Firenze – Un libro che si propone di mettere insieme i diari di chi pure è protagonista in senso pieno delle vicende della Prima Repubblica, rischia. Ma se il rischio è quello di una registrazione di documenti che lasciano poco spazio alla suspence, ebbene, questo rischio è stato magistralmente evitato da Piero Meucci, che ha dato il meglio della sua tempra di giornalista e scrittore producendo un’opera che, senza mancare in nulla all’impegno scientifico, si rivela appunto una narrazione coinvolgente e a tratti persino emotiva, della storia dell’Italia precedente, vale a dire di quel coacervo di fatti, realzioni, conquiste e tragedie che ha portato il Paese a vivere il nostro presente.
Così, il libro “Ettore Bernabei, il primato della politica” per i tipi di Marsilio Editore, è uno di quei libri che tengono il lettore inchiodato dalla prima all’ultima pagina utilizzando le testimonianze dirette del protagonista, uomo chiave e testimone dei passaggi più importanti dell’Italia a cavallo fra i due secoli, per dare un affresco inedito in parte, confermativo per altri versi, del travaglio di un partito incentrato in buona sostanza nel duello fino all’ultimo sangue (e fino alla presunta scomparsa della Dc) fra progressisti e conservatori, identificati in buona sostanza con Fanfani da un lato e i suoi numerosi e agguerriti avversari dall’altro. Senza dimenticare personaggi chiave di volta in volta alleati o nemici, primo fra tutti Andreotti, e senza mancare di registrare alcune clamorose assenze, come la vicenda epocale e in un certo senso definitiva rappresentata da Mani Pulite, o un’analisi delle cause sociali per cui scoppia il fenomeno della lotta armata vista sostanzialmente “solo” attraverso il pur epocale rapimento di Aldo Moro o, ancora, l’assenza di considerazione per quella lotta fra stati che proprio dal dopoguerra in poi vede protagonista lo Stato italiano e lo stato di mafia. Un elemento, quest’ultimo che, dopo aver segnato clamorosi e sanguinosi punti a favore di quest’ultimo e una celebrata vittoria dello Stato di diritto, non ha ancora finito di produrre i suoi frutti avvelenati. Senza contare gli intrecci fra questo mondo criminoso e quello della Massoneria deviata.
Assenze che tuttavia, a guardare il sottotitolo, “La storia segreta della DC nei diari di un protagonista”, forse non sono nemmeno tali, in quanto la visione consegnataci dai Diari di Bernabei è strettamente incentrata sulla storia politica della Dc. E tuttavia, un dato di fatto non può sfuggire: la storia del partito con più seguito popolare del dopoguerra non può prescindere dalla storia italiana. Anzi, in un certo senso, è la storia italiana.
Ed è proprio questo il punto, ciò che fa del libro un’opera che non solo guarda al passato, ma spiega il presente e pone le basi del futuro. L’evoluzione della Dc è un iter potente, che procura al lettore quell’impressione attirante che si stia parlando del passato per parlare del presente, per motivare il presente. Quindi, c’è un gusto singolare, di dejà vu nelle pagine degli scontri fra chi vuole il Pci al potere e chi no, chi trova nel craxismo una sponda per l’ordine del Paese e chi lo ritiene un passaggio per portare, mitigato, occidentalizzato e ormai inoffensivo, la parte sinistrocentrica della politica italiana nella stanza dei bottoni. Anche perché lo svolgersi degli eventi narrati è così coerente da dare l’impressione (l’illusione?) che un grande disegno sia messo in atto a partire dal dopoguerra da forze eterodirette (questo è un altro grande tema, cui dà voce il personaggio chiamato l’Insonne) fino al raggiungimento di un unico, vero obiettivo.
Quale, lo si può trarre da una frase dell’Insonne pronunciata in tempi non sospetti, siamo nel 1977, con tutto ciò che questo periodo porterà di tensione, scontri di piazza e non, ma anche spiragli di futuro: “Ormai non si può fare a meno di portare i comunisti a tavola (cioè al governo) però bisogna che la Dc sia poi in grado di operare tra di loro una spaccatura”. Certo, ancora non si profilava il Muro di Berlino, la rivoluzione di Gorbaciov, il mutare della Guerra Fredda in una sorta di Pensiero Unico a seguito dello sfaldamento rapidissimo dell’Unione Sovietica; ancora non si pensava alla possibilità di una dissoluzione della Dc così come conosciuta fino ad allora; tuttavia, le parole dell’Insonne sono altamente profetiche: se il costo da pagare per questa operazione di depotenziamento dell’alternativa a un tempo economica, sociale e culturale rappresentata per molti decenni dal Pci, ovvero lo smembramento della Dc in correnti diventate in seguito partiti (Margherita, partito di Casini, in parte Forza Italia che brucia l’illusione di molti laici, basti pensare alla vicenda Dotti), non era ai tempi neppure ipotizzabile, di fatto, con lo scossone di Mani Pulite e l’implosione della Prima Repubblica, un Pci orfano diventa terra di conquista da parte dei progressisti della Dc, un passaggio segnato definitivamente, e ormai siamo ai giorni nostri, dalla trasformazione progressiva del Pci in un partito di centrosinistra, il Pd, propiziato dai Ds. Un passaggio significativo e irrefutabile segnalato dai suoi segretari: da Veltroni, che ebbe a dichiarare di “non essere mai stato comunista”, a Renzi e ultimamente Letta, del cui passato “democristiano”, vale a dire Margherita, nessuno dubita. Una sorta, per la Dc, di democristianizzazione del Paese, dove la guerra testimoniata da Bernabei diventa globale e occupa tutto il panorama politico nazionale pur in altre forme e con modi diversi che rispettano i tempi. Prova ne sia la profonda crisi, ad ora rirrisolta, in cui sprofonda la sinistra direi storica dell’Italia. E siamo già al presente.
Tirando le fila, i diari di Bernabei sono sia un libro di “memorie” sia un libro di “presente”. Senza dimenticare alcune note amare, amarissime che rmangono impresse alla fine del libro. Da un lato, la sensazione dell’opacità profonda della democrazia italiana e in particolare la sensazione che il controllo del tavolo dei processi decisionali sia in mano a ben altre forze rispetto alla comunità nazionale (leggi: il popolo italiano) ma si spartisca fra soggetti ineffabili (nello specifico, Usa, Urss (ora il blocco putiniano?) Vaticano), fino al complicato gioco delle relazioni internazionali con gli addentellati nazionali, e “comitati” di svariato genere e natura; dall’altro, l’osservazione che, nel bene e nel male, quella classe politica con tutte le sue deficienze ma anche la competenza e spessore, forse ai giorni dei tweet e dei post non potrebbe neppure più esistere; e se esistesse, non emergerebbe.
Riflessioni sicuramente ingenue e banali queste ultime, ma il fatto di farle e confermarle a valle di uno dei più completi saggi sulle dinamiche del potere democratico di questi ultimi tempi, non va altro che a misurare la complessità e la forza di penetrazione del libro. Insomma, un grande saggio sulla democrazia che diventa anche la più grande critica alla democrazia. E di questo, non dobbiamo altro, che ci convinca o no l’analisi, che dare merito alla lucidità di Bernabei (e alla sua scrupolosa attitudine da cronista che annota non solo i fatti, ma lo spirito dei tempi) e all’intuizione e alla scientificità, ma anche alla passione, del curatore-autore.