H&M: il trionfo del provincialismo

Mentre si spengono mestamente gli echi di una FestaReggio mai come quest’anno in crisi di pubblico davanti a mosci dibattiti, un concetto estensivo della mai troppo identificata “Reggio bene” si è sorbita ore ed ore di fila per accedere “in anteprima” al rinnovato palazzo Busetti dove veniva inaugurato il prestigioso marchio di vestiti e accessori H&M.

In quella coda biblica dove di evangelico (almeno un pizzico di apocalittico) c’era ben poco e molto di più di veterotestamentario, un ceto medio fagocitato dalla crisi ha ritrovato la propria dignità identitaria nella parificazione metasociale delle classi e degli stipendi. C’erano davvero tutti: amministratori, rappresentanti di associazioni e di categoria, professionisti di genere, portabandiere di gilde varie e gonfalonieri di corporazioni, operatori dei media e cittadini semplici.

E giù selfie, autoscatti, facebokkamenti, whatsappismi, cinguettii, sorrisi fino a 33 denti, strusci, giochi di gomito e altre minima moralia. Sono i tempi del vuoto organizzato, della moda senza eleganza, della comunicazione senza contenuto, dell’estetica senza bello, del bello senza radici, della mondanità senza evento, degli avventi senza divinità, della comunione spazio-tempo senza sacralità. Un’enorme metafora antropomorfa, involontaria ma fedelissima.

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