Una carriera che è giunta quest’anno al mezzo secolo per un’attrice dotatissima che ha potuto formarsi giovanissima con uno dei grandi maestri del teatro contemporaneo, Giorgio Strehler. E’ difficile sottrarsi a un moto di ammirazione per una grande interprete che ha alimentato la passione per le scene in tanti italiani. Anche perché Pamela Villoresi è nello stesso tempo attrice di talento, regista, scrittrice, organizzatrice di spettacolo. Dall’aprile 2019 dirige il Teatro Biondo di Palermo, dove per la stagione in corso ha costruito un percorso, Radici, che rappresenta la sua visione del futuro: “Gettiamo radici al vento – dice – per proporvi novità, curiosità, grafie ed espressioni nuove che chiedono di arricchire il nostro bagaglio culturale e il nostro pensiero, e di espandersi in tutti i terreni possibili”.
La citazione è tratta dal libro “I teatri di Pamela Villoresi”, di Teresa Megale docente di Discipline dello Spettacolo presso l’Università di Firenze, autrice di numerosi saggi, pubblicato dalla Mongolfiera in occasione dei cinquant’anni di lavoro sulle scene dell’attrice. “Teatri”, notate bene, perché il suo percorso spazia dalla scena, alla regia, dal testo, al cartellone e le sue scelte hanno toccato tanti generi e tanti concetti dello spettacolo dal vivo. Di madre tedesca e nonne austroungariche, Villoresi proviene da una famiglia espressione della grande tradizione dell’industria del tessuto di Prato. Già questi pochi dati biografici sono sufficienti a delinearne il carattere e la personalità: la ricerca costante della precisione e della qualità, la capacità imprenditoriale per se stessa e per le realtà che si trova a gestire, la capacità tutta toscana di non farsi ingabbiare in dogmi e pregiudizi per osservare il mondo con ironia e distacco.Così, quando giovanissima incontra il Teatro Studio di Prato fra i cui giovani guidati dal critico Paolo Emilio Poesio, c’era Roberto Benigni, il suo destino è segnato. Lascia l’Istituto professionale Datini, tappa obbligata per una carriera da manager e si sposta a Roma per non sentire sul collo il fiato di un padre che tarda a farsi una ragione della vocazione della figlia, ma che alla fine ne diventa uno dei sostegni più convinti.
Una fortunata congiunzione astrale la fa approdare all’interno di una delle stagioni più feconde del teatro italiano, quello della sperimentazione nelle cantine romane con artisti del calibro di Carmelo Bene, Giuliano Vasilikò, Memé Perlini, Leo de Berardinis. Pochi mesi dopo, ancora per un favorevole colpo del destino viene ingaggiata da Anton Giulio Majano nello sceneggiato tv Marco Visconti. “Il lancio televisivo decreta la nascita di una promettente attrice, dalla bellezza folgorante e dal talento più che intuibile”, scrive Megale. Da qui parte una scalata inarrestabile che porta l’enfant prodige direttamente laddove il teatro italiano raggiunge le sue vette e la sua fama internazionale, il Piccolo di Milano di Strehler.
Il talento vocale, la presenza scenica, la duttilità di attrice, l’energia incontenibile le fanno vincere la prima grande sfida nella parte di Gnese nel Campiello di Goldoni, recitato in dialetto veneziano. Lasciamo al lettore il viaggio nelle tante interpretazioni a Milano e in tanti teatri italiani (da segnalare la Franziska in Minna von Barnhelm, di Lessing uno dei capolavori del regista triestino) per sottolineare la sua scelta convintamente femminista di essere artista e madre aderendo da una parte alla cosiddetta “maternità dolce” portata avanti dai circoli femministi (due figli) e, dall’altra, nell’accettare generosamente il ruolo di madre adottiva: “uno dei più alti gesti di solidarietà”.
Tutto ciò la impone definitivamente nelle simpatie del pubblico e ciò le permette uno spazio di azione sempre più ampio. Sia come promotrice della migliore drammaturgia contemporanea sia anche come regista e direttrice artistica di programmi di enti teatrali e di festival per esplorare sempre nuovi ambiti artistici. Alcuni critici la osservano perplessi ma non possono negare “un fisico d’assalto, una grazia demolitrice, un impeto cameratesco una caparbietà da vergine di Norimberga, una scorta inesauribile di fiato” (Rodolfo Di Giammarco).
La sorte le impone a quarantadue anni il lutto della perdita prematura del marito e del suo maestro Strehler. Supera la crisi avvicinandosi alla Fede cristiana che la porta a maturare un altro dei dei generi teatrali che ha frequentato, quello della spiritualità: “l’arte – dice – può aiutare a far dialogare tra loro religioni, esperienze e visioni diverse del mondo”.
L’ultima tappa è quella attuale del Teatro Biondo di Palermo, prima attrice italiana alla guida di un ente teatrale pubblico, presso il quale sviluppa un’altra linea di azione, la formazione di livello universitario. Sulla base dell’esperienza fatta con il Metastasio di Prato al Polo pratese dell’Ateneo fiorentino (contribuendo alla creazione del Pro.Ge.A.S., corso di progettazione e gestione di eventi e imprese dell’Arte e dello Spettacolo) dà vita al curriculum in Recitazione e professioni della scena all’Università di Palermo che le conferisce la laurea magistrale honoris causa, “ per essere una delle attrici più significative del teatro contemporaneo della grande tradizione italiana, di quella tradizione che nel nome di Giorgio Strehler ha riformato e proposto alle nuove generazioni partiche e forme di una recitazione che ha fatto parlare italiano il teatro nel mondo”.
Uno fra i tanti premi e riconoscimenti per una vita che “rilancia in senso moderno il primato della primadonna” – scrive Teresa Megale – e che è “il risultato di un dosaggio ben riuscito di tenacia, generosità, coraggio e oculatezza professionale. Nello spirito dell’impresa pratese, flessibile e innovativa, Pamela Villoresi ha saputo cercare e trovare relazioni, rapporti, idee, iniziative, uomini e donne in grado di portarle avanti. Per questo l’arte del teatro le deve molto e attende ancora molto dalla sua geniale professionalità”.
In foto: Pamela Villoresi