I “trent’anni dopo” della generazione del ’68 alla Federico II di Napoli

Storie di amori perduti, matrimoni falliti, conflitti professionali

Un nuovo romanzo di Francesco Fiorentino professore emerito dell’Università di Bari. Cinque giorni  fra trent’anni (Marsilio Editore) è un avvincente affresco sulle speranze, le illusioni di studenti che alla Federico II di Napoli nell’epoca del fatidico sessantotto e dintorni condividono passioni, assemblee, esami, sono protagonisti di amori giovanili.

Troviamo Arturo che si considera inquieto e maldestro, l’enigmatico e per certi versi fascinoso Guido, Carla, la miss del Collettivo studentesco a cui molti partecipano solo per vederla, la dinamica Emilia che seleziona i partecipanti a un Seminario presto divenuto” il fiore della facoltà” centro di animate discussioni, e vari altri che troveremo cammin facendo.

Ci si accorge presto che queste definizioni sono anguste e non colgono le molte sfaccettature di personalità complesse…e questo vale pure per l’attraente Roberta, per Lea, Elvira anch’esse ricche di fascino anch’esse personalità composite anzi complicate. Amicizie e rivalità, soprattutto attese e speranze.Questo mi richiama alla mente un celebre verso di Francesco Guccini (tratto da Eskimo) “perché a vent’anni tutto è ancora intero  a vent’anni è tutto chi lo sa” . 

Ma trent’anni dopo  cosa è rimasto di quelle illusioni? Amori perduti, matrimoni falliti, conflitti professionali, situazioni tortuose, e la tristezza di apprendere che alcuni sono nel frattempo scomparsi.Francesco Fiorentino, con uno stile agile, talora incalzante, invoglia a leggere il libro tutto d’un fiato. E’ una piacevole sorpresa, aprendo il romanzo di un professore universitario ma non a caso Fiorentino  è un illustre  studioso di Balzac e ha al suo attivo anche due romanzi gialli perché troviamo  colpi di scena e suspense. 

Storie di una generazione di giovani che si ritroveranno cambiati con situazioni che non immaginavano di dover vivere. E vedremo che il loro presente è segnato da una sorta di cinismo, frutto del disincanto. C’è chi ha un amante giovane per sentirsi ancora una donna desiderata. E chi pone fine a un matrimonio con un biglietto lasciato su un tavolo. O chi dice che ormai non si ha più niente da sperare.A stemperare il cinismo dell’età adulta, una nostalgia sottotraccia del tipo “non cu siamo più cercati perché non avevano niente da dirci o perché ci mancava il coraggio di rivederci”. Ne parliamo con l’autore in questa intervista.

Come è nata la scelta di un ostile snello, con i dialoghi che prevalgono sulle descrizioni?

Volevo raccontare storie concentrandomi sulle azioni dei personaggi. Il contesto spaziale, l’ambiente storico e culturale sono dentro queste azioni. Dunque, niente descrizioni e digressioni. Tale scelta ha comportato che nel romanzo ci siano pochissimi imperfetti.

Quanto ha influito il fatto di essere uno studioso di Balzac?

Certo non è balzachiana l’abolizione di descrizioni e di riferimenti espliciti al contesto. Mentre lo è non solo  il ritorno dei personaggi, ma anche una certa energia che li anima.

Quali speranze sono andate deluse nel gruppo di giovani descritti nel romanzo ? 

Per i personaggi femminili, che sono la maggioranza, si tratta della prima generazione uscita in massa da casa per trovare un posto nel mondo. Sono donne forti e coraggiose che fanno parte della nuova borghesia professionale. Questo statuto sociale forte non ha comportato serenità. Resta in loro un desiderio di felicità   che investe i rapporti affettivi, che implicano la sensualità.

Perché ha intitolato 5 giorni fra trent’anni?

Quasi tutti i personaggi vengono rappresentati negli anni universitari. È in quel momento che le loro vite s’intrecciano, le loro personalità si formano. Li ritroviamo tutti dopo circa trent’anni in momenti decisivi per le loro vite. Il titolo non esprime il desiderio di conoscere il futuro in anticipo, ma quello di guardare il presente con gli occhi del futuro. È sempre il presente l’ossessione di tutti.

Ha scelto di non avere un narratore e nemmeno un protagonista

Rispetto al precedente romanzo, Futilità, dove abbondavano massime e commenti, il narratore è in effetti  evanescente. Volevo che la storia andasse avanti da sola come in una pièce teatrale o in un film, senza voci fuori campo. Protagonisti delle storie sono uno per volta i vari personaggi presentati all’inizio: alla fine, dunque, protagonista si rivela il gruppo. Più che un romanzo generazionale (che comporta spesso un’ambizione quasi epica), si tratta di un romanzo di gruppo.

E i personaggi sono soprattutto femminili

Le donne della mia generazione sono state straordinarie. Sono riuscite a conquistare posti nel mondo, a fronteggiare il potere maschile, restando però donne… Volevo capire e quindi mostrare proprio questo: come occupando ruoli tradizionalmente maschili fossero restate donne.

Cosa distingue la generazione descritta dal romanzo da quelle attuali?

“L’università negli anni Settanta era molto diversa. Noi l’abitavamo, nel senso che lì formavamo la nostra  identità culturale, morale, politica. Lì facevamo molti degli incontri decisivi della nostra vita: amicizie, amori… Per la prima volta le famiglie non erano decisive per la nostra collocazione nel mondo. Adesso, purtroppo, mi paiono cambiati sia l’università che il mondo del lavoro. Le università sono vissute spesso come un passaggio nell’attesa ansiosa di confrontarsi con un mondo del lavoro ostile. Le famiglie, quando possono, hanno quindi ripreso un ruolo essenziale di protezione sociale nei confronti dei figli. Nel complesso, si è meno liberi”.

 Francesco Fiorentino, napoletano ha studiato alla Federico II con Francesco Orlando. Dopo Venezia, ha insegnato letteratura francese all’Università di Bari, dove è professore emerito.Tra i suoi saggi pubblicati in Italia e in Francia, si segnalano le monografie su Balzac (Laterza), su Molière (Einaudi) e sul teatro del Seicento (Laterza). Ha curato l’edizione italiana del teatro di Molière (Bompiani) e sta preparando un’edizione di romanzi libertini (Bompiani). Per Marsilio ha diretto la collana di classici francesi «I fiori blu» e, insieme a Carlo Mastelloni, ha pubblicato due romanzi polizieschi: Il filo del male (2010) e Il sintomo (2014). Nel 2021, sempre per Marsilio, è apparso il romanzo Futilità.

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