IA e formazione, il pericolo da evitare è la “dittatura della risposta”

Università a consulto: attivare una cooperazione fra studenti e macchine

Intelligenza artificiale e mondo della conoscenza e dunque anche AI e didattica universitaria. È ormai fuori discussione che l’AI costituisca la nuova frontiera dell’innovazione, la più fragorosa di ogni novità in cui l’umanità di sia mai imbattuta, sembra al momento, ma forse tutte le innovazioni lo sono via via tutte sembrate. Comunque atteniamoci all’adesso. E, visto che praticamente non esiste più campo del fare o del creare che non ne sia interessato è evidente che la domanda se la ponga  anche il mondo della conoscenza e in particolare l’università. Un argomento affrontato recentemente, per esempio, dal convegno intitolato “ Intelligenza Artificiale per l’alta formazione”, promosso dal gruppo di lavoro per l’Innovazione digitale della didattica dell’Ateneo fiorentino. giovedì 27 giugno, cui hanno partecipato varie realtà accademiche italiane. Sotto osservazione, nel confronto,  aspetti positivi e potenziali rischi.

“L’Intelligenza artificiale – spiega Maria Ranieri, delegata Unifi all’Innovazione didattica, introducendo il dibattito  – fornisce nuove possibilità per personalizzare la formazione e migliorare l’efficacia dell’insegnamento, offrendo l’opportunità di un’analisi puntuale dei dati di apprendimento, come risultati dei test e risposte agli esercizi, oppure suggerendo materiali educativi personalizzati. Naturalmente si tratta anche di una sfida non priva di problemi, che vanno affrontati e regolamentati. Dalla protezione dei dati personali degli studenti alla trasparenza dei processi decisionali automatizzati o l’equità di accesso alle risorse, per fare alcuni esempi”.

Il tema, come spiega la prorettrice Ersilia Menesini, non è solo “di enorme rilevanza” ma anche “urgente”, l’università non può certo sottrarsi dall’affrontare “i nuovi scenari  del mondo, della realtà quotidiana, di tutto ciò che rende più efficienti i processi produttivi”. Ed è  evidente, continua, che “mentre  la società utilizza l’AI in più direzioni, noi non possiamo certo tenerla fuori dalle aule universitarie. Io non sono un’ esperta in particolare della materia ma sono esperta di processi psicologici e costruzione dei processi della conoscenza . I rischi sono evidenti, non si può negare che gli studenti possano usare L’AI per ingannare sulle loro capacità o esserne ingannati essi stessi. Ma siamo qui per discutere e studiare come evitarli. Di una cosa sola sono certa: che escludere dalle aule la AI non sia la strategia giusta. Lavoriamo, piuttosto sulle sfide da accogliere e  le opportunità”.

Tante a questo punto le riflessioni,  le informazioni, le proposte, le domande poste durante il convegno da una serie di docenti:oltre a quelli di Unifi e al delegato di Ateneo per la legalità e la trasparenza Erik Longo, anche docenti  degli Atenei di Bologna, Torino, Padova, della Università della Tuscia, del Politecnico di Milano, del CNR e della Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana.

Colpisce, tra le tante altre riflessioni espresse durante l’arco di un’intera giornata, la teoria della collaborazione macchine – studenti. Ovvero la logica di coautorialità tra esseri umani e AI, espressa in particolare dalla relazione dei professori Chiara Panciroli e Pier Cesare Rivoltella dell’Università di Bologna, che cancellerebbe secondo i due docenti  i rischi per gli studenti di restare impigliati in processi che nuocciano agli altri o a se stessi o di ripetere anonimamente soluzioni piatte o a volte perfino erronee. Il professor Rivoltella  affronta il problema dell’ invisibilità del l’algoritmo, cioè il rischio che comporta il vedere i risultati ma non vedere il processo che porta alla loro formulazione.

“Se ti ritrovi di fronte a tv,  cinema, carta stampata, hai a che fare con forme mentali visibili, con la AI, invece  si vedono i dispositivi di interfaccia ma non gli algoritmi che li producono, forme di sviluppo non sviluppabili da chi le usa”. Ne deriva, secondo i relatori, una sorta di “dittatura della risposta”. Per evitarla, si tratta, di spostare il baricentro verso la domanda, il che significa imparare a porre le domande perché le risposte siano significative. Bisogna, in sostanza, non tanto considerare le macchine come sostitutive dell’intelligenza umana, quanto addestrarle a imparare con noi .

Ecco dunque il ruolo fondamentale dell’alta formazione: insegnare agli studenti come imparare a porre domande. Dare loro strumenti per affinare il prompting, ovvero la capacità di offrire alle macchine, tramite prompt ragionati e ben fatti, stimoli che permettano a queste ultime di dare risposte corrette e interessanti. Un prompting azzeccato permette, si sottolinea, alle macchine di non fare errori e fa si che gli studenti possano incidere  sulle risposte e interagire con le macchine per arrivare alle risposte giuste. La logica di coautorialita’ vale anche per la dimensionesite creativa. La capacità di elaborare il prompt, ossia il testo in linguaggio naturale,  si sottolinea, richiede all’ AI generativa di eseguire quella o questa attività specifica e di farlo bene.

Panciroli parla di “innovare la didattica, fare conversazione, istituire una cooperazione tra esseri umani e AI, tra ciò che si sviluppa per merito degli umani  e quello che viene sviluppato dalle macchine. Una sorta di “concreazione tra esseri umani e macchine”. Una definizione della nuova scienza dell’educazione potrebbe essere : “Il prompt engeneering, ovvero l’arte di preparare la domanda,  è già un lavorare sulla risposta, collaborare sul  processo per raggiungere il prodotto”.  Dunque, opporsi e che, come a volte accade,  “ molte parole dell’ AI siano elaborate in modo approssimativo” . Per evitarlo, però , “bisogna non solo imparare a porre le domande  giuste ma anche verificare le risposte, dunque controllare le informazioni che potrebbero essere approssimative, non affidarsi ciecamente al risultato” .

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