Pare che il capataz francese Valls non sia granché dotato di senso della misura. E neppure di senso della vergogna. Che siano legali la pornografia (anche nelle sue più laide varianti, piene di disprezzo per la dignità della donna), i costumi più esibizionistici e svaccati, mentre viene proibito e sanzionato il cosiddetto burkini, è semplicemente abnorme.
La “dittatura della libertà” mostra il suo vero volto. Chi tollera o esalta qualsiasi indecenza vorrebbe proibire alle donne musulmane di stare al mare vestite in modo rispettoso di sé e degli altri (altrettanto fanno, peraltro, donne di fede evangelica amish e pentecostale, donne ebree di tradizione chassidica, ecc.). Passi per i laicisti francesi, che sono di un dogmatismo “anti-dogmatico” e anti-religioso squallido e fanatico, ma è ben triste che siano anche cattolici e protestanti italiani a cavalcare la dissoluzione. Ricordino, questi ultimi, l’insegnamento dell’apostolo Paolo, I Tm. 2, 9: “le donne vestano in modo decoroso, con pudore e modestia” (ovviamente lo stesso vale per gli uomini).
E non occorre neppure essere musulmani o cristiani, per pensarla così: anche il corrosivo e geniale anarchico Pierre-Joseph Proudhon, già nell’Ottocento, affermava l’importanza del pudore nel suo misconosciuto saggio La Pornocratie, ou Les femmes dans les temps modernes. Il guru laicista Paolo Flores d’Arcais, su Micromega, pontifica: “Il burkini non è “una moda” (Aboudrar), è la versione da spiaggia o piscina del burqa, con cui padri e mariti islamici non catafrattamente fondamentalisti vollero concedere alle loro donne la possibilità di prendere un bagno, riaffermando al contempo la loro non-libertà sessuale di essere viste, desiderate e liberamente contraccambiare”.
A parte il criptico, vezzoso e bizzarro “catafrattamente”, qui il discorso si svela in modo smaccato: i mariti islamici, constata tra l’affranto e il furioso d’Arcais, anche quelli non totalmente fondamentalisti, rifiutano di concedere alle loro donne la libertà sessuale di essere viste nella loro corporeità, di essere desiderate e a loro volta desideranti. Che dire? il risvolto di questa stortura è il seguente: un “moderno” che si rispetti non ha il diritto di interferire in alcun modo nell’eventuale esibizionismo a sfondo sessuale del partner. Libertà e licenza si equivalgono. Matrimonio come impegno etico e tensione verso una fedeltà integrale sono annullati, il desiderio è l’instabile punto focale in questa prospettiva distorta. Prospettiva discutibile anche nelle premesse: chiunque abbia conosciuto il mondo femminile musulmano sa, ad esempio, quante intellettuali, professioniste, artiste di diversi paesi (dall’Egitto all’Iran) abbiano dichiarato con fierezza di avere scelto l’abbigliamento “modesto” e di averne guadagnato in termini di accresciuta attenzione verso le loro abilità creative e la loro professionalità.
E’ ovvio come in molti casi vi sia costrizione, ma il problema, allora, rientra nell’ambito del diritto di famiglia, non in quello delle problematiche di costume, rispetto alle quali dovrebbe valere ancora il dettato dell’articolo 21 della nostra Costituzione: “…Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni”. Qualcuno dirà: l’art. 21 fu voluto da parte cattolica, ma questo non sposta di un pollice il problema, anzi conferma come la decenza accomuni, non divida, le civiltà. E comunque, fino a contrordine, l’articolo è ancora formalmente in vigore, sebbene clamorosamente disatteso.
Dunque, stando alla nostra Costituzione, la pornografia dovrebbe essere illegale e il burkini (diverso dal burqa, il velo che cela l’identità) pienamente legale. La nobile Carta di fondazione della Repubblica italiana ha ancora qualcosa da insegnare, anche su come difendere i bambini dall’oscenità devastante.