#Hellone: una semplice necessità storica

Un grande giornalista inglese, Christopher Hitchens, consigliava di immaginare tutti gli esperti come mammiferi. Avremmo dovuto dargli retta prima di prestare orecchio all’ultimo sondaggio che sembrava seppellire per sempre l’orrido neologismo che indica l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea. E invece no. Nonostante da anni la scienza demoscopica sia diventata qualcosa di simile alla rabdomanzia, sembrava quasi che lo spoglio fosse poco più di una formalità. Le certezze si sono sbriciolate nella notte: subito il bastione laburista Sunderland, poi la provincia inglese e i sobborghi industriali spolpati, le grandi città che non fanno da contrappeso, i colletti bianchi della City che spostano miliardi di sterline ma poche migliaia di voti.

britanniaIn queste ore ci si affanna a spiegare il risultato delle urne attraverso l’ipotesi di uno scontro generazionale, tra ricchi e poveri, tra centro e periferie. Come se gli unici ad esprimere un voto cosciente fossero solo i giovani, danarosi e laureati. Si potrebbe discutere di questa concezione della democrazia e del suffragio universale, ma il punto è un altro. Il caso della Gran Bretagna è un unicum nell’Unione e ha ben poca consistenza l’esultanza di Salvini, della Le Pen e anche di Nigel Farage, redivivo dopo la batosta alle elezioni del 2015 quando era stato costretto a dimettersi dalla guida dell’Ukip. Certo sul voto hanno pesato il disagio delle periferie, i posti di lavoro persi in un doloroso processo di deindustrializzazione che ha acuito la disuguaglianza sociale. Ma i cittadini di Sua Maestà già erano passati dall’austerity thatcheriana e in Europa godevano di uno status speciale, con la propria moneta e lo sguardo sempre volto alla sponda opposta dell’Atlantico. Altri Paesi, fra i quali l’Italia, avrebbero ben altre rimostranze da presentare a Bruxelles. E’ pur vero che negli ultimi mesi la campagna elettorale si è spostata dall’economia all’immigrazione, spettro agitato per conquistare una fetta non indifferente di elettorato, soprattutto nei quartieri multietnici delle grandi città.

In realtà la storia inizia ben prima dell’avanzata del variegato fronte definito “populista” che rende inquieta la tecnocrazia europea. Inizia ancor prima del “No! No! No!” pronunciato dalla Thatcher all’Europa nel 1990 davanti al parlamento di Westminster. Perché a dividere il Regno dal continente ci sono sempre stati più dei 32 chilometri di mare che separano le bianche scogliere di Dover da Calais. Quello che davvero sorprende è che a chiudere la storica questione della sovranità sia stato Boris Johnson, ex sindaco di Londra dalla chioma biondo platino, il vero vincitore del referendum. Non un pericoloso populista alla Farage, che pure ha dato il suo contributo andando a rastrellare voti nelle campagne dove il suo armamentario retorico ha una certa presa. Di famiglia benestante come Cameron, studi a Eton e Oxford, Johnson ha raccolto idealmente il testimone della Lady di ferro, chiudendo una questione storica mai del tutto sepolta. E lo ha fatto con la complicità (e i voti) del leader laburista Jeremy Corbyn, che si è schierato per il remain in modo talmente maldestro e imbarazzato che ha finito per favorire il leave, come hanno dimostrato i risultati nelle roccaforti storiche labour.

Chi e in quale misura pagherà il prezzo più alto di questa scelta lo dirà il tempo e non sarà una cosa breve. Però più che un colpo di testa di una nazione intimidita, l’uscita del Regno Unito – una volta terminata l’inevitabile tempesta sui mercati – si rivelerà per quello che è: una necessità storica.

C’è una data che può considerare l’inizio della fine dell’Impero romano ed è il 212 d.C, quando Caracalla emana la Constitutio Antoniniana con la quale concede la cittadinanza romana a tutti gli abitanti dell’Impero. Da quel momento in poi il “Civis romanus sum” perde di ogni significato, non c’è più un dentro e un fuori, un noi e un loro. L’identità finisce per dissolversi e con essa confini e istituzioni.

Per una nazione in fieri come vuole essere l’Europa è indispensabile risolvere le questioni territoriali e fissare i confini. I sudditi di Sua Maestà hanno chiarito un equivoco durato troppo a lungo e lo hanno fatto con lo strumento proprio della democrazia: il voto. Dobbiamo essere grati ad un grande popolo e prendere atto che l’Europa finisce sulla Manica.

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