I racconti del Viandante: giallo nella Roma antica

Le trattorie alle falde del Vesuvio non avevano la cucina. Un appassionante mistero storico

Dolores Boretti

Sulle antiche “trattorie “ dell’antica Roma c’era un mistero. Era un fenomeno che però si notava soltanto nelle città distrutte dal Vesuvio dove, sia a Pompei che ad Ercolano, esistevano moltissimi di questi esercizi. Ora colpisce il fatto che tutti questi “ristoranti” non abbiano una cucina. Per quanto strano possa sembrare, mentre in Campania quasi tutte le case conservano ben visibili i grossi banconi in muratura, in questi pubblici esercizi non ce n’é uno neanche a pagarlo a peso d’oro. Non solo: ma é ancor più interessante notare come quei locali più eleganti che spesso si insediavano in una bella residenza privata, acquistata allo scopo di trasformarla in ristorante, distruggevano immediatamente la precedente cucina e si contentavano di creare nell’ambiente del triclinio da affitto piccoli piani di cottura molto simili ai moderni barbecues .
Un esempio molto significativo di questo fenomeno è la Casa del Criptoportico. Questa era stata un tempo molto elegante, ma più tardi venne comprata da un trattore che la trasformò in un ristorante. Fu probabilmente a questo momento che le venne aggiunto un gran criptoportico un tempo appartenuto all’adiacente Casa del Larario. Nonostante che questo criptoportico fosse tutto affrescato, e desse accesso ad un magnifico salone decorato con scene dell’Iliade ed a eleganti terme, dopo l’acquisto esso venne usato come cantina accatastandovi numerose anfore piene di vino. Le terme, che un tempo erano state riscaldate da un prefurnio posto nella cucina, vennero poi abbandonate: la cucina, infatti, venne messa fuor d’uso e del suo bancone non vi è più nessuna traccia.
Al piano superiore in una loggia posta proprio sopra al criptoportico esiste invece un triclinio in muratura. Esso è particolarmente bello e completo: i letti tricliniari sono più lunghi del solito e quindi si prestavano ad accogliere molto più delle solite nove persone alle quali era limitato il banchetto normale. In mezzo ai letti vi è il solito sostegno piccolo e tondo per poggiarvi i vassoi, ma qui, come anche in molti triclinii, incluso quello in muratura del Predio di Giulia Felice, tutto attorno all’orlo esterno dei letti corre un ripiano più basso per appoggiare i bicchieri e quanto altro fosse di impaccio quando si aveva bisogno delle mani per mangiare.

Davanti al triclinio vi sono panche in muratura che poi proseguono lungo le pareti piegandosi ad angolo retto. Queste servivano per farvi accomodare le persone che avrebbero partecipato al banchetto, ma che, non essendo importanti, non si sarebbero stese sul triclinio: liberti, fanciulli, o anche “ombre”, come venivano chiamati coloro che, pur non essendo stati invitati, erano venuti al seguito di qualcuno abbastanza influente per imporli. Su un lato del triclinio si vede poi il grosso cubo in muratura, che doveva servire per il vasellame necessario al simposio e, infine, sempre sullo stesso lato, e vicino all’ingresso, esiste una piccola cucina in nicchia, un vero e proprio barbecue a disposizione degli avventori. Questo fatto è strano, ma ancor più strano diviene se lo si mette in relazione con la situazione che si trova in un’altra città romana molto ben conservata e precisamente in Ostia Antica. Qui, mentre nelle case private non c’é neanche una cucina (o per lo meno non ce ne é nessuna del tipo che siamo abituati a vedere nelle città campane) tutte le osterie e ristoranti hanno il caratteristico bancone in muratura per la cottura dei cibi.Il giallo sembra insolubile…

Esiste tutta una serie di editti che partendo dall’imperatore Tiberio proibivano la vendita di certi cibi negli esercizi pubblici, editti che vennero resi sempre più rigidi dai successivi imperatori, fino al momento nel quale gli osti dovettero praticamente limitarsi alla vendita del solo vino. Le leggi miravano a far si che le osterie divenissero sempre meno attraenti per gli sfaccendati: si voleva evitare che questa gente, spesso scontenta e facinorosa, si riunisse in gruppi e fomentasse disordini. Le multe e le pene inflitte agli osti che trasgredivano ai divieti dovevano essere particolarmente pesanti, perché, come abbiamo visto nelle città campane, i vari trattori che si insediarono in case private si affrettarono a distruggerne i banconi di cottura. Ma se agli esercenti era proibito cucinare, niente dicevano le leggi a proposito degli avventori e nulla impediva ad essi di recarsi all’osteria portando con sé la propria cena. Quindi gli osti ricorsero alla soluzione di affittare i loro triclini e fornire agli avventori tutto il vino che desideravano. I clienti arrivavano con le provviste necessarie e, per venire incontro alle loro esigenze senza incorrere in sanzioni, molti crearono presso i letti tricliniari un piccolo piano di cottura sul quale gli stessi avventori potevano provvedere a cuocersi una bistecca o a riscaldare qualcosa.
Queste leggi restarono in vigore fino alla fine del primo secolo d.C.. Poi non furono piú rinnovate ed è a quest’epoca che risalgono i banconi da cucina delle osterie e dei ristoranti di Ostia, città nella quale questi pubblici esercizi ripresero immediatamente l’antico splendore e ridiventarono quei locali “grassi” come li definiva Orazio il grande poeta latino.

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