I Roses continuano a farsi la guerra anche al Teatro Verdi

Firenze – Si danno un gran daffare Ambra Angiolini e Matteo Cremon per tenere in piedi i Roses, coppia yuppie rampante tipicamente wasp, ormai sull’orlo più che di una crisi di nervi di una vera catastrofe nucleare fra le pareti domestiche. La guerra dei Roses è all’origine un romanzo del 1981 di Warren Adler. Che otto anni lo trasferì sullo schermo per la regia di Danny De Vito. Fu un successo, impreziosito dalle interpretazioni aggressive, continuamente scekerate, di Michael Douglas e Kathleen Turner.

La storia continua. Da cosa nasce cosa. Squadra che vince non si cambia (regola hollywoodiana) e finché ce n’è si spreme fino all’osso. Così il romanzo e il film diventano una commedia, sempre istruita da Adler, che ne fa, per le sue tasche, una gallina dalle uova d’oro. Ma anche, per il pubblico americano soprattutto, un manifesto acre e velenoso dell’esercizio matrimoniale ma ancor di più della pratica del divorzio. Che impoverisce i protagonisti del dramma ma arricchisce i comprimari della vicenda, gli avvocati, avvoltoi e squali, disposti a qualsivoglia nefandezza professionale pur di firmare (un assegno dopo l’altro) l’armistizio.

La battaglia per la spartizione dell’appartamento è all’ultimo sangue. Senza esclusioni di colpi (bassissimi). Per i poveri Rose, una volta amanti felici, i dispetti, le aggressioni, le vendette, non si contano. Si spalanca il vaso di Pandora. Si aprono le cateratte. La diga non regge. A dimostrazione di cosa può succedere (e dove può arrivare) quando l’odio coniugale si trasferisce sul piano del possesso e della difesa del territorio. La miccia è accesa. Una volta innescata la reazione è a catena. Come le tessere del domino. Destinate a travolgere ogni cosa.

Crudele e comica, sguaiata e eccessiva, caotica e spietata, la parabola dei Roses arriva sulle nostre scene. E ieri sera ha aperto la stagione del teatro Verdi di Firenze, piacevolmente, se non sold out, poco ci manca. Pubblico festante e plaudente, una cascata di applausi a scena aperta. La ferocia del testo, che travalica gli argini del realismo per farsi metafora dei “rapporti di coppia”, minati e disumanizzati dai compiti istituzionali, il lavoro, i figli, gli obblighi societari, la carriera, i soldi, la voglia di libertà, l’ansia di emancipazione e via discettando, genera un meccanismo a ripetere che si infila nella spirale dell’incubo senza mai vederne la luce. Dentro, senza andare troppo per il sottile, con caparbia ostinazione e rabbiosa ambizione, si infilano a testa bassa i due protagonisti, degnamente e allegramente spalleggiati dai rispettivi avvocati, Massimo Cagnina e Emanuela Guaiana.

Il quartetto, affiatato, reagisce, anche troppo smaccatamente alla definizione dei rispettivi ruoli, guidati dalla regia incalzante, senza un attimo di tregua, di Filippo Dini (scene Laura Benzi, costumi Alessandro Lai, luci Pasquale Mari, musiche Arturo Annecchino). Il meccanismo funziona, con lucido determinismo la macchina teatrale non conosce incrinature, viaggia veloce verso il baratro matrimoniale, ingrana una marcia dopo l’altra e sembra avvincere i gusti del pubblico. Che forse si rispecchia in questo inferno domestico ma di certo si augura di non finirci dentro: di non viverlo sulla propria pelle e soprattutto sul proprio conto in banca. Si replica stasera alle 20,45 e domani alle 16,45. Info 055 212320.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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