Socialloqui Il branco facebook

iperconnessioneC’è un elemento sociologicamente ed antropologicamente ancora più drammatico nella vicenda del giovane italiano brutalmente ucciso da suoi coetanei in una discoteca spagnola, rispetto all’omicidio stesso consumato in un luogo teoricamente adibito al divertimento. Oltre alla bestialità del o dei giovani carnefici discotecari (l’archetipo del delitto cruento per “futili o inesistenti motivi” discende già dalla storia veterotestamentaria di Caino e Abele), non può non sgomentare la visione della folla attorno allo spettacolo delittuoso, non impotente bensì accidiosa che nulla fa per evitare lo scempio. O meglio, quasi nulla.

In molti infatti, smartphone muniti, “immortalano” la scena (usiamo non a caso un verbo in questo caso suonante da ossimoro) come fosse quella la prima e forse unica necessità della circostanza: non certo salvare una vita umana, tutto sommato con poco sforzo, ma condividere quel sacrificio sull’altare dello sballo, spettatori assenti di un’aggressione irreale. La sofferenza della vittima, i traumi inferti al cranio, il sangue che scorre, la vita che fugge? Immagini come tali incorporee e non senzienti, sublimate nell’atto di racchiudere la scena nell’angusto ma iperconnesso spazio del telefonino. Ragazzi e ragazze che non erano là ed allora (quell’ora fatale per uno di loro) ma solo protuberanze antropiche di uno strumento proteso alla rete, dove “nulla si crea, nulla si distrugge…”.

Ne “La Conversazione necessaria – La forza del dialogo nell’era digitale” (Einaudi 2016), la psicologa e tecnologa statunitense Sherry Turkle descrive, dopo anni di elaborazione dati ed interviste “sul campo”, la progressiva estinzione dell’empatia specie nelle nuove generazioni (il clou negativo è toccato negli ultimi dieci anni) a causa dell’eccesso informativo e della conseguente propensione a proiettarsi, da parte dell’individuo, in un non meglio precisato altrove pur di non vivere il presente reale. In attesa continua di notifiche esterne, negli studenti universitari il calo empatico, negli ultimi venti anni, sarebbe stato calcolato attorno al 40%; secondo i ricercatori da attribuire direttamente alla presenza massiccia dei nuovi mezzi di comunicazione digitali.

Demonizzare un dispostivo, neutro in quanto tale, positivo o negativo in base all’uso qualititativo e quantitativo che ne fa l’utente, è da sempre contrario al concetto di progresso tencologico e sviluppo sociale. Ma è altrettanto evidente che l’approccio idolatrico allo stesso, significa ignorare i macroscopici problemi professionali, relazionali, culturali e perfino linguistici del suo multiutilizzo acritico. Urgono seri formatori del settore a partire dalle scuole dell’obbligo e draconiani codici deontologici. Per un manifesto logico e razionale che, come vorrebbe Kant, porti ancora naturalmente ed inevitabilmente, a considerare la coscienza più importante (e funzionale) dell’account.

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