Firenze – Non è “la” commemorazione dove tutti vanno, o, come dice Sugo, partigiano per la vita, “non è la festa di cui tutti parlano”. Eguale, eppur diversa da quella che si svolge in piazza Poggi, con la passerella di artisti e politici, dove si parla si mangia si suona e si commemora. Eguale eppur diversa, la festa che Santo Spirito e San Frediano tradizionalmente tributano alla Liberazione: si parla, si mangia si suona e si commemora, eppure il vento che soffia è diverso. Non meglio o peggio, ma diverso. Ad esempio, oltre ai lunghi tavoli con panche per mangiare, la piazza è piena di libri, riviste, materiale documentario, un interessante caos che mette insieme lotta partigiana, contestazioni degli anni 70 e rivendicazioni odierne. Ecco, forse una prima differenza è questa: il filo di continuità che i movimenti, il sindacalismo di base, i partiti della sinistra “al di là” del Pd, le associazioni, il banchino con la rivista degli anarchici, il Centro popolare autogestito fiorentino, gli stessi abitanti di San Frediano e Santo Spirito sentono fra la lotta partigiana che in quelle strade fu particolarmente sanguinosa e l’oggi. Un sentire che dilaga dalle parole dei partigiani presenti (oltre a Sugo, la staffetta partigiana Angela col marito, più un altro partigiano “ospite” ) fino a pervadere tutta la festa e a farla lievitare: più che commemorazione o testimonianza, rinnovo di pensiero.
Successo per entrambe le “Liberazioni”, centinaia di persone là, ai tavoli attorno alla Torre di San Niccolò, e qui, al corteo che non finisce mai di snodarsi per le strade di San Frediano. Perché il punto cruciale d’arrivo della manifestazione è quella lapide, in piazza Tasso, dove ci sono i nomi di coloro che persero la vita falciati dalla Banda Carità: chi subito, sul selciato della piazza, chi più tardi, quando in seguito a una sorta di rastrellamento furono portati via e uccisi. Solo dopo molti anni furono rinvenuti i loro resti in riva all’Arno. Non solo: il punto da cui parte il corteo è un altro di quei “segni” vivi, impressi nella memoria e nella carne di Firenze, che diventano simboli, vale a dire la lapide dove fu colpito a morte il capo partigiano “Potente”. Ed è qui, sotto quella lapide, che Angela, la staffetta partigiana, racconta alcuni episodi che emozionano la folla.