Valentina Barbieri
Un tempo portavano centinaia di sciatori ogni giorno sulle piste innevate. Oggi di quegli impianti restano solo gli scheletri abbandonati, testimoni delle glorie del passato e della crisi del presente. E’ un viaggio tra i fantasmi quello di Legambiente, che ha documentato una realtà dimenticata del nostro Appennino.
“Seguendo le indicazioni che ci giungevano da più parti – dichiara il presidente di Legambiente Reggio Emilia Massimo Becchi – abbiamo fatto con alcune Guardie Ecologiche di Legambiente una prima escursione cercando il lato più nascosto del turismo invernale sul nostro appennino, quello legato allo sci, turismo sempre più in crisi negli ultimi anni e che pare voler lasciare in eredità alle generazioni future un ricordo non certo edificante. A seguito di fallimenti o dismissioni sono infatti stati lasciati abbandonati impianti di risalita (skilift), spesso muniti ancora delle stazioni di partenza e di quelle di rimando, delle linee”.
In località La Romita a Civago di Villa Minozzo ci sono ben due impianti di risalita dismessi da diversi anni, che dall’albergo in disuso salgono sulle pendici del Monte Giovarello.
Il primo impianto, di più ridotte dimensioni, dall’Albergo sale a quota 1.375 metri circa, mentre il secondo da quota 1.260 in località Paesine porta a quota 1.657. Nella stazione di partenza del secondo impianto è presente una struttura in legno all’interno della quale sono presenti materiali in evidente stato di abbandono, nonché una struttura in cemento armato poco distante con i quadri elettrici principali e un annesso magazzino. Sul percorso delle piste sono presenti i punti di attacco dei cannoni per l’innevamento artificiale, sia idrici che elettrici, molti dei quali mancanti di parti e in stato di completo abbandono.
Nei pressi dell’Albergo all’ interno di una struttura metallica aperta è presente un gatto delle nevi in stato di abbandono e altro materiale sia all’interno che all’esterno, come cisterne per il gasolio, materiali plastici e metallici.
Anche al Ventasso lo scenario è sconfortante. La vegetazione si è ripresa il suo spazio intorno ai due impianti di risalita in totale abbandono. Tralicci e funi, inoltre ai macchinari per il funzionamento degli stessi testimoniano una profonda incuria. Nell’ impianto a fianco del Lago Calamone si notano i tralicci e le strutture in muratura di sostegno dei macchinari anch’esse in stato di evidente dismissione.
La normativa dell’ U.S.T.I.F. (Ufficio Speciale Trasporti e Impianti Fissi del Ministero dei Trasporti) prevede che un impianto a fune terrestre senza più il nullaosta dell’ Ufficio stesso debba essere “steso a terra” ovvero completamente smantellato.
“Purtroppo ormai i giorni di innevamento naturale sotto quota 1.500 metri sono statisticamente insufficiente – conclude Becchi – a mantenere in funzione gli impianti sciistici sul nostro appennino, ma non per questo è giustificato l’abbandono degli stessi una volta dismessi. Prima che il bosco torni completamente a colonizzare sia le piste da sci che l’area delle risalite è necessario provvedere al loro smantellamento, asportando le condutture per l’innevamento artificiale, i cavi elettrici interrati e i tralicci con i loro basamenti, restituendo al territorio la sua originale conformazione. Purtroppo la cattiva gestione ha spesso determinato il fallimento delle società che gestivano questi impianti, lasciandoci una pesante eredità”.
E aggiunge ” Sarà nostro compito informare gli organi competenti di questa situazione per poter effettuare una bonifica completa prima che il bosco diventi maturo e sia indispensabile un intervento invasivo. ”