro mezzosangue, vivo preferibilmente a Migliara, amo le auto da corsa, i rallies e gli aerei.
– Che tipo di formazione hai? Studi, letture, mentori.
Liceo Classico, triennio completato di ingegneria, laurea in storia contemporanea, diploma di Archivistica, paleografia e diplomatica. Letture: Svevo, Joseph Roth, Musil, Conrad, Fenoglio, Simenon. Più che mentori due punti di riferimento nel mestiere dello storico: Claudio Pavone e Luciano Casali.
– Per chi non lo sapesse, Massimo Storchi è uno storico. Ecco, Massimo, che cos’è la storia?
“La storia è la scienza degli uomini nel tempo” ci dice Marc Bloch, non è studiare il passato ma gli uomini di quel tempo, di ogni tempo, che sia il Medioevo o la nostra contemporaneità. Lo storico vive fra i morti ma sempre nel rispetto della distanza cronologica per non cadere nella trappola dell’anacronismo: valutare uomini e fatti di altri tempi con i parametri di oggi.
– “Non dimenticare per non ripetere”: ricordando, ossia facendo storia e studiando la storia, è davvero realistico pensare che possa servire per non ripetere gli errori del passato?
Agli storici non si può chiedere di salvare il mondo, né si può invocare il “dovere della memoria” (anche perché se si impone qualcosa l’Italiano medio farà subito il contrario). Avere memoria è una scelta, io credo che convenga, dà un senso non solo al nostro essere cittadini ma anche al nostro far parte di una comunità che non potrebbe esistere senza una “storia” comune e riconosciuta. Il problema, particolarmente acuto nel nostro Paese, è il rapporto fra storia e consapevolezza diffusa: in Italia è più ampia che altrove la forbice fra realtà storica e percezione collettiva. È quel fenomeno descritto da Halbwachs: perdere il legame fra fatto storico e sua percezione o uso. Così, quasi nell’indifferenza, continuiamo a leggere che le foibe furono un caso di pulizia etnica (erigendo a monumento nazionale un luogo che non è nemmeno una foiba e in cui, comunque non furono uccisi italiani) o, recentemente, che l’attacco di via Rasella fu fatto contro anziani musicisti (e non si sa se sia più grave la fonte autorevole di tale sciocchezza o che dopo 79 anni sia ancora possibile esprimerla senza venire travolti dal ridicolo e dalla condanna generale). Ma tutta questa “paccottiglia” finisce comunque per costruire un “common sense” del tutto infondato.
Non meno difficile è il rapporto fra storia e uso politico della storia, antico questo forse come la nostra civiltà (Cesare, tornato a Roma scrisse lui il “De bello gallico”, prima di altri autori) ma che nella nostra sfrenata mediaticità ha assunto caratteri patologici con un predominio della politica sulla storiografia. Sembra non ci sia mestiere più semplice che dirsi “storici” o affrontare temi storici in una comunicazione a senso unico.
– Ideologia e storia, i propri valori e la verità storica, soggettività e oggettività: credo che siano due nodi di una stessa trama e, se lo sono, come fa uno storico a, diciamo così, raccontare la verità e nient’altro che la verità, anche quando questa contrasta con i propri valori, la propria soggettività? È possibile?
Quando Ponzio Pilato si trovò davanti Cristo gli chiese: “Cos’è la verità?” e Cristo, che avrebbe potuto rispondere senza problemi. “Sono io”, tacque. Non chiedete agli storici la “verità”, chiedete loro di fare bene il loro lavoro: non esiste uno storico imparziale, io sono antifascista e lo rivendico apertamente e con orgoglio, si fa ricerca, si scrive con la complessità (e la ricchezza) della nostra identità personale. Il nocciolo è la correttezza di metodo, l’uso delle fonti, poi i giudizi sono tutti opinabili ma sono i fatti che restano al centro, purtroppo ormai siamo alle “opinioni a prescindere dai fatti”. In Italia si usa poi spesso un concetto senza senso: “Memoria condivisa”. Non esiste e non può esistere una memoria “condivisa”. Quale sarebbe la “Memoria condivisa” fra la famiglia Cervi e un fucilatore dei sette fratelli? Fra un torturato e il torturatore? Al contrario l’Italia ha ancora bisogno di una “storia condivisa”, una meta da raggiungere purtroppo ancora dopo anni dai fatti.
– Oltre che storico, Massimo Storchi è anche uno scrittore di romanzi gialli dove, comunque, la storia è una co-protagonista molto importante. Quindi, qual è la poetica di Massimo Storchi come romanziere?
Scrivere è sempre stato una parte “normale” della mia vita, per lavoro e nel privato, per dirla col poeta “è capitato ed è quello che so fare” e quindi, anche prima di incontrare Dario Lamberti, ho riempito cassetti (eo files) di testi, poesie, racconti. Dopo anni di lavoro come storico ho voluto rimettere in circolo i tanti materiali raccolti e che non potevano essere utilizzati in saggi storici, per raccontare Reggio (e il nostro paese) nel corso di quaranta anni del secolo scorso, dal 1941 al 1981. Così nascono “gli strani casi” di Dario Lamberti (ne sono già uscite cinque puntate sulle nove previste, grazie ad Aliberti), dove l’elemento “giallo” è solo uno strumento, quasi un pretesto, per raccontare storie e vicende della nostra città. Quando la storiografia non riesce a comunicare, il racconto storico prende il suo posto con la sua capacità di raccontare vite, sentimenti e persone.
– Qual è il tuo più grande sogno?
Impossibile, irrealizzabile ma assolutamente personale.
– Qual è la tua più grande paura?
Di non poter più disporre di me stesso.
– Che cosa vorresti lasciare dopo la tua morte?
Non credo che ai defunti sia concesso disporre del futuro. Personalmente auspico un rapido oblio, professionalmente il tempo dirà se le mie cose scritte hanno qualche valore.
FINE
Bibliografa (essenziale)
– Uscire dalla guerra: ordine pubblico e forze politiche: Modena 1945-1946- Milano: Angeli, 1995.
– Combattere si può vincere bisogna: la scelta della violenza fra Resistenza e dopoguerra: (Reggio Emilia 1943-1946) – Venezia: Marsilio, 1998
– Sangue al bosco del Lupo: partigiani che uccidono partigiani: la storia di “Azor” – Reggio Emilia: Aliberti, 2005.
– Il sangue dei vincitori: saggio sui crimini fascisti e i processi del dopoguerra (1945-46) – Roma: Aliberti, 2008.
– Question time: cos’è l’Italia? Cento domande (e risposte) sulla storia del Belpaese – Roma: Aliberti, 2011.
– Anche contro donne e bambini: stragi naziste e fasciste nella terra dei fratelli Cervi, Reggio Emilia: Imprimatur, 2016.
Per la serie “Gli strani casi di Dario Lamberti”, editi da Aliberti Editore (reperibili su Amazon):
– Il patto di Khatarine, 2020
– Ritorno in città, 2021
– Le talpe della signora Benaglia, 2021
– Una storia d’inverno, 2022
– Capelli Rossi, 2023.