Vari studi hanno messo in luce che la percezione soggettiva del rischio – nelle attività umane, nelle applicazioni tecnologiche, nelle scelte energetiche, eccetera – è molto diversa dal valore del rischio reale, valutato da analisi statistiche e dall’esame di casi singoli.
Eppure una valutazione equilibrata potrebbe aiutarci nelle scelte pratiche individuali e sarebbe importante anche nel guidare le decisioni politiche.
Al contrario, stime influenzate da stime passionali e da ignoranza possono ostacolare scelte ragionevoli, come è dimostrato in questi ultimi anni dall’azione dei NO TAV che si oppongono accanitamente alla realizzazione della controversa linea ferroviaria, anche esagerando il rischio amianto.
Premettiamo che rischi e incidenti esistono sempre e da sempre intorno a noi e sono connessi con ogni tipo di sviluppo tecnologico, dagli incidenti stradali a quelli domestici. Prendiamo ad esempio le valutazioni sui rischi connessi con le varie fonti energetiche, argomento delicato perché i problemi sono complessi e perché l’ignoranza e il preconcetto fanno ombra a un giudizio equilibrato.
L’energia idroelettrica è ritenuta la fonte più desiderabile – perché rinnovabile e non inquinante – e più sicura; in Italia circa il 15% dell’energia elettrica generata è idroelettrica. Ma non vanno ignorati i rischi. La costruzione della diga del Vajont determinò la frana del monte Toc nel lago artificiale. La sera del 9 ottobre 1963 si elevò un immane ondata, che seminò ovunque morte e desolazione. La stima più attendibile è, a tutt’oggi, di 1910 vittime.
Per venire ai nostri giorni, il 17 agosto 2009 l’acqua ha invaso la sala macchine dell’impianto Sayano- Shushenskaya nella Siberia Orientrale; è il più grande del Paese e il quarto del mondo: circa 70 morti. Si stima che nel periodo 1970-90 gli incidenti dall’idroelettrico abbia causato 4 000 morti.
A ciò si aggiunga che gli ambientalisti irriducibili obiettano alla scelta idroelettrica i danni ambientali; a parte gli eccessi dei puristi, è indubbio che la costruzione di dighe e grandi bacini artificiali, con l’allagamento di vasti terreni, apporta un grande impatto ambientale, come è successo con la grande diga di Assuan in Egitto e con la diga cinese delle Tre Gole sullo Yangtze, o Fiume Azzurro, dove, secondo il governo di Pechino sono state spostate un milione e duecentomila persone.
Queste osservazioni non significano che io abbia riserve sullo sviluppo delle centrali idroelettriche, perché credo che i vantaggi compensino largamente gli svantaggi, anche se purtroppo chi patisce le conseguenze di vantaggi ne vede pochi.
Quanto all’impiego dei combustibili fossili, carbone, petrolio e gas naturale, che in Italia forniscono circa il 64% dell’energia elettrica,per quasi la metà da gas naturale, è ben noto che, bruciando, convertono il carbonio che contengono in anidride carbonica (CO2), un gas serra che potrebbe portare ad allarmanti variazioni del clima terrestre. E non si dimentichino altri effetti collaterali. Nel caso del petrolio gli sversamenti in mare e ai conseguenti danni ambientali a causa di incidenti alle petroliere e agli impianti off shore. Ricordiamo ad esempio che la superpetroliera Exxon Valdez il 24 marzo 1989 si incagliò in una scogliera di un’insenatura del golfo di Alaska disperdendo in mare 41 milioni di litri di petrolio. Negli ultimi 50 anni si sono verificati 1300 incidenti di petroliere. Gli stessi serbatoi terrestri non sono del tutto sicuri; pochi giorni fa più di cento persone sono morte e almeno cinquanta sono rimaste ferite nell’esplosione di un serbatoio di carburante a Sirte. Si può aggiungere che lo sfruttamento degli oli bituminosi (tar sands), avviato negli ultimi anni soprattutto in Canada, implica un forte impatto ambientale.
E che dire del carbone? Molti non ricorderanno il disastro di Marcinelle (Belgio) che la mattina dell’8 agosto 1956 provocò 262 morti. Oggi in Europa questo non accade quasi più, ma accade in altre parti del mondo. La Cina particolarmente è il leader mondiale nelle morti collegate all’estrazione del carbone, con stime ufficiali di circa 6000 morti nel 2004; stime non ufficiali pongono le cifre molto più in alto, circa a 20.000 morti. Altre stime: nel periodo 1970-90 gli incidenti da fonti fossili hanno causato 15 000 morti, l’idroelettrico 4 000. E le malattie croniche ai polmoni, come la pneumoconiosi sono comuni ai minatori, causando un’aspettativa di vita ridotta per gli occupati. Inoltre le scorie delle centrali sono molto voluminose e sono perfino un po’ radioattive.
Altro effetto collaterale dell’uso dei combustibili fossili è causato dallo smog: secondo il Cnr, uccide in media oltre 8000 persone l’anno nelle 13 maggiori città italiane, il che equivale al 9% della mortalità per gli over 30, incidenti stradali a parte.
I punti critici delle fonti rinnovabili sono più modesti, a parte i costi, che però stanno decrescendo rapidamente. L’eolico, che al momento è il più conveniente, incontra assurde obiezioni da parte di alcuni ambientalisti, perché gli aerogeneratori alterano il paesaggio! A me invece il paesaggio punteggiato dai moderni mulini a vento piace.
Quanto al nucleare, ha un bel dire chi sostiene che la filiera dei combustibili fossili fa più morti di tutti gli incidenti alle centrali nucleari finora avvenuti. La radioattività spaventa non per i morti che ha fatto o fa, ma per quelli che può fare su tempi incommensurabilmente lunghi – la radioattività del Plutonio si dimezza in 24.000 anni. Spaventa perché non è percepibile dai sensi, perché si insinua nella catena alimentare e perché è inestricabilmente legata alla bomba a Hiroshima e Nagasaki. Inoltre, diversamente dal caso di altri tipi di incidente, nel caso di quelli nucleari bisogna tener conto anche di altre conseguenze a lungo termine, in particolare della necessità di bonificare – con grandi spese – i territori contaminati e resi inabitabili per decenni e dello stravolgimento della vita delle popolazioni evacuate.
Si potrebbe parlare anche della fusione nucleare controllata, che sarebbe una fonte quasi inesauribile e (quasi) pulita. Molti laboratori nel mondo lavorano da mezzo secolo per realizzarla; Penso che entro un po’ di anni si realizzerà un prototipo funzionante per un certo intervallo di tempo, ma non credo si giungerà a impianti affidabili.
Questa lunga tirata può dare l’impressione che io sia ostile agli sviluppi tecnologici, nostalgico di una mitica “Età dell’Oro” che non è mai esistita. Niente di tutto ciò, so bene che gli sviluppi tecnologici hanno apportato e apportano grandi benefici, mi sono limitato a fornire qualche informazione che può essere utile per formarsi un giudizio equilibrato.
Per concludere, quali le scelte prioritarie per l’oggi e per il futuro? Purtroppo vale il primo principio della termodinamica (conservazione dell’energia): il moto perpetuo non è possibile.
Almeno per molti anni non si potrà rinunciare alle fonti fossili; non servono le manifestazioni che si sono svolte recentemente contro le centrali a carbone. Sono convinto che, a parte lo sviluppo auspicabile delle energie rinnovabili, la strada principale sia il risparmio energetico, che si può realizzare in molti modi, senza incidere più che tanto sul nostro livello di benessere. Anche l’aumento di efficienza energetica, che si sta perseguendo, può giocare un ruolo importante.Credo però anche che uno stile di vita più sobrio gioverebbe a noi tutti, a parte il risparmio energetico.
PS – Qualche settimana fa ho scritto qualcosa sulla radioattività; ora voglio aggiungere due osservazioni:
– Paradossalmente, per lungo tempo si pensò addirittura che la radioattività avesse effetti benefici. Fu bandita dai prodotti di consumo nel 1938;
– Nel dopoguerra alcune calzolerie si erano dotate di apparecchiature a raggi X per “vedere” come il piede del cliente si adattava alla scarpa; infatti, come si sa, le ossa sono poco trasparenti agli X e si evidenziano facilmente; si sottovalutavano così i rischi delle radiazioni ionizzanti, in particolare sull’apparato riproduttivo. Dopo qualche tempo, fortunatamente, furono eliminate.