Un rito poetico pieno di angoscia, di dolore e di nostalgia, così attuale in un periodo nel quale la guerra si è imposta alle nostre coscienze con il sangue, i corpi martoriate, i bambini che muoiono. Le creature umane non si distinguono più dalla polvere sollevata dal ferro e dal fuoco.
“Vi è in me, vi è sempre stato e vive in me con ogni mio respiro, la fede in un’attività cui siamo stati chiamati: impregnare di dolore la polvere, darle un’anima”: sono parole che Nelly Sachs, scrive da Stoccolma a Paul Celan in una delle lettere che i due poeti di famiglia ebraica, accomunati dalla stessa esperienza di essere sopravvissuti all’Olocausto e di esserne diventati i testimoni. “False stelle ci sorvolano, certamente; ma il granello di polvere che la sua voce impregna di dolore descrive l’orbita infinita”, le risponde da Parigi il poeta rumeno di lingua tedesca.
Con questo scambio fra due artisti, uniti in un’affinità di anima e di destino, si apre la pièce teatrale “Lettere dalla Notte”, di Chiara Guidi, regista teatrale, attrice e drammaturga, cofondatrice di Societas, andata in scena a Cango nell’ambito della rassegna “la Democrazia del Corpo”, diretta da Virgilio Sieni. Un canto corale che penetra nell’abisso delle coscienze e, attraverso le parole dell’artista berlinese così dense di immagini e nello stesso tempo così dure e levigate, che graffiano l’anima, le conduce dall’esperienza della morte delle madri e dei padri (Coro degli Orfani) e dall’essere sopravvissuti (“potrebbe darsi che ci disfiamo in polvere davanti ai vostri occhi”, Coro dei Salvati), alla pacificazione grazie a coloro che non sono ancora nati (“Noi che profumiamo di domani, noi luci venture per la vostra tristezza”, Coro dei Nascituri).
“Ein Psalm der Nacht”, un Salmo della Notte, dunque. Ancora un’espressione di Nelly Sachs, Premio Nobel per la letteratura nel 1966, corrisponde perfettamente all’opera messa in scena dalla drammaturga romagnola. Per rendere più forte e diretto il messaggio poetico, la Guidi fa tesoro della sua lunga ricerca sulla voce. Secondo lei le parole non esauriscono la loro forza nel significato. E’ il suono che le giustifica e le realizza pienamente. Esse sono intrise di onde sonore “come un corpo danzante” che ne portano alla luce il senso nascosto: “le parole devono essere riscritte sul pentagramma secondo il modo di essere delle note», dice. I versi della poetessa berlinese raggiungono così la pienezza in un canto primigenio, una sorta di pre-gregoriano, che fa emergere la forza autentica che è in ciascuno di noi.
Questo invito a cercare insieme “un suono drammaturgico”, l’artista l’ha rivolto al “coro dei cittadini”, dodici uomini e donne che hanno avuto la fortuna di partecipare alla creazione della pièce e che l’hanno accompagnata con movimenti e figure nella lettura dei testi della Sachs, aiutandola a creare un’atmosfera densa e dolorosa, a scendere nell’abisso della violenza dell’uomo sull’uomo, quale stiamo vivendo in questi giorni. Qui è ancora la poetessa tedesca ad invitarci alla ribellione contro ogni catastrofe umana: “Popoli della terra, non distruggete lo spazio delle parole, lasciate le parole alla fonte, perché sono loro che possono spostare gli orizzonti nei cieli della verità e …. possono aiutare le stelle a partorire” (da Popoli della Terra).
A rendere ancora più profonda e suggestiva la voce di Chiara Guidi e quella del coro ci hanno pensato anche il vibrafono che Natàn Santiago Lazala ha suonato per tutta la durata del pezzo, con le bacchette e con l’archetto del contrabbasso, e gli effetti sonori di Andrea Scardovi. Nei versi di Nelly Sachs scanditi da attrice e coro l’ambiente esperienziale vissuto dal pubblico di Cango: “Creature di nebbia/ andiamo di sogno in sogno/ sprofondiamo attraverso mura di luce/ dai sette colori / Ma infine scoloriti, muti, elemento di morte nella conca cristallina/dell’eternità/ spogliati dalle ali notturne/ di ogni mistero”.
Foto: CHIARA GUIDI-Socìetas, Lettere dalla notte, prove ©Nicolò Gialain