Pisa – Abbiamo tutti visto gli occhi persi nella paura del piccolo Omran, immobile e scalzo su quel sedile arancione di un’ambulanza ad Aleppo, un pulcino fragile, incenerito e macchiato di sangue. Nella storia di quel bambino c’è il simbolo della guerra civile siriana. Poi c’è quello che non vediamo e che ci viene svelato solo in parte, è la fotografia della vita nelle prigioni in Siria: fame, senza cure mediche, confessioni estorte con la tortura.
È sufficiente il sospetto di far parte dell’opposizione al regime di Damasco per aprirti le porte di un calvario. Amnesty International pochi giorni fa ha diffuso sulla Siria dati allarmanti: 17.723 i carcerati morti nelle prigioni governative dall’inizio della rivolta ad oggi. 10 persone ogni giorno hanno perso la vita tra le sbarre. Il nuovo rapporto del movimento per i diritti umani fondato negli anni ’60 dall’attivista britannico Peter Benenson porta alla luce inquietanti dettagli sulle sevizie, sull’uso sistematico delle violenze corporali ai prigionieri da parte delle guardie carcerarie: frustate, bruciature con sigarette, acqua bollente versata sul corpo, scosse elettriche. Il governo siriano ha ripetutamente negato tutte le accuse. Chi è passato per le prigioni della dittatura racconta: «Le feste di benvenuto consistevano in percosse con barre di metallo e cavi elettrici».